venerdì 1 agosto 2025

Viaggio in Grecia agosto 1981 XX parte. Pensieri notturni con il ricordo dell’identità smarrita.


Dopo avere coperto le nostre nudità scellerate con stracci sudici e ancora sudati uscimmo di corsa e seguendo le indicazioni dateci dal portiere andammo a cambiare le lire in una strana banca ipogea aperta fino alle ventidue.

Poi tornammo nell’albergo,  facemmo una pace precaria, ci lavammo  e finalmente si andò a cenare. Per fortuna in Grecia si può mangiare fino a tardi.  Ci diede argomenti comuni e una schiarita all’umore il cibo gustoso preparato da un cuoco magari epicureo. Poi andammo nel teatro di Erode Attico situato sotto l’acropoli e la luna che la rischiarava. L’orchestra suonava la musica di Mendelsshon che ci rasserenò ulteriormente. Sicché potemmo tornare nella nostra stanza e metterci a letto abbastanza concordi per augurarci la buona notte con baci pudichi  e sorrisi. Tuttavia evitammo di fare del sesso. Ci sapeva di ybris che prima verdeggia poi diventa una spiga di acciecamento che, appena falciata, dà una messe di lacrime[1].  

Spenta la luce e rimasto solo con il tempo di concedermi un poco di otium cum dignitate, cioè con pensieri forse non sciocchi del tutto, mi domandai come avessimo fatto a trasfigurare il nostro amore che era bello, gioioso e variopinto come una festa panatenaica, riducendolo a un susseguirsi  di lamenti e gemiti  intervallati da esplosioni di rabbia. C’erano state offese reciproche anche egoismi sfacciati, indifferenze disumane  dell’uno alle umane sofferenze dall’altro. Avevamo perduto del tutto la fiducia reciproca. Ifigenia cercava altre guide, altri modelli nell’ambiente dello spettacolo. Io dubitavo della mia identità di educatore visto il risultato di questa relazione nata con l’intento della paideia reciproca.

Mi tornava in mente, con brividi di raccapriccio e spavento, la crisi di identità sofferta fino a volerne morire quando ebbi terminato il liceo. Quasi  due anni durò. Non sostenevano più la mia vita lo studio e lo sport: le  due colonne che l’avevano retta dai 6 ai 19 anni.

All’università la buona riuscita negli esami dipendeva da un sapere mnemonico di manuali e appunti presi a lezione su un corso monografico molto particolareggiato e isolato da tutto il resto, compresa la vita che stavamo vivendo. Dovevo imparare una congerie di nozioni slegate tra loro: un sapere senza sapienza [2].

Ho sempre avuto una memoria straordinaria, ma usare soltanto quella non mi bastava più: avrei voluto avere una visione d’insieme della letteratura, della storia, della filosofia e a quell’età avevo bisogno di una guida, per lo meno di imparare un metodo per fare ricerca. Ma tutto si riduceva ai tecnicismi delle lingue, alla visione molto particolareggiata di alcune parole isolate la la scoperta  detta silenicadal contesto. Una visione panoramica della materia insegnata non me la mostrava nessuno, a parte il professore di lingua e letteratura inglese, Carlo Izzo che ricordo con stima e affetto, ma la sua disciplina nel mio corso di studi era solo complementare.

Il corso di letteratura latina, un esame invece fondamentale, tanto per fare un esempio, verteva su “La corrispondenza poetica di Dante e Giovanni del Virgilio”.  

Quando iniziai a insegnare latino avevo sentito nominare  Lucano e Stazio, per esempio, soltanto da Dante. Sentivo che la preparazione richiesta per gli esami non era adeguata al lavoro che avrei voluto fare insegnando: non bastava  a informare, e, tanto meno a educare. Sicché studiavo solo per superare gli esami senza che le nozioni mi spingessero a conoscere la mia persona per svilupparla fino al compimento di quello che sono.

 

 Cercavo consolazione nel cibo, ingrassando e perdendo sia la lena sia la voglia necessarie per gareggiare. Insomma la mia durante un biennio fu una vita invasa da una sola sapienza: quella mortifera detta silenica siccome esposta dal Sileno al re Mida[3]. Avevo perduto la mia fierezza di adolescente per quanto ero diverso dalle persone mediocri, prive di spirito critico e, anzi,  cercavo di conformarmi a loro, assai goffamente oltretutto, senza riuscirvi, per cui venivo disprezzato da quelli che un tempo ero io a disistimare. Nel 1981, passati i trentacinque anni non sarei certo ricaduto nell’errore che mi aveva annientato tre lustri prima, però temevo che sbagli del genere potesse farli Ifigenia.

 A ventun anni grazie al cielo, per il risveglio della mia coscienza e con l’aiuto di  Euripide che lessi per conto mio, e di Fulvio ora amico celeste, avevo capito che alla gente usuale non mi sarei potuto assimilare mai, né del resto sarei  stato accolto da quanti erano troppo diversi da me e mi trattavano male proprio perché non ero come loro[4], sicché mi adoperai per recuperare la mia vera natura fisica, culturale e morale. Il movimento del ’ 68 mi diede altro aiuto, poi gli scolari della scuola media Ugo Foscolo di Carmignano di Brenta e la collega umanissima Antonia, vicepreside e mamma vicaria.

Divenni capace di solitudini anche lunghe e paurose eppure sempre meno difficili e dolorose  dei tentativi maldestri di riuscire gradito a gente cui non piacevo e che non  mi piaceva.

Temevo però che Ifigenia non fosse capace di tanto e che si imbrancasse con uomini avvezzi al male più che al bene e che fissando a lungo l’abisso finisse per cascarvi dentro.

