domenica 31 agosto 2025

Elio Vittorini e Günter Grass. Due vite e un solo amore per la scrittura e la politica sociale. Di Giuseppe Moscatt

Elio e Günter avevano in comune una profonda unità di vita e di fede nella letteratura, nella scrittura, nell'agire in nome della coscienza critica e della libertà di conoscenza del proprio io per il bene della società. E quindi parteciparono alla vita politica del loro tempo.
Elio vedeva nel fascismo appena giunto al potere una forza culturale dove poter esprimere le ansie giovanili di rivolta contro la società immobile siciliana che aveva conosciuto in lungo e in largo fin da ragazzo, viaggiando fin dall'infanzia al seguito del padre ferroviere nei suoi spostamenti di lavoro. Günter, del pari, negli anni '30 nella tedesca Danzica, cresceva inquieto in una famiglia di religione mista, un madre cattolica e polacca e un padre protestante. Come Elio era critico verso i genitori piccoli borghesi, imbevuti di nazionalismo nella Danzica finalmente germanica. Cresciuti ambedue però per esprimere un messaggio lirico. Dovettero uscire dalla loro terra per andare nelle città del mondo.
E dunque l'uno fugge dalla Sicilia; e l'altro corre al fronte russo. Elio lavora in Friuli, poi a Firenze e poi a Milano, fra riviste letterarie e case editrici, traduttore dei grandi scrittori americani e inglesi - Faulkner, Poe, Lawrence, John Fante - e insieme al giovane amico Vasco Pratolini, nel 1936 incita i giovani fascisti a combattere in Spagna per la Repubblica e non già per Franco, linea politica vicina al Partito comunista di Gramsci che nel dopoguerra lo espellerà su ordine di Togliatti.
Poi, nel 1939 esce a puntate il romanzo che lo renderà famoso per sempre, Conversazione in Sicilia. Del pari, Günter nel 1942, a 15 anni, riesce a entrare nel corpo ausiliario della Wehrmacht e poi nelle SS. Nel 1945 cade ferito, viene catturato dagli americani e rimane in un campo di prigionia per soldati tedeschi. Liberato nel 1946, lavora in miniera e poi comincia a scolpire volti e animali fantastici, fino a suonare musica jazz nei caffè di Berlino.
 
E nel periodo fra il 1942 e il 1960, Günter studia ed espone sculture e disegni fra Düsseldorf e Berlino, mentre pubblica le prime due raccolte di poesie. Dapprima Ciò che vogliono i giganti del vento (1959), una raccolta ispirata al teatro dell'assurdo di Beckett e che ha per protagonista gli antichi stiliti, dove venivano ironicamente rappresentate le convenzionali figure della letteratura tedesca della Germania occidentale, immobili, vecchi e paurosi del nuovo che avanza dall'est socialista. La seconda raccolta, Scambi ferroviari, del 1960, approfondiva la vita quotidiana di Berlino, densa di incontri occasionali nelle periferie urbane e lungo i binari della metropolitana. Günter elabora nella scrittura un metodo imparato nell'arte dello scolpire, il realismo magico. Scuola che nel periodo prenazista aveva avuto proprio nell'età di Weimar un singolare sviluppo.
Si voleva cioè innestare su una trama molto leggera e reale - l'incontro casuale - un elemento non naturale, spesso inspiegabile, cui i personaggi si adeguano, pur dopo qualche perplessità. E dunque situazioni non temporali, ma sfumate con ripetizioni del passato, magari con forme di ribellismo al governo totalitario e conformista, come nel caso della Repubblica Democratica Tedesca, un società a pensiero unico dove slavi e tedeschi erano stati forzatamente integrati dal Nazismo e dal Comunismo.

Elio Vittorini

E qui torniamo a Elio e all'opera che lo ha definitivamente consacrato,
Conversazione in Sicilia. Il protagonista parte da un contesto semplice, il ritorno dalla madre nella terra d'origine, la Sicilia. E' un giovane intellettuale, molto critico della classe dirigente che lo ha appena emarginato, ma ormai libero di pensare. Fu un'opera di traduzione e di immissione di un vento nuovo nel provincialismo della cultura decadente fascista, in una raccolta di novelle americane che demolivano le certezze dominanti, Antologia americana. Nei dialoghi del suo primo grande romanzo, Elio mostrava la sua lettura della vita, svelandone le ingiustizie, le violenze, le miserie della guerra, alzava la voce della protesta dell'uomo contro la prepotenza e il sangue del potere, illuminando con brevi bozzetti la povertà di quelle terre. Ma i personaggi erano visti in forma mitica, dotati di saggezza antica, ripresi dal mondo popolare siciliano, disegnati in modo poetico e immaginario, ribaltando il tradizionale realismo verso un mitico populismo che vigorosamente seppe fare opposizione al Fascismo nel triennio 1939-1942, quando il Regime era ormai in fase calante nell'opinione pubblica (e in fondo, fu simile la posizione di Günter quaranta anni dopo nella Germania comunista).
Nel 1942 Elio passa il guado: dopo aver tentato ancora una volta di giustificare l'anelito naturale di rivolta al pensiero unico, cercò a Weimar di capire l'altro grande fratello del fascismo, partecipando al convegno degli intellettuali nazisti, toccando però con mano le barbare tesi di Joseph Goebbels. Elio intanto entra nella Resistenza, fa parte della redazione clandestina dell'Unità, pubblica per Bompiani il romanzo Uomini e no (1945) tappa miliare della letteratura neorealista e fonda la rivista culturale comunista Il Politecnico, mensile a natura enciclopedica, rivolto a riempire i vuoti della cultura italiana, dopo 20 anni di arretratezza sul mondo moderno, impegnandosi politicamente in una fede quasi irrazionale nel Comunismo, visto come un'ideologia pari al Cristianesimo durante la caduta dell'Impero Romano.
In Uomini e no aveva adottato il metodo angloamericano del dialogo a riprese e ripetizioni continue, quasi un contrappunto musicalmente dissonante, per poi dare significato anche alla parola più secondaria, facendo del dialogo una preghiera alta e coralmente incisiva. E così nelle prime pagine del Politecnico - 28 numeri fra il 1945 e il 1947 - non a caso rappresentò una voce singolare di quel Vento del nord che produsse la Costituzione Italiana e si pose originalmente l'obiettivo di unire le due culture, la classica e la scientifica, sotto la bandiera del Comunismo, prassi politica rigeneratrice delle macerie morali del 2° Conflitto Mondiale. In altri termini, Elio nella sua difficile poetica aveva maturato nel suo pensiero politico e sociale un mondo divenuto improvvisamente utopistico. Credeva cioè che gli ideali comunisti, cristiani e liberali fossero finalmente operativi, in quell'epoca mai più lontani dalla loro concreta attuazione.
 
