Il terzo
canto inizia con versi che
presentano il sole, il mare, il cielo,
gli dèi, gli uomini e la terra fertile, una visione cosmica, unitaria e beneaugurate.
vv.
1-3 Il sole salì, lasciando il mare bellissimo/verso il cielo
di bronzo, per dare la luce agli immortali/e agli uomini mortali sulla terra
feconda
oujrano;n
poluvcalkon: può alludere alla lucentezza o alla solidità del cielo e
l'una non esclude l'altra
"Al di sopra della terra, come una scodella capovolta
poggiante sul circuito dell'Oceano, s'innalza il cielo di bronzo. Se il cielo è
detto di bronzo, è per esprimere la sua inalterabile solidità".
Del tutto diversa è l'interpretazione
dell'Adriano della Yourcenar:"Uscii
sul ponte; il cielo, ancora tutto nero, era come il cielo di bronzo dei poemi
di Omero, indifferente alle gioie e alle sofferenze umane".
Atena e
Telemaco giungono a Pilo sabbiosa e sbarcano mentre Nestore e i
suoi facevano un sacrificio di tori sulla spiaggia. Il giovane ha vergogna di
parlare, ma la dea lo incoraggia ad avvicinarsi al vecchio re per porgli
domande.
Vediamo ora alcuni versi con la ritrosia di Telemaco dove
"il poeta descrive con calda simpatia l'intima titubanza del giovane,
cresciuto nella sua remota isoletta nella semplicità d'una signoria campagnola,
ignaro del gran mondo, quand'egli per la prima volta vi si affaccia ed è ospite
d'alti personaggi".
Odissea III vv. 21-30.
Telemaco
manifesta il suo timore di essere impacciato da timidezza e inesperienza, ma
Atena lo spinge ricordandogli la buona natura della sua stirpe e promettendogli l'aiuto divino . Allora il ragazzo si muove sulle orme della
dea .
vv. 2I-24:"A lei allora Telemaco assennato di contro
diceva:/
"Mentore, e come devo andarci ora, e come gli porgerò
il saluto poi?/io non sono ancora in alcun modo esperto di discorsi muvqoisi- fitti pukinoi`sin :/del
resto è vergogna-aijdwv~- che un
giovane interroghi- ejxerevesqai un vecchio".
"Il termine mito ci viene dai Greci. Ma per coloro che
lo usavano in epoca arcaica esso non aveva il senso che gli diamo attualmente. Mythos
vuol dire "parola", "racconto". All'inizio non si
oppone minimamente a logos il cui senso primo è "parola",
"discorso", prima che designi l'intelligenza e la ragione"
-pukinoi'sin=attico puknoi'~. Nel III canto dell’Iliade, durante la teicoskopiva, Elena,
interrogata da Priamo, identifica Odisseo dicendo che conosce ogni sorta di
inganni kai; mhvdea puknav (v. 202)
e pensieri fitti. Si ricordi poi che le parole del Laertiade erano simili a
fiocchi di neve (III, 222), ossia fitte e fluenti.
aijdwv": la vergogna, ossia la
riservatezza e il ritegno contaddistinguono il giovane beneducato dal petulante
sonaglio sfacciato anche nelle Nuvole di Aristofane dove il discorso giusto
prescrive al ragazzo di essere "th'"
aijdou'"...ta[galm j "(v. 995), l'immagine del ritegno.
Ricordo il mito di Prometeo nel Protagora di Platone (322b): senza aijdw'" e divkh,
"virtù altrettanto morali quanto politiche", distribuite a tutti non
esisterebbero le città:"Hermes è incaricato di portarle agli uomini; ma,
nella distribuzione, deve fare l'opposto di quello che aveva fatto Prometeo:
non dare a ciascuno una capacità differente, ma le stesse a tutti egualmente e
indistintamente".
ejxerevesqai: nelle Nuvole di Aristofane
il ragazzo educato all'antica per prima cosa non doveva nemmeno
bisbigliare una parola (v. 963). Telemaco verrà rafforzato dagli incontri
successivi.