Pensavo all’incirca queste parole: “ Ifigenia dovrà passare una crisi di progresso, o, dio non voglia, di regresso, sulla nuova strada che ha preso. Se mi chiederà aiuto, glielo darò. Ha quasi dieci anni meno di me e la sento anche un poco quale figlia sostitutiva di quella abortita da Päivi. Ci siamo pure amati e perfino educati, reciprocamente, in questi tre anni. C’è del vero in quanto mi ha rinfacciato oggi.  Non è falso che io mi guardo dall’irrazionale perché ce l’ho dentro e mi spaventa, ed è vero che coltivo maniacalmente l’ordine e la disciplina perché temo di ricadere nel caos. Noi detestiamo con forza gli orrori presenti, vivi e attivi nella nostra psiche. Ciò che è  del tutto estraneo alla nostra natura non ci fa tanto ribrezzo. Perciò i monchi minacciano i monchi, gli orbi detestano gli orbi e gli storpi sputano in faccia agli storpi

Mi apparvero immagini di stampelle, di occhi spenti,  di sputi  che turbinavano  e mi addormentai.


 

Nota sulla risposta del Sileno a Mida

“L’antica leggenda narra che il re Mida inseguì a lungo nella foresta il saggio Sileno, seguace di Dioniso, senza prenderlo. Quando quello gli cadde fra le mani, il re domandò quale fosse la cosa migliore e più desiderabile per l’uomo. Rigido e immobile il demone tace; finché, costretto dal re, esce da ultimo fra stridule risa in queste parole: ‘Stirpe miserabile ed effimera, figlia del caso e della pena, perché mi costringi a dirti ciò che per te è vantaggiosissimo non sentire? Il meglio è per te assolutamente irraggiungibile: non essere nato, non essere, essere niente. Ma la cosa in secondo luogo migliore per te è-morire presto”  (Nietzsche, La nascita della tragedia Capitolo III )

 

 

 

Villa Fastiggi,  primo agosto  2025 ore 18, 32 giovanni ghiselli

p. s

Statistiche del blog

All time1781208

Today363

Yesterday1419

This month363

Last month18318

 

 

 

Note

[1] Cfr. Eschilo, Persiani, 821-822.

2 Cfr. “to; sofo;n d j ouj sofiva” ( Euripide, Baccanti, v. 395). Il sapere non è sapienza

 

[3] “L’antica leggenda narra che il re Mida inseguì a lungo nella foresta il saggio Sileno, seguace di Dioniso, senza prenderlo. Quando quello gli cadde fra le mani, il re domandò quale fosse la cosa migliore e più desiderabile per l’uomo. Rigido e immobile il demone tace; finché, costretto dal re, esce da ultimo fra stridule risa in queste parole: ‘Stirpe miserabile ed effimera, figlia del caso e della pena, perché mi costringi a dirti ciò che per te è vantaggiosissimo non sentire? Il meglio è per te assolutamente irraggiungibile: non essere nato, non essere, essere niente. Ma la cosa in secondo luogo migliore per te è-morire presto”

Nietzsche, La nascita della tragedia Capitolo III  .

 

Mi devono snobbare, dire che sono un ingenuo e un demagogo, non mi devono onorare come uno di loro, perché non sono come loro” (Michele Gesualdi, Don Lorenzo Milani, L’esilio di Barbiana, Introduzione di Tomaso Montanari, p. 7) .

 


Viaggio in Grecia agosto 1981 XIX. Il dialogo del risentimento nell’albergo diAtene. Un microdramma: scena unica.


Dopo una ricerca lunga e faticosa, sul far della notte trovammo una camera in un albergo del centro, modesto, adatto alle mie possibilità finanziarie ma pulito e non disameno del tutto. Ifigenia era taciturna e più passiva del solito. Le feci notare che avevamo finito le dracme, e siccome non accettavano le lire, dovevamo andare a cambiarle prima della chiusura di tutti gli uffici, altrimenti fino al giorno seguente non si mangiava e già avevamo saltato il pranzo. Bisognava sbrigarsi perché erano quasi le otto.

Mentre dicevo queste parole, non senza del nervosismo, lo ammetto, la bella donna si pettinava davanti a uno specchio piena di ammirazione per la propria immagine con un’espressione languida e compiaciuta. Insomma non sembrava curarsi di quanto le stavo dicendo. La informavo perché avrei voluto che partecipasse alla soluzione del problema che la riguardava , in quanto, ne ero certo, se non avessimo potuto mangiare dopo diverse ore di inedia, si sarebbe infuriata come un’Erinni ghiotta di sangue.

Tanto più che nell’aria già aleggiava il risentimento.

Ero seccato siccome avevo dovuto cercare l’alloggio senza alcuna collaborazione di Ifigenia che anzi aveva trovato da ridire sul fatto che la stanza non era  abbastanza signorile.

E’ una lamentela che nelle gite scolastiche fanno gli allievi di estrazione socialmente più bassa: vogliono farsi credere abituati al lusso. Una volgarità che mi ha sempre irritato.

Negli anni seguenti avrei girato la Grecia in bicicletta con due amici maschi e un’amica di famiglia bolognese potente e ricca: mai che nessuno si sia lamentato degli ostelli o delle bettole.  

La mancanza di stile dell’infima borghesia mi ha sempre irritato. Oltretutto spesso odia i progressi del proletariato temendo di venirne superata. Ed è spesso disponibile alle mene reazionarie, fino alla violenza.

Ora voglio ricostruire il dialogo drammatico che ci fu quella sera tra noi, riferendo, se la memoria mi aiuta, fin le parole offensive nelle quali scaricammo tutta l’ira e il risentimento repressi nei giorni di questo viaggio.

Gianni (è seduto sul letto. Guarda Ifigenia con ostilità. Parla con nervosismo)

 

Ascoltami, Ifigenia. Sto ruminando delle preoccupazioni che devo farti sapere. Abbiamo finito le dracme. Dobbiamo cambiare le lire, se vogliamo mangiare: i soldi italiani non li prendono nei ristoranti. Io ho fame (guarda l’orologio). Sono quasi le otto. Usciamo subito, per vedere se troviamo un ufficio di cambio ancora aperto in piazza Omonoia. Se no, ci tocca digiunare e non ne abbiamo proprio bisogno. Scendiamo subito e chiediamo al portiere dove si possono cambiare i soldi.

Ifigenia (si pettina davanti allo specchio contemplandosi compiaciuta.  Non ha cambiato espressione mentre Gianni parlava né ha mostrato alcun interesse alle sue parole).