Lasciamo per un attimo Elio e torniamo a Günter nella Germania ovest degli anni '60-'80: dal lato politico, il naturale rifiuto del Nazismo, l'appoggio a Willy Brandt, la sua fortissima partecipazione al '68, nonché al movimento pacifista, perfino del 1983 al 1986, la Presidenza dell'Accademia delle Arti di Berlino. Erano scelte legate al Socialismo integrale, fede anche questa dimostrata dall'abbandono della troppo moderata socialdemocrazia parlamentare fino all'azione diretta e alla dissidenza rispetto al governo della Repubblica Federale. Poi nel 1989, di fronte alla prospettiva dell'unione delle due Germania e dopo il crollo del muro di Berlino, dichiarava la sua netta contrarietà, preferendo invece la separazione, sia perché l'abbraccio del capitalismo imperante della Germania occidentale avrebbe riaperto il fronte critico che aveva prodotto il Nazismo, sia perché avrebbe favorito la rinascita di una Europa di nuovo tedesca.
Come l'ultimo Mann, Günter temette fino alla morte il ritorno dell'imperialismo, auspicando sempre e piuttosto una Germania europea. Quando nel 1999 ricevette il Nobel della letteratura, aveva riaperto e ampliato propriamente il filone letterario del suo realismo magico: Il gatto e il topo (1961); Anni di cane (1963); Il diario di una lumaca (1972); Il richiamo dell'ululone (1992); costituiscono la Trilogia di Danzica degli animali, favole contemporanee che descrivevano quello che anche per lui superava il reale, usando una tecnica di scrittura meccanica, quasi discordante come quella di Elio e dei futuristi, dove il sogno e l'ipnosi animavano i caratteri degli animali, sul modello dei Grimm e di Lessing.
Ma l'opera che lo pose al di sopra degli scrittori tedeschi del secondo dopoguerra e che lo mette per Noi accanto a Elio è II tamburo di latta, ormai considerata come un grande affresco delle colpe della Germania del '900. E come Elio aveva scritto Conversazione in Sicilia con la recondita idea di un saggio critico della vera realtà dell'Uomo; così Günter ricerca un'etica e una morale degna del genere umano, giacché il protagonista, un handicappato geniale, scarica la sua vendetta di disabile suonando sempre e con forza un tamburo di latta lungo il periodo nazista, non cessando mai di farsi sentire e di opporre agli altri la sua deformità. Era un uomo contro natura, contro le convenzioni, contro la storia, contro la famiglia, contro lo Stato, contro il capitale.
Ma era un uomo per la giustizia, per il dialogo, per la tutela degli adolescenti e per la loro inviolabilità. E Günter nella figura del tamburino rappresentava come il Nazismo era stato una deformazione della realtà a cui si era dovuto cedere razionalmente, senza alcuna presenza dello spirito umano.
 
Parallelamente, Elio subiva l'ennesima disillusione: le parole critiche di Brecht dopo i fatti del 1953 a Berlino e le rivelazioni delle stragi staliniane, lo scuotono definitivamente. Già il lungo periodo del Politecnico lo aveva visto polemizzare con Togliatti, sempre più a lui estraneo quando aveva prefigurato una cultura che si ponesse alla testa della lotta contro le diversità sociali e che non si limitasse a consolare gli uomini; soprattutto, quando i governi comunisti avevano tollerato, se non favorito, le alleanze coi nazifascisti. Elio non aveva digerito la politica di copertura ai lager stalinisti, né tanto meno la repressione militare della dissidenza in URSS e nei paesi socialisti. Voleva informare nel modo più imparziale per far sorgere illuministicamente la critica e l'autocritica.
In una parola, mentre Togliatti intendeva educare e poi se il caso informare, Elio credeva nell'opposto. Purtroppo dimenticava che il metodo pedagogico derivava dal gesuitismo ecclesiastico e dalla visione pubblica che tanto aveva avversato in famiglia e che a Firenze lo aveva allontanato dai giovani intellettuali nazionalisti, tanto da escluderlo dalla politica conservatrice dell'ultimo fascismo. Togliatti, peraltro, di fronte alla reazione americana che aveva già ricattato la giovane democrazia italiana, soffiava sul fuoco della ricostruzione del paese, dove la crisi economica e occupazionale minacciava già nel 1947 la sopravvivenza della giovane repubblica. Insomma, Elio rifiutava la rigida obbedienza al partito, mentre Togliatti tentava di far superare lo stallo soltanto con ambigue frasi rivoluzionarie.
Elio voleva rifare dal profondo la cultura italiana del dopoguerra, come ci aveva provato Leopardi un secolo prima e che pure aveva fallito nell'aprirsi alle masse popolari. Togliatti riuscì invece a traghettare il PCI alla democrazia occidentale e a restituire negli anni '60 un partito di sinistra più compromesso e meno ribelle, in armonia alla socialdemocrazia europea e all'integrazione delle classi sociali. Elio non accettò questo programma, legato com'era a quella unità fra vita e fede nella cultura razionale e illuminista, solidarista e innovatrice, non compromessa né dal pensiero unico, né falso borghese e neppure ciecamente ribellista. Voleva indagare, dialogare, prima capire e poi giudicare. Anzi si staccò dalla militanza politica, scrisse alcuni romanzi ancora da decifrare: Il Sempione strizza l'occhio al Frejus, (1946); Le donne di Messina, (1949); Le città del mondo, incompiuto e pubblicato dopo la morte, (1969). Poi si dedicò presso la casa editrice Einaudi alla ricerca di nuovi talenti letterari.
Qui, inizia l'ultima fase del suo percorso: autorizza la pubblicazione dei primi romanzi di Beppe Fenoglio, Carlo Cassola, Italo Calvino e Lalla Romano, nella prolifica collana I gettoni. Comincia anche la sua feconda collaborazione di editorialista sulla Stampa; e nel 1957 pubblica un lungo saggio molto complesso: Diario in pubblico. Per la sua coerenza illuminista e libertaria ebbe però tre gravi infortuni letterari: non capì, né poteva capire ideologicamente non solo Il gattopardo di Tomasi di Lampedusa e Il dott. Zivago di Pasternak - che invece avranno immenso successo qualche anno dopo - ma respinse anche la pubblicazione del Tamburo di latta di Grass. Tuttavia, poco dopo, Elio lo ripresenterà entusiasticamente nell'ultima rivista che diresse, Il Menabò. Invero, come collaboratore editoriale, forte della collaudata esperienza di traduttore di romanzi di lingua inglese fin dalla gioventù, non conosceva il tedesco come l'inglese e dunque rifiutò la prima traduzione del libro del giovane Grass, malgrado fossero già state stampate migliaia di copie nel mondo. Elio lo contestò, un po' perché la Germania faceva a sé, un po' perché non ebbe alcuna guida nella simbologia magica dello scrittore tedesco. Ma nel 1963 Elio cambierà ancora una volta idea, forse per una diversa traduzione e una maggiore dimestichezza linguistica col tedesco, che gli fece mutare atteggiamento: occorreva finalmente una reazione al pensiero unico, contro il nichilismo intellettuale che aveva ingannato tanti scrittori ex comunisti, soprattutto di fronte ai fatti d'Ungheria del 1956.
La cultura occidentale era delusa dal comunismo storico e i cattolici del dissenso erano ancora lontani dal Concilio, senza contare gli illuministi di scuola francese che erano disgustati dal comunismo reale e che stavano però in silenzio di fronte agli eccessi del capitalismo nordamericano e del comunismo sovietico. Elio aveva di nuovo spianato la strada per un nuovo dialogo intellettuale con le nuove generazioni, scrivendo saggi e articoli su giornali e riviste letterarie non completamente asservite alle Chiese di ogni colore.
In sodalizio con il giovane Italo Calvino, Elio aveva fondato finalmente la sua rivista, Il menabò e quasi per sette anni - 1959/1966 - i due intesero promuovere un rinnovamento letterario in termini sperimentali e assai linguisticamente liberi, pur nel quadro di una operazione culturale a largo raggio. L'impresa aveva come modello il linguaggio giornalistico, considerato che col termine menabò veniva da sempre rivisto l'abbozzo di un progetto grafico, in cui a poco a poco il redattore aggiunge i vari articoli, pur nelle singole pagine. Inoltre Elio e Italo volevano un periodico che avesse le stimmate di una collana letteraria, come era stata la rivista Solaria a Firenze negli anni '20, quando Elio nella logica futurista ne aveva bazzicato i tavoli rumorosi di giovani disillusi dall'Italia libera dal primo dopoguerra, metodo che poteva essere ripreso, specie di fronte alla decadenza culturale figlia del boom economico degli anni '60. Franco Fortini, Paolo Volponi, Edoardo Sanguineti, Pier Paolo Pasolini, Carlo Emilio Gadda, per citarne solo alcuni, vi scrissero.
Nondimeno, Elio e Italo si aprirono all'estero e lanciarono i loro missili sulla rivista Gulliver (unico numero!): Roland Barthes Jean Genet, Iris Murdoch, Jean Starobinski e lo stesso Günter Grass (n.7 del 1964), in un saggio in forma di racconto: L'oracolo del baco da farina. E con Günter per pochissimo tempo raggiunse un sodalizio culturale che meriterebbe di essere approfondito.
 