Il poeta " fa
sentire ai propri ascoltatori come le buone usanze e l'educazione non lascino
tanto facilmente nell'imbarazzo il giovinetto inesperto, nemmeno in situazioni
ardue e nuove, e come il nome del padre gli spiani la via".
Ma la prima spinta, la decisiva, viene da Atena.
vv.25-28:" Allora gli disse la dea, Atena dagli occhi lucenti- glaukw`pi~- :/"Telemaco,
qualcosa penserai tu nella tua mente,/altre le suggerirà anche un dio: infatti
non credo/, no, che contro la volontà degli dèi tu sia nato e cresciuto".
glaukw'pi": è collegabile con glau'x-
civetta-, e
significherebbe dall'occhio (w[y) di civetta, "parallelo a bow'pi", epiteto
fisso di Era nell'Iliade . Questi
epiteti sono stati messi in relazione con una (ipotetica) fase teriomorfica
della religione greca. Ma probabilmente il poeta collegava glaukw'pi" con glaukov"
(cfr. Il. XVI 34):"dagli
occhi brillanti, scintillanti".
vv. 29-30:"Così dunque avendo parlato, lo precedette
Pallade Atena/rapidamente; egli poi sulle orme della dea camminava.
Solean valore e cortesia trovarsi.
I due vengono accolti dai Pili che stavano preparando il
banchetto. Con cortesia impeccabile gli ospiti li salutavano e li invitavano a
prendere posto. Pisistrato, il figlio
più giovane di Nestore, si fa incontro ai sopraggiunti, li prese per mano e
li fece sedere al banchetto (Odissea,
III, v. 37). I segni della buona educazione di questo ragazzo sono gli stessi
dati da Telemaco nel pimo libro.
Poi c'è il medesimo susseguirsi di atti gentili. "Qui
per la prima volta l'educazione divenne cultura, cioè formazione dell'intera
personalità secondo un tipo fisso. L'importanza di quest'ultimo per lo sviluppo
della cultura fu sempre presente ai Greci; in ogni cultura aristocratica esso
ha una funzione decisiva, sia che pensiamo al kalo;"
kajgaqov" dei Greci, sia alla "cortesia" del medioevo
cavalleresco, sia alla fisionomia sociale del Settecento, quale ci sorride con
volto convenzionale da tutti i ritratti dell'epoca. Misura suprema d'ogni
pregio della personalità virile rimane anche nell'Odissea l'ideale avito del
valore guerriero. Ma vi si aggiunge ora
l'estimazione dei meriti intellettuali e sociali, che l'Odissea si compiace di mettere in risalto. L'eroe
stesso è l'uomo non mai a corto di saggi consigli, che in ogni situazione sa
trovare le parole opportune".
Pisistrato offre la
prima coppa d'oro ad Atena-Mentore in quanto più anziano; la dea si compiacque
dell'uomo saggio e giusto (pepnumevnw/, v.52, come Telemaco) e rivolse
a Poseidone una preghiera in favore del successo degli ospiti e di Telemaco,
una richiesta che poi compì ella stessa. Quindi anche il figlio di Ulisse pregò,
poi andarono tutti a banchetto.
Solo dopo
che ebbero desinato, Nestore pose loro delle domande.
"Quando ebbero soddisfatto la sete e la fame". La formula ritorna in
continuazione, non soltanto prima di ogni esibizione dell'aedo, ma anche ogni
volta che gli eroi si apprestano a intrattenersi e interrogarsi reciprocamente.
Per rendersi disponibili alle parole dell'altro gli eroi mangiano e bevono.
Così dimenticano i bisogni del corpo, il bisogno di "soddisfare questo ventre
odioso, questo ventre miserabile che apporta agli uomini tanti mali".
Mangiare, bere, significa far tacere per qualche tempo le
grida acerbe della mortalità e della solitudine. Quando un eroe riceve un
ospite, gli chiede come si chiama e da dove viene, ma solo dopo averlo accolto
e rifocillato. "Se c'è un momento per fare domande agli ospiti, dice il
molto saggio Nestore, è dopo che hanno goduto i piaceri della tavola".