 Davvero? Come è Possibile?

Gianni (con nervosismo accentuato, senza riuscire a dissimulare l’ira accumulata) 

Puoi darmi una mano o devo andare da solo a cercare le dracme mentre tu ti fai bella?

Ifigenia (sempre ammirando la propria immagine e senza degnare  di uno sguardo il compagno di viaggio).

Non vedi che ho da fare?

Gianni (con sforzo evidente riesce a cambiare tono: ne assume uno faticosamente calmo. Vuole apparire razionale).

 Se sei stanca di questo viaggio, possiamo tornare indietro anche subito: tra un’ora parte la corsa notturna per Patrasso e magari i due bruti non sono di turno.

Ifigenia

( Si volge di scatto, lo guarda con occhio cattivo, da canide arrabbiato, e gli parla con tono aggressivo) Anzi, prendiamo addirittura l’aereo e torniamo a casa: ognuno alla sua. Posso sapere quale credito pensi  di avere ancora  sulla mia persona?

Gianni

(con irruenza, sfogando un risentimento covato e dissimulato a lungo) Voglio che tu una buona volta la smetta con il tuo parassitismo narcisistico: non puoi venire in giro con me soltanto per guardarti e farti guardare: tu devi collaborare, devi aiutarmi. Lo vuoi capire o no che non hai più l’età della spensieratezza totale?

Ifigenia (guardandolo con odio e disprezzo).

Tu non sei mica normale!

Gianni: Che cosa vuoi dire?

Ifigenia; E tu  cosa vuoi da me, che cosa vuoi fare di me? Mi sto sistemando dopo diversi giorni di bicicletta e tre ore di corriera. Puoi lasciarmi in pace per qualche minuto? La fretta ansiosa che ti perseguita  tiella per te: fatti divorare il cervello tu solo dall’ansia che hai dentro.

 

Gianniguarda l’orologio con ostentazione-

Tu non hai ascoltato o non hai capito quanto ho detto: sono passate le otto, il cielo è  quasi buio e  già ora rischiamo di non trovare nemmeno uno sportello aperto. Per giunta abbiamo fame, vogliamo mangiare e siamo senza denaro greco per pagare la cena. Tu certo te la prenderai con me se resteremo a denti asciutti con la fame che avrai.  Qui senza dracme non si mangia. Dunque dobbiamo cambiare le lire e affrettarci perché di notte gli uffici chiudono e, se non lo hanno già fatto, lo faranno a momenti. Quindi devi sbrigarti.  Ti fai bella dopo, no?

Poi, se vai in cerca di complimenti, sei bella comunque. Anzi, sei bellissima, altrimenti figurati se ti sopporterei. E visto che abbiamo fame, ricorro a una metafora culinaria per elogiarti: tu saresti un boccone degno di un re, come  Cleopatra ancora ventenne per Giulio Cesare: a morsel for a monarch[1].

Io non sono Cesare, nemmeno Antonio sono che ereditò l’avanzo freddo di quel cibo sul tagliere di Cesare. Io non sono nessuno e non ti merito, ma ora un boccone magari caldo, vorrei poterlo addentare

 

Ifigeniacon una smorfia di disgusto-

Tu sei solo un buffone e i tuoi complimenti, i tuoi omaggi da pagliaccio quale sei, le tue citazioni da pedante mezz’orbo, tutte queste scene volgari vai a farli con qualche sguattera di una delle osterie dove vuoi andare a rimpinzarti come un maiale.

Gianni solleva la maglietta e mostra la vita da torero con aria stupita e interrogativa.

Sicché Ifigenia rincara la dose

 

Maiale sì, suino mentale, porco nell’anima sei.

Tu, vecchio  ingordo, ce l’hai con me

per altri motivi; qualche cosa che ti ha dato fastidio ma non vuoi dire perché sei  falso più di Giuda. Sono quasi sicura che l’orrenda cagnara latrata nella corriera ti ha fatto pensare che non dovrei girare in calzoncini.  E pure che se fossimo venuti in bici come pretendevi, da negriero quale sei, quella scena spiacevole l’avremmo evitata.

Avresti voluto arrivare fino a Olimpia per pregare i tuoi dèi che non ti ascoltano mai, come vedo. Tu  Sei fallito in tutto.

Se volevi girartela tutta da solo questa tua patria ideale che ti respinge, non dovevi invitarmi.

Tu sei irrazionale, anzi sei pazzo!

 

Gianni: ah sì, l’irrazionale sarei io? Ora hai abbaiato tu la tua cagnara triviale.

 

Ifigenia  il cane arrabbiato  sei proprio tu,  anche se ti adoperi in continuazione per dissimularlo. Tu reciti la parte dell’uomo buono, colto, intelligente ma quando non fai il porco sei una iena o una  scimmia che ripete per lo più idiozie imparate da altri mentecatti frustrati e rinnegati dalla vita come sei tu. Io vorrei fare l’attrice, ma sui palcoscenici; tu reciti in ogni momento  per nascondere le tue debolezze  e i tuoi fallimenti. Ora so che perfino i tuoi ardori erotici erano recite. Recitate bene, per carità, però non sentite, non vissute con il cuore pulito né con una testa equilibrata.

Tu hai degli abissi di follia dentro di te e devi stare sempre in guardia, in allarme, imbrigliato e attrezzato da paracadutista,  per non caderci dentro a capofitto. Nei tuoi bàratri interni hai le donne di casa tua, le furiose cagne che ti hanno terrorizzato quando eri bambino e ti spaventano ancora: ti abbaiano contro, ti graffiano l’anima e devi sempre stare in guardia perché non te la squarcino. A volte perdi il controllo di quelle furie: allora si sentono ringhiare e latrare tutte insieme nella tua voce alterata: allora la tua faccia solitamente atteggiata a bella, buona, colta, rivela il tuo ceffo maligno sotto la maschera . La tua continua esaltazione del logos accordato con il pathos è un tentativo malriuscito di modificare il tuo carattere congenito, poi peggiorato dall’ambiente. Tu non hai dentro alcun pathos buono: sei del tutto incapace di amare donne che non siano la madre tua e le  zie, e non hai nemmeno il logos: non riesci a venire fuori con l’intelligenza dal labirinto di pazzia dal quale  sei uscito soltanto con il corpo quando sei venuto a studiare a Bologna. Hai studiato  a memoria senza capire niente. Con l’anima sei ancora chiuso, in castigo, al buio nella casa di Pesaro, la moribunda sedes Pisauri cui appartieni.