Furono anni per Elio di forte tensione intellettuale: rientrato per breve tempo in politica - presidente del neonato partito radicale - con Ernesto Rossi, Marco Pannella, Eugenio Scalfari - protestò ufficialmente contro De Gaulle per i fatti di Algeria, diresse una nuova collana di Mondadori e si cimentò ancora nei Nuovi scrittori stranieri. E occorrerebbe una profonda rilettura dell'ultimo saggio, pubblicato postumo nel 1967, intitolato Le due tensioni, ultima indagine sulle teorie del linguaggio per le sue opere, vale a dire una critica di quel linguaggio poetico al di là dei contenuti. Quasi un’anticipazione dei concetti metalinguistici che Umberto Eco ebbe cari nei decenni dopo. Ma già dal 1963 Elio - dopo una vita privata non facile sentimentalmente, coll'amore giovanile contrastato per Rosa Quasimodo; per gli amori partigiani durante la Resistenza, fino all'amore ricambiato più duraturo con Ginetta Varisco a Milano nel dopoguerra, nonché fortemente scosso nel 1965 per la morte del figlio Giusto - venne colpito da cancro allo stomaco e per due anni a Milano lo combatté aspramente, fino al 13/02/1966 giorno della sua morte.
 
E Günter? Dopo le lodi per Il tamburo di latta e per le sue controverse novelle legate al gruppo 47 - un movimento culturale nato a Monaco di Baviera dal 1947 al 1967, dove vari scrittori di sinistra tentarono di far risorgere la cultura tedesca distrutta da quella nazista e per di più negli anni '50 passata sotto silenzio per effetto della censura americana - passato il suo amore per Willy Brandt anche per effetto degli scandali causati dalla corruzione del governo; Günter modificò il suo orientamento politico, criticando aspramente sia il movimento femminista nel 1977; sia lo stesso gruppo'47 di cui aveva fatto parte, col romanzo L'incontro di Telgte, 1979, dove, sul modello dell'ultimo Hesse - Il gioco delle perle di pietra del 1948 - trasferisce quell'esperienza di circolo intellettuale nel 1647, all'indomani della guerra dei 30 anni, davanti alla Germania del tempo culturalmente perduta. Qui degli intellettuali baroccheggianti cercavano un ritorno all'ordine, sistematicamente dissolto dal correre degli eventi.
Günter, come Elio? Günter che non vede più nel socialismo il sole dell'avvenire? Günter che vede solo formule astratte, che non capisce più il senso della presunta difesa dei deboli e degli emarginati? Che vede il PSD un partito di potere, fra scandali, menzogne, corruzione, che non prova più alcun senso di colpa? Günter come Elio rifiuta di far da cantore della politica dominante, ma che piuttosto deve fare i conti con la macchina mai sopita del Nazismo. E come le reticenze al riguardo non mancarono - come non mancarono nel 1945/1947 nel PCI di Togliatti - così Günter riaprì la porta e tornò sulle ragioni delle uccisioni naziste; sullo Stato che li promosse e sulla stessa Shoah. Ma già si chiedeva criticamente nel libro di storia critica del 1999, Il mio secolo (dove in 100 brevi racconti disegna un panorama culturale del secolo in Europa e in Germania), perché non parlare anche e parallelamente dei mostri comunisti? Della vita totalitaria nell'Est? Poi, venne nel 1999, il Nobel per la letteratura, un riconoscimento che avrebbe meritato lo stesso Elio, tanto era comune la disillusione di ambedue rispetto al fallimento del regime sovietico. Come Elio, dunque, Günter si pose contro il senso comune.
Günter Grass