Ulisse da Alcinoo, Telemaco da Menelao, Ulisse dal porcaro Eumeo e perfino
Telemaco quando torna a casa e viene accolto dalla madre Penelope, tutti loro cominciano a mangiare in
silenzio, parleranno dopo. Bisogna che l'ospite sia uscito dal tempo del
viaggio, che l'abbia "dimenticato" col cuore per poterlo ricordare
nelle parole".
Nella commedia pastorale As
you like it (1599) di Shakespeare il duca in esilio nella foresta di
Arden accoglie due nuovi arrivati, il giovane Orlando che porta in braccio il
vecchio servo Adamo sfinito e affamato, con queste parole: “Welcome. Set
down your venerable burden,-And let him feed…Welcome, fall to. I will not
trouble you-as yet to question you about your fortune” (II, 7),
benvenuti, posate il vostro venerabile fardello e fatelo mangiare…benvenuti,
cominciate. Per ora non voglio
disturbarvi facendovi domande sulle
vostre fortune.
Nestore dunque domanda agli ospiti chi siano, se
commercianti, marinai o predoni (Odissea,
III, vv. 71-74). Le medesime domande, con uguali parole farà Polifemo (IX,
252-255) ma non dopo avere dato da mangiare agli ospiti, bensì preparandosi a
mangiarli.
Leopardi monofavgo~
Leopardi giustifica la propria abitudine di mangiare da
solo ricordando che gli antichi parlavano solo dopo avere mangiato
:"Il
mangiar soli, to; monofagei'n, era infame presso i greci e i latini, e stimato inhumanum,
e il titolo monofavgo" , si dava ad alcuno p. vituperio, come quello di toicwruvco" , cioè di ladro…Io avrei
meritata quest'infamia presso gli antichi (Bologna. 6. Luglio. 1826.). Gli
antichi però avevano ragione, perché essi non conversavano insieme a tavola, se
non dopo mangiato, e nel tempo del simposio propriamente detto, cioè della
comessazione, ossia di una compotazione,
usata da loro dopo il mangiare, come oggi dagl'inglesi, e accompagnata al più
da uno spilluzzicare di qualche poco cibo p. destare la voglia del bere. Quello
è il tempo in cui si avrebbe più allegria, più brio, più spirito, più buon
umore, e più voglia di conversare e di ciarlare. Ma nel tempo delle vivande
tacevano, o parlavano assai poco. Noi abbiamo dismesso l'uso naturalissimo e
allegrissimo della compotazione, e parliamo mangiando. Ora io non posso
mettermi nella testa che quell'unica ora del giorno in cui si ha la bocca
impedita, in cui gli organi esterni
della favella hanno un'altra occupazione (occupazione interessantissima,
e la quale importa moltissimo che sia fatta bene, perché dalla buona digestione
dipende in massima parte il ben essere, il buono stato corporale, e quindi
anche mentale e morale dell'uomo, e la digestione non può essere buona se non è
ben cominciata nella bocca, secondo il noto proverbio o aforisma medico), abbia
da esser quell'ora appunto in cui più che mai si debba favellare; giacché molti
si trovano, che dando allo studio o al ritiro p. qualunque causa tutto il resto
del giorno, non conversano che a tavola, e sarebbero bien fachés di
trovarsi soli e di tacere in quell'ora. Ma io che ho a cuore la buona
digestione, non credo di essere inumano se in quell'ora voglio parlare
meno che mai, e se però pranzo solo. Tanto più che voglio potere smaltire il
mio cibo in bocca secondo il mio bisogno, e non secondo quello degli altri, che
spesso divorano, e non fanno altro che imboccare e ingoiare!".
La
pirateria (Odissea, III, 73).
“ Vedi il
Feith, Antiquitates homericae, nel
Gronovio, sopra la pirateria ec , lh/steiva, usata dagli antichissimi legalmente e onoratamente cogli
stranieri”.
Si ricorderà di Tucidide il quale ( I, 5) afferma che nei tempi
antichi la pirateria veniva esercitata senza vergogna. Anzi questa comportava
una certa gloria.