Gianni –

Ha ascoltato le parole di Ifigenia con  attenzione e le risponde con tristezza e calma-

C’è qualche cosa di vero in quanto hai appena detto. La parte squilibrata del mio carattere però l’ho ereditata, non me la sono scelta, anzi non mi piace per niente e cerco di rifiutarla: ne ho il diritto e spero di averne anche la forza. Come ho avuto quella di migliorare il mio aspetto che di per sé era piuttosto modesto, ma poi con la volontà e l’ascesi indefessa l’ho reso piacente fino a piacere a una donna della tua levatura, Ifigenia, una femmina umana che un tempo non avrei nemmeno osato guardare in faccia. Così con una disciplina costante, con un esercizio continuo di logica e di morale, spero di migliorare il mio carattere, di renderlo accettabile e piacente prima di tutti a me stesso, poi a quelli cui voglio piacere. Il mio caos interno io non mi accontento di nasconderlo o reprimerlo: voglio superarlo esteticamente e moralmente. Intorno ai ventanni, appena uscito dalla casa di Pesaro, l’irrazionalità mi devastava il cuore, la mente e l’aspetto, ma poi ho reagito, ho reagito bene, e se non ho ancora conseguito una vittoria definitiva, è pure vero che con il tempo ho trovato il metodo di tenere sotto controllo la pars destruens che è dentro di me.

Tu invece dalla tua ti lasci ancora travolgere fino a commettere errori madornali che possono compromettere la  crescita e la felicità.

 

Ifigenia Quanto dici sul mio conto è arbitrario e del tutto falso. Quando è stato che mi sarei comportata in maniera irrazionale e distruttiva secondo te?

Gianni Ogni volta che hai rovinato la nostra intesa dei primi tempi con la tua incapacità di controllare i tuoi istinti peggiori.

Ifigenia Tu dai i numeri. Numeri del tutto falsi.  Quali episodi immagini e rimugini con la tua mente malata?

Gianni. Penso all’estate del ’ 79 quando non hai capito niente di quanto avresti dovuto fare secondo logica, secondo morale, secondo il buon gusto e pure secondo il tuo interesse. Non hai capito quando non mi hai mandato l’espresso che mi avevi promesso e preannunciato con un telegramma: non hai capito che in seguito a quella grave inadempienza avresti perduto ogni credito da parte mia; non sei stata in grado di capire, dopo nove mesi passati con me, che non sono il tipo d’uomo cui si può mentire senza perderne tutta la  stima e l’affetto; non hai capito che ti screditavi ai mie occhi quando sulla spiaggia di Pesaro mi tiravi la sabbia in faccia perché non assecondavo tutte le tue capricciose pretese, anche le più invereconde. Tu sei troppo egocentrica per metterti nei panni altrui, per  comprendere, condividere la gioia o il dolore di chi hai accanto. Non sei in grado di provare simpatia,

Ifigenia (con sarcasmi irosi).

Proprio tu vieni a parlarmi di comprensione dei sentimenti. Quale considerazione avevi  tu, gianni, dei miei, quando io ti amavo come in un bel sogno e tu mi parlavi delle tue ex amanti, o lasciavi che le tue zie mi giudicassero male perché venivo a Pesaro con te senza che fossi tua moglie e senza avere alle spalle una famiglia facoltosa con tanto di dote cospicua da attribuire alla figliola? Dopo l’estate, quando io non avevo ancora compiuto ventisei anni  e non volevo più insegnare né sapevo cosa fare della mia vita, e avevo ancora bisogno di te, tu, spaventato da queste mie difficoltà, ti sei innamorato della  nuova supplente, e hai smesso di prenderti cura di me, dopo che ti eri cavata la voglia di me. Ebbene dove avevi messo allora la tua onestà, la tua integrità di uomo probo, i tuoi doveri morali? Ma fammi il piacere!

Oltretutto mentivi. Dicevi di amarmi mentre eri innamorato di quella zitellina perché era vergine e di famiglia borghese. E perché con l’aspetto ti ricordava tua sorella, tua madre, le tue zie e il tuo torbido attaccamento alle tue consanguinèe. Dicevi addirittura che assomigliava a te. Certo, una similitudine essenziale per il tuo narcisismo. Venivi ancora a letto con me senza il desiderio di prima perché progettavi di sposare quella bigotta che nemmeno ti contraccambiava ma si lasciava corteggiare mirando soltanto al proprio tornaconto.

Le ultime parole sono state dette con pathos dolente, quasi piangendo.

 

Gianni  con aria afflitta  

Non stai esagerando Ifigenia? Non ho mai fatto orge dionisiache con lei come con te quando anche i sacerdoti santi benedicevano la nostra lussuria che faceva onore agli dèi. Con quella collega  non ho mai celebrato riti sacri né sacrileghi.

 

Ifigenia  No, non sto esagerando. Durante tutto il secondo anno tu mi evitavi pensando che passare il tempo con me fosse sciuparlo perché significava sottrarlo alla preparazione delle lezioni con cui volevi acquistare onoratissima rinomanza nel liceo classico della città e in tutta Bologna. Allora, mentre io soffrivo, tu non capivi che facevi una serie di errori: perdevi più di quanto volevi acquistare. Te ne sei accorto più tardi, troppo tardi: quando io, non potendone più di soffrire, ho smesso di amarti e ho provato interesse per altri uomini; allora hai cominciato a patire tu e a capire qualche cosa attraverso la sofferenza tua. Della mia non ti eri mai curato, nemmeno accorto. Il dolore che ho dovuto infliggerti per difendere me stessa, soltanto il dolore ti ha reso meno immorale e più razionale, non la tua intelligenza né la tua probità.