Non banalizzò il male, come fece Hannah Arendt, ma riconobbe le colpe della Germania e rincarò la dose contro il Comunismo. E come ogni presunzione di colpevolezza, cercò giustificazioni anche per il Nazismo; vero è che le stragi erano ingiustificate e che Eichmann meccanicamente senza farsi domande uccise esseri umani indifesi. Ma, prosegue inaspettatamente Günter, occorreva del pari il grande territorio russo per sfamare i tedeschi; che il furto nei confronti degli ebrei polacchi imponeva anche il loro assassinio per evitare future rivendicazioni; che ancora la schiavitù dei popoli conquistati derivava dalla necessità di avere manodopera a costo zero nell'industria bellica. I tedeschi ben presto vennero accerchiati e tanti morirono per i bombardamenti e gli stenti.
Proprio nel romanzo Il giorno del gambero (2002), Günter, narrava l'affondamento di una nave passeggeri da parte dei russi; con fervore già sospetto di connivenza, e ben più del Mio secolo, di qualche anno prima, iniziava una conversione alle ragioni della guerra e della tragedia tedesca del '900. Qui Günter non è più il gemello di Elio, perché con una esplosiva intervista al Frankfurter Allgemeine Zeitung del 11/8/2006, ormai a 78 anni, dichiarava di aver militato da volontario nel 1944 nella 10. SS-Panzer-Division Frundsberg delle Waffen-SS. Era per quelli della sua generazione un modo per fuggire dai genitori e dall'ambiente asfissiante e immobile, rincarando le polemiche nella sua marcia indietro rispetto alle battaglie combattute negli anni '70 e '80. Mentre Elio aveva riconosciuto in Diario in pubblico, l'ansia di cambiamento giovanile che lo aveva spinto a fuggire di casa e di essere stato fascista, per poi distaccarsene non appena riconobbe gli orrori di quella ideologia, passando al PCI clandestino, ma in una logica di buona fede nella rivoluzione sociale, tanto che poi ulteriormente lo abbandonerà quando né capì la malafede e il pensiero unico che lo dominava, attestandosi come si disse su una posizione critica su ambedue gli estremismi fino alla morte.
Günter sembrava aderire a una rilettura giustificazionista insospettata che lascia ancora aperto il dibattito sulla sua persona. Dibattito culturale che scatenò su quella intervista - ribadita e addirittura approfondita nei libri di memorie Sbucciando la cipolla del 2007 e Grimms Wörter del 2010 - e che divise l'intellighenzia mondiale fra chi voleva addirittura che restituisse il Premio Nobel e chi caparbiamente opponeva che le sue opere vivevano di vita propria. Anzi, da ultimo, Günter, in modo imperterrito e senza alcuna precauzione, attaccava Israele sul finire dei suoi anni, rispolverando la vena poetica della sua gioventù, declamando Was gesagt werden muss, quello che va detto, un'ode contro Israele a favore dell'Iran. E poi, quasi sul letto di morte, la lirica Ignominia d'Europa, contro la patria germanica a favore della Grecia. In ambedue i casi va ancora controcorrente, chiedendo non solo un controllo nucleare serio su Israele, ma anche una riforma radicale dell'Unione Europea, di già figlia delle banche e matrigna dei popoli.
Del resto, Elio muore nel 1966, non tanto nella solitudine e nella polemica, come il sodale Günter, ma certamente rivolto al nuovo che avanza, dove l'ultimo romanzo abbozzato - Le città del mondo - esprimeva una formidabile denuncia sociale delle aree abbandonate delle periferie delle grandi città italiane all'epoca piene di immigrati italiani e oggi di extracomunitari. Opera che era anche piene di gusto favolistico e di dialoghi interiori, unica per pensieri ed emozioni fondate sull'eterna tensione fra il mondo dei bambini e il mondo degli adulti. E del pari Günter, prima di spirare, dettò Vonne Endlichkait, un'opera provocatoria di ultimi ricordi, sulla finitezza e la caducità della vita umana, dove dialoga con se stesso, ripetendo poesie sulla nostalgia, disegnando sulla carta topi morti, corvi, gusci e lumache che segnano, spesso in modo curvo e con rara tristezza la vita umana. Elio e Günter, due uomini contro la decadente pretesa di una vita lineare e confortevole, buona soltanto a ubbidire senza pensare.

Giuseppe Moscatt

 
 
Bibliografia
Su Elio Vittorini, vd. GOFFREDO FOFI, Elio Vittorini, su https://confronti.net, 19.5.2021, nonché SANDRO BRIOSI, Invito alla lettura di Elio Vittorini, Mursia, Milano, 1976.

Su Günter Grass, cfr. GIULIO SCHIAVONE, Günter Grass, un tedesco contro l'oblio, Carocci, Roma, 2011. Più di recente, vd. La Repubblica dell'11 agosto 2025, Un ricordo di ANDREA TARQUINI a 10 anni dalla morte.

Nietzsche argomenti vari 58. Ecce homo. Umano troppo umano 1. La spietatezza di Voltaire.


 

 

 

“Umano, troppo umano” è il monumento di una crisi. Dice di essere un libro per spiriti liberi: quasi ogni frase vi esprime una vittoria-con quel libro mi sono liberato da ciò che non  apparteneva alla mia natura. L’idealismo non mi appartiene: il titolo dice “dove voi vedete cose ideli, io vedo-cose umane, ahi troppo umane!

Qui il termine “spirito libero”  deve essere inteso solo in un senso: uno spirito diventato libero, che ha ripreso possesso di se stesso”.

 

In effetti diverse sono le cause fuorvianti, alcune comuni a un popolo intero, altre personali. Credo che la famiglia abbia una parte preponderante nel fuorviarci siccome tende a spingerci verso il conformismo. Poi la religione, il lavoro, certe compagnie.

Un aiuto dovrebbe venire da una buona scuola con ottimi educatori. Alcune qualche aiuto lo danno. Poi soprattutto gli autori accrescitori. I miei massimi auctores sono stati i drammaturghi greci. Se posso suggerirvi altri nomi considerate quelli degli autori che ricordo più spesso nei miei scritti.

 

“La pubblicazione del libro nel 1878 in certo modo si giustifica per la coincidenza con il centenario della morte di Voltaire.

Voltaire, all’opposto di tutti coloro che scrissero dopo di lui, è anzitutto un graindseigneur dello spirito”.

 

Io non ne sono mai stato attirato, tanto è vero che lo conosco pochissimo e per sentito  dire più che per lettura diretta. Nel leggere, dato che non si può leggere tutto, abbandono presto gli autori che non “sento” che non mi risuonano dentro.

A questo proposito sentiamo J. L. Borges : "Nel mio testamento, che non ho intenzione di scrivere, consiglierei di leggere molto, ma senza lasciarsi condizionare dalla reputazione degli autori. L'unico modo di leggere è inseguendo una felicità personale. Se un libro vi annoia, fosse pure il Don Chisciotte, accantonatelo: non è stato scritto per voi… Non ho insegnato agli studenti la letteratura inglese, che ignoro, ma l'amore per certi autori. O meglio per certe pagine. O meglio, di certe frasi. Ci si innamora di una frase, poi di una pagina, poi di un autore"[1].