Lo stesso sostiene Cesare a proposito della reputazione
del brigantaggio tra i Germani :"Latrocinia
nullam habent infamiam, quae extra fines cuiusque civitatis fiunt, atque ea
iuventutis exercendae ac desidiae minuendae causa fieri praedicant ", il
brigantaggio non porta alcun disonore se viene fatto fuori dai confini della
tribù, anzi affermano che si fa per esercitare i giovani e combattere la
pigrizia.
Nell'Odissea tuttavia c'è
anche una
condanna dei predatori.
Eumeo sostiene che questi hanno una forte
paura della punizione (XIV, 88.).
Comunque Telemaco non si adonta della domanda, anzi fattosi
coraggio, afferrato quello ("qarshvsa"...qavrso"",
v. 76), che Atena gli pose nell'animo,
cominciò a parlare. Si noti che il ragazzo per prendere la parola e fare
domande sul padre ha bisogno dello qavrso" che serve
a Diomede (Iliade V, 2) per compiere la sua impresa bellica e
conquistare nobile fama. In questa fase più avanzata della civiltà la gloria si ottiene già attraverso l'uso
appropriato ed efficace della parola. Ebbene Telemaco si presenta e chiede
notizie del padre, del luminoso, paziente, valente Odisseo, in nome delle
promesse da lui fatte e mantenute nella terra dei Teucri.
Nestore risponde commosso ricordando i morti di Troia: Aiace, Achille, Patroclo e suo figlio Antiloco,
velocissimo a correre e prode guerriero (v. 112).
Pindaro nella Pitica VI racconta come " oJ qei'o" ajnh;r-privato
me;n qanavtoio komida;n patrov""(vv. 38-39) l'uomo divino/comprò con la sua morte la
salvezza del padre Nestore. Era accorso in suo aiuto e aveva dato la vita
salvandolo da Mèmnone, il capo degli Etiopi.
Un eroismo filiale che l'omuncolo Admeto
ribalterà nell'Alcesti di Euripide
avendo l'impudenza di chiedere al padre e alla madre di morire al posto suo.
Ci furono tante sofferenze, continua Nestore, e tanti eroi,
ma nessuno poteva misurarsi con Odisseo
nell'ingegno ("mh'tin", Odissea, III, v. 120) dove egli era troppo superiore a
tutti in ogni sorta di espedienti.
L’intelligenza
di Ulisse.
Ulisse è prima di tutto l'eroe dell'intelligenza:"Sua gloria è
la sua astuzia, il senno inventivo e pratico che, nella lotta per la vita e per
il rimpatrio, finisce per trionfare sempre su nemici possenti e su insidiosi
pericoli.
L'intelligenza
è la parte migliore dell'uomo valente:"E' questo il nuovo ideale
dell'uomo il cui elogio è cantato nell'Odissea.
La nobiltà ha cambiato la sua concezione del mondo. Si è allentata la durezza,
l'immediato ricorso alle armi, l'esasperato senso dell'onore, l'eccessiva
coerenza. Chi è ricco d'ingegno come
Odisseo ha la protezione degli dèi. Gli dèi non amano più tanto un braccio
forte quanto una mente assennata".
Tuttavia Ulisse non è inetto alle armi: Stazio, nel
catalogo degli eroi greci in partenza per Troia ricorda come “consiliisque armisque vigil contendat Ulixes
” (Achilleide, I, 472), Ulisse
gareggi vigile con il senno e le armi. Il senno viene prima.
Già nell’Iliade alla
nobiltà dell'azione doveva unirsi quella
della mente. Peleo manda Fenice a Troia con il figliolo perché gli
insegni:"muvqwn
te rJhth'r j e[menai prhkth'rav te e[rgwn", a essere dicitore di parole ed
esecutore di opere. L’abilità nella parola viene prima.
Bologna 20 maggio 2025 ore 12, 40 giovanni ghiselli
p. s.
Terrò la conferenza sull’Odissea il 9 giugno dalle 17 nella
biblioteca Ginzburg di Biologna. Pubblicherò il link per seguire da lontano
quando mi verrà dato. Saluti gianni