Gianni (sempre triste e calmo)

Sì c’è molto di vero in quello che dici. Tu in effetti mi hai reso migliore prima con la bellezza e la gioia, poi con il dolore. Per questo ti amo. E’ anche vero però che quando ho cercato stimoli in altre colleghe o negli scolari, l’ho fatto perché tu non me ne davi più: mi annoiavi, mi disturbavi con parole insipide e atti insignificanti. Tra noi  non poteva continuare in quella maniera: tu anzi mostravi quel vuoto  perché io ti dessi una lezione. Non potevo approvarti: ti avrei nuociuto davvero.

Comunque ora scusami Ifigenia, ma poprio non c’è più tempo di parlarne. Sono già le otto e venti ed è buio. Andiamo subito a cercare le dracme, poi a mangiare. Io muoio di fame, tu anche, suppongo, e credo che parte del nostro nervosismo derivi dalla denutrizione.

Ifigenia. Va bene. Tanto più che non abbiamo altro da aggiungere.

 

Villa Fastiggi  primo agosto 2025 ore 13, 31 giovanni ghiselli

 

p. s

statistiche del blog

All time1781136

Today291

Yesterday1419

This month291

Last month18318

 

 

 



[1] Cfr. Shakespeare, Antonio e Cleopatra, I, 5, 29-31.


Viaggio in Grecia 1981 XVIII. La cagnara immonda dei bruti.


 

Giunti ad Atene dunque, e usciti dalla corriera, ci trovammo in una grande confusione di persone e di veicoli. Frastornati e disorientati ci domandammo dove e quando avremmo potuto prendere la corsa che ci riportasse a Patrasso in tempo per salire sul traghetto la sera del 28 agosto. Da soli non riuscivamo a capirlo: non c’erano orari in vista. Perciò decidemmo di risalire nell’autobus per porre al conducente la questione che ci preoccupava.

 Il caos di quella stazione ci aveva contagiati rendendoci confusi e nervosi.

Ignari di tutto, risalimmo sul pullman e domandai all’uomo rimasto là dentro a quale ora del pomeriggio del 28 e da dove partisse la corsa Atene-Patrasso.

Costui, appena sentì dire “Patrasso”, ripetè a voce alta “Patrasso! Patrasso!” non certo con il tono della ninfa vocale che echeggia i suoni, la resonabilis Echo [1].

Il grido del primo energumeno ne attirò un altro dal ceffo coperto con occhiali scuri; anche costui, appena entrato nel bus si mise a urlare: “Patrasso, Patrasso!”, poi chiuse la porta, si accostò a Ifigenia che si era rivolta al primo ciclope con aria interrogativa, e con una manata immonda osò profanarne le cosce abbronzate, nude sotto i calzoncini bianchi e tanto succinti da lasciare vedere l’orlo delle mutande celesti. Così acconciata era eccitante anche per me che avevo fatto l’amore centinaia di volte con lei, senza annoiarmi mai, quasi mai. Sia chiaro che non sto giustificando i bruti.

Anzi voglio ricordare che quando la ragazza pedalava sulle salite alzandosi sopra il sellino, i maschi che ci superavano in automobile la applaudivano acclamando, cosa che in quei momenti di fatica poteva averle fatto piacere né dispiaceva a me, però quel pomeriggio nella corriera chiusa la libidine scatenata dalle sue cosce in quei due forsennati ci fece  paura.

Ifigenia così brutalmente toccata si girò con ira e cercò di scagliarsi verso l’uscita, ma il mostro dagli occhialoni neri aprì le braccia immonde per sbarrarle la strada, mentre l’altro cieco di mente, afferrò una chiave inglese e avanzò minaccioso verso di me latrando “Patrasso, Patrasso!”. Seguì una bestemmia poi su`kon, su`kon!!! che non traduco per pudicizia [2]. Il greco e il latino a volte cu consentono di evitare una scostumatezza .

Mentre mi preparavo a difendermi dal bigliettaio, Ifigenia, con presenza di spirito, fece cadere un pezzo di carta davanti ai piedi del mostro che la ostacolava, poi cominciò a chinarsi come se volesse raccogliere un documento importante, sicché quell’animale tratto in inganno, prima calpestò la carta, poi si chinò a sua volta per prenderla: allora la ragazza si raddrizzò, scattò e con un balzo  scavalcò il demente, quindi corse verso la porta anteriore, l’aprì e saltò giù dalla corriera. Appena fuori da quell’inferno cominciò a gridare: polizia!

Allora quello, deluso per avere perduto la preda, si mise a sputare sul pavimento tirando fuori la lingua come un serpente; l’altro lasciò cadere la chiave inglese e bestemmiò in italiano; io avanzai verso la porta e quando arrivai vicino al cieco di mente, gli dissi: “scostati, voglio uscire di qua prima che arrivi la polizia”.

Quello latrò ancora “Patrasso, Patrasso, italiano, Patrasso!”, poi mi lasciò uscire.

Per fortuna non era corso del sangue né altro liquido organico a parte lo sputo di quel farabutto.

Ci allontanammo, mentre quei due ciclopi, o Calibano  il diavolo incarnato e il buffone Trinculo che fossero, chiamavano i loro colleghi forse per dire che erano stati aggrediti e derubati da noi. Sul ritorno andammo a informarci in un ufficio. Quindi prendemmo un taxi per piazza Omonoia ossia Concordia, il centro della città. Lo  scontento  reciproco che ci stava separando per sempre  cresceva  dentro di noi. Era diventato un male incurabile, un tumore inoperabile.

Avvertenza: il blog contiene due note e il greco non traslitterato.

 

Villa Fastiggi,  primo agosto 2025 ore 10, 19 giovanni ghiselli

 



[1] Ovidio, Metamorfosi, 3, 358

[2] Ma  cfr. Aristofane, Pace, 1350.


Viaggio in Grecia agosto 1981 XVII. Gli amanti scellerati.

   

 

La corriera per Atene. Il mio risentimento per il pedalare mancato e il sole non debitamente onorato. .