 

Torno a Nietzsche anche per vedere se mi convincerà a leggere Voltaire.

“A guardar meglio si scopre uno spirito spietato, che conosce tutti i ripostigli dove l’ideale sta di casa”.

 

Ecco, appunto: la spietatezza a me non piace. Se non magari verso me stesso tenuto a osservare una disciplina.

 

“Con una fiaccola in mano, ma una fiaccola che non “sfiaccola”, si fa luce, un chiarore tagliente in questa oltretomba dell’ideale. E’ la guerra, ma una guerra senza polvere da sparo e senza fumo, senza pose guerresche, senza pathos né membra contorte-tutto questo sarebbe ancora “idealismo”. Un errore dopo l’altro viene tranquillamente messo sul ghiaccio, l’ideale non viene confutato-congela-  Qui per esempio congela “il genio”; in quell’altro angolo congela “il santo”; sotto una spessa lastra di ghiaccio congela “l’eroe”, la cosiddetta “convinzione”, anche la “compassione” si raffredda considerevolmente-quasi dovunque congela “la cosa in sé”.

 

Nei confronti di Platone c’è coerenza da parte di Nietzsche. Ma verso il razionalismo, già a torto da lui arbitrariamente attribuito senza risparmio di infamia a Euripide e Socrate, trovo un’incoerenza madornale, perché il congelamento del mito e dell’eroe in Voltaire è invece approvato, sia pure ambiguamente. A me almeno pare così. La spietatezza proprio non mi piace e questo mio commento è piuttosto emotivo che razionale.

 

Villa Fastiggi primo settembre 2025 ore 7, 32  giovanni ghiselli.

 

 

 

 



[1] Dall'articolo  di P. Odifreddi Se in cattedra sale un genio in “ Il Sole-24 ore” del 13 gennaio 2002, p. 33.


Autori greci e latini in Shakespeare 6.


 

 

Antifemminismo in diversi autori.

Nel Cimbelino[1] ,  Postumo Leonato, che si crede tradito da sua moglie Imogene, impreca contro le donne e la necessità di mettere al mondo i figli con loro: “Is there no way for men to be, but women-Must be half-workers?We are all bastards,-And that most venerable man, which I-Did call father, was I know not where-When I was stamp’d ” (II, 5), non c’è modo per gli uomini di esserci, senza che le donne facciano metà del lavoro? Noi siamo tutti bastardi, e quell’uomo rispettabilissimo che io chiamavo padre, era chissà dove, quando io fui coniato.

Leonato continua maledicendo le donne e attribuendo loro tutti i vizi: “ That tends to vice in man, but I affirm- It is the woman’s part: be it lying, note it,-The woman’s: flattering, hers; deceiving, hers:-Lust, and rank thoughts, hers, hers; revenges, hers;-Ambition, covetings, change of prides, disdain,-Nice longing, slanders, mutability[2];-All faults that name, nay, that hell knows, why, hers-In part, or all: but rather all.” Quello che spinge l’uomo al vizio, io affermo, deriva solo dalla donna: sia esso il mentire, notate, è della donna: la lusinga è sua, l’inganno è suo: la lussuria, i pensieri immondi, suoi, suoi; le vendette, sue; ambizione, bramosie, superbie variabili, disprezzo, bizzarri desideri, calunnie, volubilità; tutte colpe che hanno un nome, anzi che l’inferno conosce, ebbene sono sue, in parte o in tutto: ma piuttosto in tutto.    

 

Nell'ultimo atto della commedia The Taming of the Shrew (1594) ambientata tra Padova e Verona, , la bisbetica, infine domata, proclama: l'obbedienza che un suddito deve al suo re, la donna deve a suo marito. Quindi, del tutto pentita, aggiunge:"I am ashamed that women are so simple/To offer war where they should kneel for peace,/Or seek for rule, supremacy, and sway,/When they are bound to serve, love, and obey", mi vergogno che le donne siano così sciocche da offrir guerra mentre dovrebbero chiedere la pace in ginocchio; o cerchino il governo, la supremazia, il predominio, quando sono destinate a servire, ad amare e a ubbidire"[3].  Shakespeare forse risente  di una   prescrizione dell'apostolo Paolo:"wJ" ejkklhsiva uJpotavssetai tw'/ Cristw'/, ou{tw" kai; aiJ gunai'ke" toi'" ajndravsin ejn pantiv" (Epistola agli abitanti di Efeso , 5, 22), come la Chiesa è soggetta a Cristo, così anche le mogli ai mariti in ogni cosa.

 

Cfr. Andromaca nelle Troiane e nell’Andromaca di Euripide sulla propria sottomissione a Ettore

 

Vediamo alcune espressioni della fantasia, contraria alla natura, di generare figli senza l'unione tra l'uomo e la donna. L’amore etero e omosessuale

 Euripide, Milton, Curzio Rufo, Platone, Ariosto, Fromm, Ibsen, Joyce.

 

Sentiamo innanzitutto Giasone nella Medea di Euripide :"Crh'n ga;r a[lloqevn poqen brotou;"-pai'da" teknou'sqai, qh'lu d j oujk ei\nai gevno": -cou{tw" a]n oujk h\n oujde;n ajnqrwvpoi" kakovn" (vv. 573-575), bisognerebbe in effetti che gli uomini da qualche altro luogo/generassero i figli e che la razza delle femmine non esistesse:/e così non esisterebbe nessun male per gli uomini.

Insomma il male è la femmina.  

Un motivo  presente anche nel Paradise Lost (1658-1665) del "puritano d'incrollabile fede"[4] John Milton (1608-1674). In questo poema  Adamo si chiede perché il Creatore, che ha popolato il cielo di alti spiriti maschili, ha creato alla fine sulla terra questa novità, questo grazioso difetto di natura ( this fair defect [5] of Nature ) e non ha riempito subito il mondo con uomini simili ad angeli senza il femminino, o non ha trovato un altro modo per generare l'umanità ("or find some other way to generate Mankind? ", X,  888 e sgg.).

 

Nell'Ippolito il protagonista, sdegnato con la matrigna, è talmente disgustato e terrorizzato dalle donne,  ingannevole male per gli uomini (" kivbdhlon ajnqrwvpoi"  kakovn ", v. 616), male grande ("kako;n mevga", v. 627), creatura perniciosa, o, più letteralmente, frutto dell'ate[6] ("ajthrovn[7]...futovn", v. 630), che auspica la loro collocazione presso muti morsi di fiere (vv. 646-647) e la propagazione della razza umana senza la partecipazione delle femmine umane.