Lasciammo le biciclette depositate nell’agenzia dove avevamo comprato i biglietti per il traghetto, poi andammo alla stazione delle corriere. Verso le quattro  partimmo. Chiuso nell’autobus maleodorante mi spiaceva assai perdere le  ultime ore del sole che declinava rapidamente nel pomeriggio di quella giornata dell’estate al tramonto anche lei.

Ma il declino più doloroso era quello del nostro rapporto sconciato dall’ opportunismo,  l’ egoismo, e la stupidità di entrambi.

La rinuncia forzata a pedalare nel sole prossimo a sparire dentro le brume quasi autunnali, di un autunno che oltretutto non sarebbe stato illuminato dalla baccante innevata come quello fantastico del ’78, tale impedimento mi pesava assai più del secondo zaino messo sul collo  nella salita delfica con una fatica la quale del resto aveva potuto anche irrobustirmi la lena.

Provavo del risentimento per la ragazza che mi faceva perdere l’ultimo sole dell’estate morente e durante la triste stagione alle porte mi avrebbe lasciato solo e desolato in una Bologna fredda e buia.

Tra me e Ifigenia non c’era più niente di buono tranne i ricordi dei quali volevo diventare l’aedo coniugando le Grazie con le Muse e  unire di nuovo, nel ricordo, quella bellissima donna con me. Ma nel presente di fatto eravamo degenerati in una coppia scellerata: ciascuno di noi se faceva un sacrificio per l’altro senza ricavarne un utile per sé, provava un sentimento di spreco e  risentimento verso l’amante oramai disamato.  Un amante in pensione, nemmeno emerito. In tale contesto il piacere che ancora ci scambiavamo ogni tanto nel letto era un’offesa del bel tempo che fu.

Appena arrivati ad Atene, il fato ci impose una parte in una commedia orribile, quasi finita in tragedia, poi, poco più tardi, un’altra la recitammo noi , istintivamente, io soprattutto che continuavo a rimpiangere la bicicletta e sentivo un rancore implacato per quella giovane donna  che mi aveva fatta depositare l’amato veicolo in un luogo forse nemmeno del tutto sicuro.

Quella sera toccammo il fondo dell’abiezione nell’Ellade santa.

Villa Fastiggi primo agosto 2025  ore 10  giovanni ghiselli

p. s

Statistiche del blog

All time1780974

Today129

Yesterday1419

This month129

Last month18318


giovedì 31 luglio 2025

Viaggio in Grecia agosto 1981 XVI. La pedalata sofferta fino a Patrasso.


Due tappe per fare meno di 40 chilometri. Il buffone dionisiaco.

Riprendemmo la pedalata contro il vento caldissimo spirato da sud ovest. Ifigenia dopo pochi chilometri già barcollava, sbuffava, soffriva e diceva che non poteva procedere così ostacolata e gravata.

“Adesso dovrò sobbarcarmi di nuovo il suo peso”, pensai con un po’ di fastidio e anche un poco di orgoglio che mi fece concludere“Ce la farò”.

 Subito dopo in effetti mi ofrìi  di alleviarle la schiena prendendo  anche il suo zaino che dislocai al di sopra del mio,r quasi sul collo. Ma nemmeno così alleggerita Ifigenia ce la faceva a pedalare fino a Patrasso. Provai a incoraggiarla, a spingerla anche fisicamente stando alla sua sinistra e impiegando quanta forza avevo nel braccio destro e nella mano aperta appoggiata sulla schiena di lei non lascivamente questa volta, ma la compagna di viaggio, come un commilitone stremato dagli ordini  atroci di un comandante  implacabile, seppur generoso, a un tratto scostò la mia mano non abbastanza soccorrevole, frenò, fermò la bici e disse che non ce la faceva più in nessuna maniera.

Urgeva dunque trovare un rifugio dove passare la notte, però l’autostrada dove eravamo entrati a Egion senza essere ostacolati era recintata da una rete di ferro e per uscirne saremmo dovuti arrivare al casello di Patrasso ancora lontana almeno venti chiometri. Ci si trovava perciò in una prigione, ardente per giunta come una fornace, con l’acqua delle borracce oramai esaurita oltre tutto. La ragazza infatti sudava assai poi beveva imprecando. A me il caldo piace anche estremo ma non quando devo sopportare chi lo esecra come se fosse un male. Il male vero che porta pena a me e morbi a tutti è l’aria condizionata che aborro.

Posata la bici, camminai un po’ avanti, un po’ indietro scrutando la rete ferrigna, finché vi trovai un buco abbastanza grande per la nostra evasione. Usciti da quel carcere, percorremmo una stradina sterrata in discesa fino a un borgo turrito sulla riva  del mare : Psathopirgos si chiama . Trovammo una stanza con terrazza affacciata sul piccolo porto. Nel nostro squlibrio questa fu un’altra serata di pace.  Eravamo entrambi contenti per la collaborazione che c’era stata tra noi nell’ultimo tratto quando l’avevo aiutata senza rimproverala né insistere troppo.

 Ifigenia mi era grata per il comportamento che avevo tenuto nei suoi confronti, sicché aveva deciso di porre fine alle querimonie e di sospendere il  rancore accumulato per mesi contro di me siccome non ero famoso come il suo uomo ideale.

Una tregua malsicura e precaria. Dormimmo per l’ultima volta insieme sul mare. Il giorno seguente, dopo avere percorso gli ultimi venti chilometri, giungemmo a Patrasso.

Se ce l’hai fatta a seguirci fin qui, lettore, senza stancarti né annoiarti, vieni ancora avanti con noi: complice o critico che tu sia, ti piacerà  ovviamente :laetaberis.

Prenotammo la cabina sul traghetto del ritorno che salpava il 28, per Brindisi. Nella nave diretta ad Ancona non c’era più posto nemmeno sul ponte.

Ifigenia si immusonì e cominciò a protestare dicendo che tutto si complicava siccome  a Brindisi avremmo dovuto trovare due treni: uno lei per Bologna, un altro io per Pesaro. Se ne poteva prendere uno solo con fermata a Pesaro ma la sua era una pretestuosa dichiarazione di guerra: il  correlativo geografico-ferroviario del nostro discidium” pensai. Difatti tutti i treni della linea adriatica in gran parte lungomarina fanno una sosta a Pesaro, breve ma lascia il tempo di scendere. Forse Ifigenia temeva che le avrei proposto di fermarsi per qualche giorno in casa mia.  Non ci pensavo nemmeno. Lei per giunta sperava di trovare posta con offerte succose a Bologna.   