Traduco alcune parole del "puro" folle che dà in escandescenze:

 "O Zeus perché ponesti nella luce del sole le donne, ingannevole male per gli uomini ?  Se infatti volevi seminare la stirpe umana, non era necessario ottenere questo dalle donne , ma bastava che i mortali mettendo in cambio nei tuoi templi oro e ferro o un peso di bronzo, comprassero discendenza di figli, ciascuno del valore del dono offerto, e vivessero in case libere, senza le femmine. Ora invece quando dapprima stiamo per portare in casa quel malanno, sperperiamo la prosperità della casa" (vv. 616-626).

 

 Nelle Baccanti di Euripide il coro delle menadi durante il secondo stasimo ricorda la nascita di Dioniso dalla coscia di Zeus:“ Figlia di Acheloo,/maestosa e bella vergine Dirce,/tu infatti una volta nelle tue acque/accogliesti il figlio di Zeus,/quando Zeus il genitore lo sottrasse/con la coscia al fuoco immortale/gridando così :/Vieni, Ditirambo, entra/in questo mio maschio grembo” (vv. 519-527).

Un mito del quale Curzio Rufo denuncia la falsità quando racconta che Alessandro Magno giunse a Nisa, tra i fiumi Cofen  e Indo. Dopo un breve assedio, i Nisei, che asserivano di discendere dal padre Libero, capitolarono. "Sita est <urbs>sub radicibus montis quem Meron incolae appellant; inde Graeci mentiendi traxēre licentiam Iovis femine Liberum Patrem esse celatum (Historiae Alexandri Magni, 8, 10, 12), la città è situata sotto il monte che gli abitanti chiamano Meros; di lì i Greci  si presero la libertà di inventarsi che il Padre Libero era stato nascosto nella coscia di Giove

Nelle Questioni d'amore dello Pseudo- Luciano il personaggio di Caricle corinzio che propugna l'amore eterosessuale afferma che nessun uomo può vantarsi di essere nato da un uomo: "oujdei;~ d  j ajnh;r ajp j ajndro;~ aujcei' genevsqai" (19).

 

Nel Simposio di Platone, Pausania intende correggere il precedente discorso encomiastico di Fedro nei confronti di Eros, facendo una distinzione tra due forme di Amore e due varietà di Afrodite. La più antica (presbutevra) e nobile, Urania, è figlia del Cielo (Oujranou' qugavthr) ed è nata senza madre (ajmhvtwr, 180 d);

 la più recente è figlia di Zeus e Dione e noi la chiamiamo Volgare, Usuale (Pavndhmon kalou'men, 180 e). Così gli Amori, figli di Afrodite, sono due: uno celeste, come la madre, e uno volgare al pari della madre sua. Dunque bisogna elogiare (dei' ejpainei'n) solo Eros figliolo di Afrodite Urania. Infatti l'altro Eros, quello nato da Afrodite Volgare, è veramente volgare e agisce a casaccio, e questo è l'amore che prediligono oiJ fau'loi (181 b), gli uomini dappoco. Costoro infatti amano le donne non meno dei ragazzi, amano i corpi più delle anime e amano le persone che siano il più possibile prive di intelligenza, mirando ad avere relazioni sessuali (pro;~ to; diapravxasqai movnon blevponte~).

Afrodite Celeste dunque non partecipa della natura femminile, e gli uomini ispirati da Eros Celeste, figlio di tale madre, si rivolgono ai maschi che sono più forti e intelligenti delle donne.

 

 

 

 

Nell'Orlando furioso (1532) troviamo echi di questo risentimento contro le donne, messi in bocca al personaggio di Rodomonte, scartato da Doralice.

Prima il"Saracin" biasima l'instabilità e la perfidia delle donne:" Oh feminile ingegno,-egli dicea-/come ti volgi e muti facilmente[8],/contrario oggetto a quello della fede!/Oh infelice, oh miser [9] chi ti crede!" (27, 117). 

 Quindi Rodomonte  aggiunge il motivo esiodeo della femmina umana[10] imposta come punizione all'umanità maschile:"Credo che t'abbia la Natura e Dio/produtto, o scelerato sesso, al mondo/per una soma, per un grave fio/de l'uom[11], che senza te saria giocondo:/come ha prodotto anco il serpente rio/e il lupo e l'orso, e fa l'aer fecondo/e di mosche e di vespe e di tafani,/e loglio e avena fa nascer tra i grani" (27, 119). Infine l'amante infelice rimprovera la Natura, come Ippolito e Giasone, poiché costringe gli uomini a mescolarsi con le donne per la riproduzione:"Perché fatto non ha l'alma Natura,/che senza te potesse nascer l'uomo,/ come s'inesta per umana cura/l'un sopra l'altro il pero, il sorbo e 'l pomo?/Ma quella non può far sempre a misura:/anzi, s'io vo' guardar come io la nomo,/veggo che non può far cosa perfetta,/poi che Natura femina vien detta"(27, 120).

 

   Questo desiderio del maschio deluso è stato realizzato per sé dal Dio biblico che crea il mondo senza alcuna presenza femminile, come fa notare Fromm:"Il racconto non ha inizio con le parole:" In principio era il caos, in principio era l'oscurità", bensì, "In principio Dio creò...."-dunque lui solo, il dio maschile, senza intervento né partecipazione da parte della donna-cielo e terra. Dopo l'interruzione di una frase in cui risuonano ancora le antiche concezioni, il racconto prosegue:"E dio disse:"sia la luce", e la luce fu (Gn. 1, 3). Qui in tutta chiarezza compare l'estremo della creazione solamente maschile, la creazione per mezzo esclusivo della parola, la creazione attraverso il pensiero, la creazione attraverso lo spirito. Non si ha più bisogno del grembo materno per generare, non più della materia: la bocca dell'uomo che pronuncia una parola ha la capacità di creare la vita direttamente e senza bisogno d'altro (...) Il pensiero che l'uomo sia in grado di creare esseri viventi soltanto con la sua bocca, con la sua parola, dal suo spirito, è la fantasia più contronatura che sia immaginabile; essa nega ogni esperienza, ogni realtà, ogni condizione naturale, spazza via ogni vincolo posto dalla natura per raggiungere quell'unico  scopo: rappresentare l'uomo come assolutamente perfetto, come colui che possiede anche la capacità che la vita sembra avergli negato: la capacità di generare"[12].

 

 E meno male che poi "il Signore Dio disse:"Non è bene che l'uomo sia solo: gli voglio fare un aiuto che gli sia simile" (Genesi, 2, 23).

 

  Alonge denuncia l'invidia del ventre femminile da parte dei maschi nei drammi di Ibsen, in particolare in Il costruttore Sollness del 1892:"L'uomo odia la donna, la odia perché ha invidia del suo ventre…Non ci sono donne nella religione del capitale. Il dio padre corrisponde esattamente al dio creatore. Il Figlio discende direttamente e misteriosamente dal Padre. Nell'olimpo cristiano la Vergine tenta di nascondere a malapena un evidente processo di partenogenesi maschile"[13].

L’antifemminismo auspica la sottomissione della donna per il bene della pace tra l'uomo e la sua compagna che non deve essergli ostile.

 

Villa Fastiggi primo settembre 2025 ore 6, 59 giovanni ghiselli

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[1] Del 1610

[2] Cfr.  "varium et mutabile semper/femina " diVirgilio (Eneide , IV, 569-570).

 

[3] W. Shakespeare, La bisbetica domata, V, 2.

[4] C. Izzo, Storia della letteratura inglese, p. 517.

[5] Cfr. questo nesso ossimorico con kalo;n kakovn, bel malanno, sempre riferito alla donna da Esiodo nella Teogonia ( v. 585). Ci torneremo più avanti.

[6] L'accecamento mentale, una smisurata forza irrazionale.

[7] La protagonista dell'Andromaca fa l'ipotesi:" eij  gunaikev~ ejsmen  ajthro;n kakovn "(Andromaca, v. 353), se noi donne siamo un male pernicioso.

[8] Cfr. il già citato "varium et mutabile semper/femina " diVirgilio (Eneide , IV, 569-570).

 

[9] Questo miser risale alla letteratura latina nella quale, a partire da Catullo, dicono alcuni,  assume il significato di persona infelice per l'amore non contraccambiato.  In realtà se ne trovano già diversi esempi in Plauto. Qui ne do un paio:"miseriorem ego ex amore quam te vidi neminem" dice l'anziano Alcesimo al vecchio amico Lisidamo innamorato di Casina (v. 520), non ho mai visto uno più infelice, per amore, di te. Più avanti lo stesso innamorato conferma:"Neque est neque fuit me senex quisquam amator adaeque miser" (685), non c'è e non c'è stato un vecchio innamorato infelice quanto me. 

[10] Pandora

[11] Cfr. il mito di Pandora nei poemi di Esiodo (Teogonia e Opere e giorni)

[12]E. Fromm, Amore sessualità e matriarcato , trad. it. Mondadori, Milano, 1997. p. 104 e 105.

[13] R. Alonge, Epopea borghese nel teatro di Ibsen, Guida Editori, Napoli, 1983, p. 139.


Errata corrige.


L’amico pesarese che ha avuto una vita parallela alla mia è venuto a trovarmi due volte qui all’istituto Santo Stefano di Villa Fastiggi, non una come scrissi erroneamente qualche giorno fa.

  Mi fa sapere che verrà una terza volta prima del mio ritorno a casa. E mi fa piacere. Ci conosciamo dal ginnasio, poi al liceo; ci siamo frequentati assiduamente all’Università, al Galvani, alla SSIS e seguitiamo ancora. E’ un buon amico e una cara persona. Gli sono grato.

giovanni ghiselli detto gianni.


P. S.


 

A pagina 6 del medesimo giornale leggo di due manifestazioni.

 Voglio darne notizia. Ecco i titoli

“Venezia per la Paestina

il cinema si mescola

tra le migliaia di pacifisti”

 

“La fiaccolata invade Genova

salpata la Flotilla umanitaria”.

 

Meno male, anzi bene: è un buon inizio.

 

Villa Fastiggi 31 agosto 2025 ore 20, 05 giovanni ghiselli

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“La strage del pane”


Sono le parole chiave di un articolo che leggo nella pagina 4 del quotidiano “la Repubblica” di oggi.  Il titolo del pezzo è questo

Nell’assedio di Gaza City

uccisi in coda per il pane

“Scappare è impossibile”

L’Idf colpisce le persone in attesa davanti a  un forno: undici morti.

Cri: “sfollamento inattuabile”. Nuovi tagli agli aiuti umanitari”.

 

Commento

L’Idf è un acronimo, una scrittura ora di moda meno chiara di una successione di segni bustrofedici.  Viene usata sempre più spesso per non attribuire la responsabilità dei massacri a criminali certi. Cri dovrebbe essere la croce rossa italiana ma non ne sono sicuro.

 I numeri dell’eccidio  invece non mancano: “Chi era in fila davanti al forno è stato investito dall’esplosione, dozzine i feriti nell’ennesima giornata di sangue , con 66 morti (65 dei quali erano in cerca di aiuti umanitari) nella Striscia che attende, ormai impotente, l’ultimo assalto all’ultima città”. I numeri del resto sono confusi: nel titolo erano 11, ora diventano 66. Confondere serve a imbrogliare.

Cerco di semplificare e trarre la verità dalla latenza.

Gaza è la città dove la civiltà occidentale ha perso gli estremi  bagliori della propria cultura e umanità: queste azioni criminalissime che non sono state condannate per tanti mesi dai governi europei, che non vengono impedite nemmeno adesso dopo decine di migliaia di vittime, segnalano il trionfo della barbarie e della disumanità, la negazione di secoli di arte, di bellezza, di civiltà. La strage del pane è la fine della nostra umanità.

In un modo o in un altro ne siamo tutti complici. Ogni festa, ogni banchetto, tutti i ludi dovrebbero cessare in segno di lutto fino a quando questo orrore continuerà.

 

Villa Fastiggi 31 agosto 2025 giovanni ghiselli

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Nietzsche argomenti vari 57. Ecce homo. La nascita della tragedia 1 -2.


 

Inattualità della Nascita della tragedia

 

“Proprio la tragedia è la prova che i Greci non erano pessimisti: su questo punto, come su tutto il resto, Schopenhauer si è sbagliato”.

 

In effetti il dolore può condurre all’intelligenza- cfr. tw`/ pavqei mavqo~  dell’Agamennone di Eschilo (v. 177)  e a[rti manqavnw dell’Alcesti di Euripide (v. 942), un dramma  che ha pure un lieto fine.

 

Se la si prende in mano con una certa neutralità di spirito, La nascita della tragedia ha un’aria molto inattuale; nessuno si sognerebbe di pensare che fu cominciata quando tuonavano i cannoni della battaglia di Wörth (dell’agosto del 1870 ndr). Ho meditato lungamente questi problemi nelle fredde notti di settembre davani alle mura di Metz, quando facevo servizio di infermeria. 

 

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 Si potrebbe credere addirittura che quest’opera sia stata scritta 50 anni prima. E’ indifferente alla politica-oggi si direbbe “non tedesca”, ha un ripugnante odore hegeliano e in certe formule è impregnata del profumo di cerimonie funebre di Schopenhauer. Un’idea –l’opposizione di apollineo e dionisiaco –tradotta in metafisica; la storia stessa vista come lo sviluppo di questa idea; l’opposizione risolta in unità nella tragedia”. Apollineo e dionisiaco è comunque una delle “due innovazioni decisive del libro”.