Questo pensai ma non lo dissi. Volli sdrammatizzare, facendo il buffone dionisiaco, sicché la guardai in faccia citando Francesco Redi

Su voghiamo,
       navighiamo,
       navighiamo infino a Brindisi:
       Arianna, brindis, brindisi.
       Passavoga, arranca, arranca,
        ché la ciurma non si stanca,
       anzi lieta si rinfranca
       quando arranca inverso Brindisi:
       Arianna, brindis, brindisi.
       E se a te brindisi io fo,
        perché a me faccia il buon pro,
       Ariannuccia vaguccia, belluccia,
       cantami un poco, e ricantami tu
       sulla mandola la cuccurucù,
       la cuccurucù
       la cuccurucù,
       sulla mandola la cuccurucù.

“Sei il cialtrone di sempre”, fece lei. Non le servivo più. Poteva buttarmi via.

“Non posso negarlo. Me lo disse anche mia sorella una volta”.

Vengo spesso colpito da analogie dove si mescolano echi del passato e previsioni del futuro, ricordi belli pieni di gioia e antiche ferite mai cicatrizzate anzi diventate ulcere: povere bocche tutt’altro che mute.

Tra noi invece avevamo poco da dire. A Arrivati a Brindisi, prendemmo una stanza, girammo per la città, evitando di rispondere all’ambiguo sorriso e agli inviti dei prosseneti maliziosi in agguato sulle soglie delle locande, quindi cenammo dove ci parve meglio e andammo a dormire senza altra storia.

 

Villa Fastiggi,  primo agosto  2025 ore 8, 20  

giovanni ghiselli

p. s.

Statistiche del blog

All time1780954

Today109

Yesterday1419

This month109

Last month18318

 


Viaggio in Grecia 1981 XV La riva inquinata di Egion.


 

Epigrafe: “Quidquid in altum Fortuna tulit,/ruitura levat.”

 

La mattina seguente volgemmo i manubri, timoni e prue delle bici, di nuovo verso occidente per arrivare a San Nicolas dove avremmo preso il traghetto del ritorno a Egion. Il vento soffiava ancora da ovest e ostacolava il nostro procedere. Non sarebbe stato un problema serio, ma Ifigenia lo rendeva addirittura tragico. Colei, lo ribadisco, quando incontrava ostacoli (problhvmata appunto),  anche sormontabili con poca pena, non cercava un aiuto nella propria forza mentale ma si lasciava travolgere da un sentimento confuso, ottuso, cattivo e diventava aggressiva, furiosa, odiosa per me.

Finalmente giungemmo a San Nicolas: era circa il meriggio. Aspettammo il traghetto seduti sulla riva del mare.

Ricordai la prima volta che giunsi in quel luogo ameno con Fulvio e la  mia costola incrinata dolorante nel petto, a sinistra. L’amico mi rallegrò dicendo. “questo è il paradiso!”.

Ifigenia invece disse che in quel posto c’era un caldo da bolgia infernale. Probus l’amico celeste, improba l’amante nemica di se stessa e di me.

“L’inferno ce l’hai dentro ”-pensai-hic Acherusia fit stultorum denique vita[1].

 Traghettati nel Peloponneso e sbarcati sul molo del porto di Egion, andammo di nuovo a sederci sulla riva marina. Appariva bianca di piccoli sassi che però, sotto la nostra pur leggera pressione, affondavano nella rena ungendosi di un liquido denso e scuro.

Poco dopo ci accorgemmo di avere i calzoncini, le gambe, le mani appiccicose, nere e imbrattate di sugna, tenace poco meno del masticione usato per la camera d’aria bucata, una pasta rossa e tenace che mi aveva impiastricciato le mani e la faccia nel ’78, quando giravo la Grecia da solo e non me la passavo peggio tutto sommato.

Ci alzammo e camminammo un poco sulla riva sconcia. Ifigenia con tristezza e paura disse di avere un ritardo mestruale di tre settimane.

Cercai di parlarne ma la presunta pregnante non volle aggiungere altro. Eravamo afflitti. Dalla strada un kou`ro", un ragazzo, facendo gesti nervosi gridò: “Pollution! Don’t sit there! Don’t  touch water!”

Ci allontanammo da quel luogo inameno senza provarne sollievo: sentivamo che c’era del marcio anche dentro di noi. Mi vennero in mente le cerimonie inquinate, i grandi adulteri e gli scogli sporchi  di stragi delle Historiae di Tacito.

 Pollutae caerimoniae, magna adulteria, infecti caedibus  scopuli [2]ripetei queste parole tra me e ora le rammento a te, dotto lettore.

Anche il nostro che era stato per lo meno vigoroso e vitale, era ormai diventato un rapporto fiacco e corrotto: un’adulterazione della grande passione iniziale. Non c’era equilibrio, né chiarezza, né fiducia, tra noi: la  libidine grande, continua, dei festosi tripudi remoti si avviava alla fine con piccoli passi  strascicati, senili, zoppicanti appoggiati a un bastone come l’Edipo  di Seneca: repet incertus viae,/baculo senili triste praetentans iter. (Oedipus, 654-656 ) si trascinerà incerto della via, tastando davanti a sé il cammino triste con il bastone del vecchio.

La sorte aveva trasformato il nostro  tragitto sui saliscendi della Grecia in un percorso silmile a quello delle montagne russe che mi terrorizzavano quando ero bambino.

"Quidquid in altum Fortuna tulit,/ruitura levat.” (Seneca, Agamennone, vv. 101-102), tutto ciò che la Fortuna ha portato in alto, lo solleva per atterrarlo.

E viceversa, pensai per tirarmi di nuovo su 

 

 

Avvertenza: il blog contiene due note.

Villa Fastiggi, 31 luglio 2025 ore 21, 31 giovanni ghiselli.

p. s.