 

Questa fu una innovazione decisiva anche per me nel 1975 quando iniziai a insegnare e gli studenti dell’ultimo anno del liceo Rambaldi di Imola insoddisfatti del mio limitarni a tradurre l’Edipo re, a dire a pappagallo i paradigmi e a ripetere i manuali, mi chiesero di  spiegare questo libro dato che avevo fatto l’Università. Ma all’Università non mi avevano nemmeno menzionato La nascita della tragedia, né apollineo né dionisiaco. Tanto meno ne avevo sentito parlare nel liceo di Pesaro.

 

Era ancora inattuale dunque La nascita della tragedia, almeno tra i miei professori.

Era fuori tempo anche in Germania nel 1872  pure tra quasi tutti gli addetti ai lavori che la stroncarono quando Nietzsche osò scrivere e pubblicare tale opera inattuale tra i filologi della filologia “deretana”  come la chiamò Rohde  che, come Wagner e  Burckhardt, prese le difese di Nietzsche

 

Comprai il libro ne studiai con grande impegno tutti i capitoli e imparai tante cose che riferìi.

Non era inattuale solo per me l’apollineo e il dionisiaco. I colleghi rimasero stupefatti ma questi di Imola non cercarono di danneggiarmi. Il preside, una brava e cara persona, Davide Ciotti addirittura mi incoraggiò dicendo che mi faceva onore l’impegno che mettevo nel lavoro

 

“In tutto il libro, silenzio profondo, ostile sul cristianesimo, il quale non è apollineo né dionisiaco: il cristianesimo nega tutti i valori estetici-gli unici valori che vengano riconosciuti nella Nascita della tragedia: nel senso più profondo esso è nichilistico, mentre nel simbolo dionisiaco viene raggiunto il limite estremo dell’affermazione. Una volta si fa accenno ai sacerdoti cristiani come a una “perfida specie di nani”, di esseri sotterranei”.

Nietzsche era figlio di un pastore protestane, morto del resto nel 1849 e nipote di un altro pastore protestante, il padre della madre. Talora nel cristianesimo Nietzsche   salva gli aspetti “rinascimentali” del cattolicesimo.

L’altra innovazione è “Socrate come strumento della disgregazione greca”. Ma questo l’abbiamo già visto

Devo piuttosto chiarire altro.

Nel capitolo XX della Nascita della tragedia Nietzsche mette in rilievo con simpatia la solitudine e l’inattualità di Schopenhauer.

Il filosofo allora venerato  viene assimilato al Cavaliere con la morte e il diavolo di Dürer (incisione a bulino del 1513), solo col destriero e il cane. dmperturbato dai suoi orrendi compagni

“Un tale cavaliere di Dürer fu il nostro Schopenhauer, gli mancò ogni speranza, ma volle la verità. Non esiste un suo pari.”

Nella III inattuale Schopenhauer come educatore (1874) Nietzsche lo assimila invece a Montaigne: “Schopenhauer ha in comune con Montagne una seconda qualità oltre l’onestà: una reale serenità rasserenante: aliis laetus , sibi sapiens (capitolo 2).

Quanto a Hegel, “l’opposizione di apollineo e dionisiaco risolta in unità nella tragedia” risente della sintesi hegeliana di tesi e antitesi, quella raccomandata nell’Estetica e indicata nelle Eumenidi di Eschilo.

 Quanto alla negazione di apollineo e dionisiaco nel cristianesimo e al nichilismo di questa religione, tale critica secondo me è applicabile magari a certi preti e pseudoprofeti, ma non al Nuovo Testamento. Il nichilismo è anzi dilagato con la fine della pietas, quella pagana denunciata da Sofocle e quella cristiana  sostituita dalla teocrazia del denaro, dall’idolatria, mai abbastanza indicata come male.

Nel Nuovo Testamento il Cristo compie un gesto dionisiaco alle nozze di Cana  trasformando l’acqua in vino (Giovanni, 2, 7-9).

Né mancano  “nulla di troppo e conosci te stesso”, cioè l’apollineo nelle parole di Gesù.

 

 

 

 

 

 Ecce homo. La nascita della tragedia 2

La vita come problema. Il coraggio di osare la verità

 

“Ero il primo a vedere il vero contrasto: da una parte l’istinto degenerante che si rivolta contro la vita con rancore sotterraneo-il cristianesimo, la filosofia di Schopenhauer, in un certo senso già la filosofia di Platone, tutto l’idealismo ne sono forme tipiche- e dall’altra una formula della affermazione suprema, nata dalla pienezza, dalla sovrabbondanza, un dire sì senza riserve, al dolore stesso, alla colpa stessa, a tutto ciò che l’esistenza ha di problematico e di ignoto”.

 

In effetti la tragedia greca ci insegna a vedere la donna, l’uomo, il matrimonio, il mettere al mondo dei figli, tutta la vita insomma come problema. Una volta un collega ottuso mi fece: che cosa significa come problema? Diedi una risposta soltanto tecnica: provblhma è una parola greca che  significa “qualcosa che ci viene gettata davanti, da probavllw”, è un ostacolo”

“E’ una delle tue fantasie- replicò lui- un problema soltanto tuo, Era un “chiarissimo” professore di greco. Un problema da affrontare oggi tra i primi è quello della selezione degli insegnanti in base alla loro preparazione.

 

Ma domando con Giovenale: quis custodiet  ipsos/ custodes? " (VI, 347-348).

 

“Quest’ultimo, gioiosissimo, straripante-arrogantissimo sì alla vita non solo è la visione suprema , ma anche la più profonda, confermata e sostenuta col massimo rigore della verità e della scienza”.

 

Ora invece prevale il no alla vita e il no alla verità. Basta pensare alla guerra e alla propaganda che se ne fa.

 

“Per capire questo ci vuole coraggio e, come sua condizione, un eccesso di forza: perché, nella misura della propria forza , ci si avvicina alla verità solo di quanto il coraggio può avventurarsi avanti”.

 

Per pensare la verità ci vuole intelligenza, per dirla ci vuole il coraggio di osare l’inattuale poiché oggi è invece attuale la menzogna.

 

“La conoscenza, il dire sì alla realtà, è una necessità per il forte, così come lo è per il debole, per ispirazione della debolezza, la viltà e la fuga dalla realtà: l’ideale”.

 

Mi permetto di correggere: non a tutta la realtà bisogna dire sì e farlo non è sempre un atto di coraggio: dire sì al crimine che fa parte della realtà, alla guerra che è lo scelus maximum, alla menzogna  ovunque diffusa è complicità e viltà.

 

Villa Fastiggi,  31  agoto 2025, ore 16, 18  giovanni ghiselli

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