Statistiche del blog

All time1780366

Today940

Yesterday500

This month17839

Last month24815

 

 



[1] Lucrezio, De rerum natura, III, 1023, qui dopo tutto diventa davvero infernale la vita degli stolti.

[2] (Tacito, Historiae, I, 2), Cerimonie corrotte, grandi adulteri, il mare pieno di esili, gli scogli sozzi di stragi 

 


Viaggio in Grecia 1981 XIV. La notte di Galaxidion.


 

Al tramonto ci fermammo in un borgo del golfo di Crisa. Galaxidion si chiama. Prendemmo una camera con letto matrimoniale e cenammo in pace e letizia. La giornata ventosa e tormentata era finita in una notte calma, dolce e serena di ultima estate. Dopo cena andammo a sederci sulla riva del mare. Si vedevano cadere le stelle. Ifigenia temeva che il firmamento ne restasse sguarnito. Invece era sempre più ricco di fuochi. “Vedi tesoro-dissi-donando si acquista”. Anche il golfo era pieno di luci. Sul mare si muovevano lenti i piccoli lumi delle barche uscite a pescare. Un gradino più sopra si vedevano le lampadine di Itea, più in alto quelle di Crisa, poi le luci sante di Delfi, la meta già raggiunta del nostro pellegrinaggio devoto. Due fari lontani, appena visibili, segnavano, forse, la duplice cima del sacro Parnaso; sopra c’era solo il cielo stellato. La via Lattea spiccava nel mezzo. Ifigenia ridendo disse che Galaxidion si chiama così per la Galassia che di lì si vede brillare come in nessun altro luogo. Bellina, monella, rideva. Brillava, brillava anche lei. Mi fece pensare al nostro primo incontro quando la carne nitida e profumata le lievitava ancora addosso come una pasta preziosa. Eravamo contenti. Finalmente potevamo permetterci di stare in pace, di essere quasi felici. Da un locale notturno venivano le note di un valzer di Strauss, Storie del bosco viennese; dalla campagna alle spalle il tremulo e lungo verso dei grilli. Tutto questo non può essere soltanto caso e materia, dicemmo. Ci venne in mente la morte del lunatico re di Baviera amato da noi per la sua volontà di Bellezza e di Arte contro il mondo, sconciato, già allora, da industrie, commerci e cannoni. Ci sovvenne il nostro pellegrinaggio pasquale ai castelli teatrali del re scampato al fuoco di Sodoma ma non all’acqua del cupo lago increspato dove un cigno segnava di bianco il punto della morte per acqua  preferita alla  prigione nella stanza senza maniglie dove il re degradato a farmakov~  era stato recluso.

“In questi momenti di fuga, di memorie, di sogni, siamo due amanti felici-dissi-ma sulla vita oramai abbiamo opinioni diverse. E vogliamo vivere in modo diverso. Tu, da attrice, hai deciso di privilegiare l’istinto; io agli impulsi caotici preferisco anteporre un logos appassionato e commosso, ma anche ordinato e diretto a una meta precisa”.

Ifigenia mi corresse: “Io scelgo l’intuizione geniale tesoro, non l’istinto bestiale.

“Le intuizioni senza concetti sono cieche-pensai- e la bellezza senza intelligenza e volontà di bene può scivolare nel male diventando immondizia”. Eravamo contenti che la notte stellata dopo le fatiche diurni ci avesse resi più tolleranti, più umani. A un tratto Ifigenia volle andare a dormire: la lunga lotta col vento implacabile me l’aveva stremata. Bellina. L’accompagnai, ma davanti alla camera le chiesi il permesso di girare da solo nella notte odorosa. Volevo osservare  ancora le luci che stavano sotto e sopra di me. Sentivo che brillavano  anche dentro di me. Mi piaceva l’odore dell’aria profumata dai pini resinosi e resa salmastra dall’alitare del mare.

“ Sì-mi dicevo- c’è piacere, bellezza e giustizia nel cosmo. C’è un creatore. Il re popolare e demente nella fredda, piovosa Baviera, nella sua reclusione dal mondo reale, prigioniero disperato dentro quei castelli teatrali, circondato da servi avidi e perfidi , l’aveva perduto di vista. Non voglio forzare questa giovane donna a diventare diversa da quello che è, chiunque ella sia. Né posso impedirle di fare i suoi sbagli, se proprio ci tiene. Però mi piacerebbe vederla felice. Potrà esserlo soltanto diventando se stessa. Adesso lei, non protetta dal vecchio istrione ingrato, dovrà cercare da sola la strada che la conduca alla sua meta. Spero che riesca a percorrerla tutta, senza fermarsi né deviare, anche se dovesse incontrarvi un fiero vento contrario”. Tornai alla camera. Entrai senza fare rumore. Ma Ifigenia era sveglia: mi aspettava con il volto illuminato dagli occhi ridenti . Un’espressione che non le vedevo da tempo. Facemmo l’amore più volte, con piacere e con gioia.  Parlammo ancora un poco : senza alcun astio. Eravamo entrambi contenti di questo accordo dopo mesi di rinfacciamenti reciproci. Ci sentivamo liberi entrambi di fare l’amore tra noi e con chi volevamo, di farlo o di non farlo.

Quando Ifigenia prese sonno, tornai a guardare le stelle.    “Sì - mi dicevo - c’è bellezza, ordine, giustizia nell’Universo. C’è un Creatore, un demiurgo artista di somma sapienza. Chiunque egli sia, ne sa più di me e io mi lascio guidare osservando le stelle guidate da Lui. Correggo le circolazioni della mia testa  talora improvvida  uniformandole ai movimenti di questo cielo ordinato.

Il re popolare e pazzo nel suo eremitaggio dentro i castelli intorno allo Starnbergersee, il lago dove morì affogato in cinquanta centimetri d’acqua, aveva perso di vista la bellezza creata dal grande demiurgo, l’artista del cosmo

Villa Fastiggi,  31 luglio  2025 ore  18, 49   giovanni ghiselli

p. s.

Statistiche del blog

All time1780326

Today900

Yesterday500

This month17799

Last month24815