Elio vedeva nel fascismo appena giunto al potere una forza culturale dove poter esprimere le ansie giovanili di rivolta contro la società immobile siciliana che aveva conosciuto in lungo e in largo fin da ragazzo, viaggiando fin dall'infanzia al seguito del padre ferroviere nei suoi spostamenti di lavoro. Günter, del pari, negli anni '30 nella tedesca Danzica, cresceva inquieto in una famiglia di religione mista, un madre cattolica e polacca e un padre protestante. Come Elio era critico verso i genitori piccoli borghesi, imbevuti di nazionalismo nella Danzica finalmente germanica. Cresciuti ambedue però per esprimere un messaggio lirico. Dovettero uscire dalla loro terra per andare nelle città del mondo.
E dunque l'uno fugge dalla Sicilia; e l'altro corre al fronte russo. Elio lavora in Friuli, poi a Firenze e poi a Milano, fra riviste letterarie e case editrici, traduttore dei grandi scrittori americani e inglesi - Faulkner, Poe, Lawrence, John Fante - e insieme al giovane amico Vasco Pratolini, nel 1936 incita i giovani fascisti a combattere in Spagna per la Repubblica e non già per Franco, linea politica vicina al Partito comunista di Gramsci che nel dopoguerra lo espellerà su ordine di Togliatti.
Poi, nel 1939 esce a puntate il romanzo che lo renderà famoso per sempre, Conversazione in Sicilia. Del pari, Günter nel 1942, a 15 anni, riesce a entrare nel corpo ausiliario della Wehrmacht e poi nelle SS. Nel 1945 cade ferito, viene catturato dagli americani e rimane in un campo di prigionia per soldati tedeschi. Liberato nel 1946, lavora in miniera e poi comincia a scolpire volti e animali fantastici, fino a suonare musica jazz nei caffè di Berlino.
E nel periodo fra il 1942 e il 1960, Günter studia ed espone sculture e disegni fra Düsseldorf e Berlino, mentre pubblica le prime due raccolte di poesie. Dapprima Ciò che vogliono i giganti del vento (1959), una raccolta ispirata al teatro dell'assurdo di Beckett e che ha per protagonista gli antichi stiliti, dove venivano ironicamente rappresentate le convenzionali figure della letteratura tedesca della Germania occidentale, immobili, vecchi e paurosi del nuovo che avanza dall'est socialista. La seconda raccolta, Scambi ferroviari, del 1960, approfondiva la vita quotidiana di Berlino, densa di incontri occasionali nelle periferie urbane e lungo i binari della metropolitana. Günter elabora nella scrittura un metodo imparato nell'arte dello scolpire, il realismo magico. Scuola che nel periodo prenazista aveva avuto proprio nell'età di Weimar un singolare sviluppo.
Si voleva cioè innestare su una trama molto leggera e reale - l'incontro casuale - un elemento non naturale, spesso inspiegabile, cui i personaggi si adeguano, pur dopo qualche perplessità. E dunque situazioni non temporali, ma sfumate con ripetizioni del passato, magari con forme di ribellismo al governo totalitario e conformista, come nel caso della Repubblica Democratica Tedesca, un società a pensiero unico dove slavi e tedeschi erano stati forzatamente integrati dal Nazismo e dal Comunismo.
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Elio Vittorini |
E qui torniamo a Elio e all'opera che lo ha definitivamente consacrato, Conversazione in Sicilia. Il protagonista parte da un contesto semplice, il ritorno dalla madre nella terra d'origine, la Sicilia. E' un giovane intellettuale, molto critico della classe dirigente che lo ha appena emarginato, ma ormai libero di pensare. Fu un'opera di traduzione e di immissione di un vento nuovo nel provincialismo della cultura decadente fascista, in una raccolta di novelle americane che demolivano le certezze dominanti, Antologia americana. Nei dialoghi del suo primo grande romanzo, Elio mostrava la sua lettura della vita, svelandone le ingiustizie, le violenze, le miserie della guerra, alzava la voce della protesta dell'uomo contro la prepotenza e il sangue del potere, illuminando con brevi bozzetti la povertà di quelle terre. Ma i personaggi erano visti in forma mitica, dotati di saggezza antica, ripresi dal mondo popolare siciliano, disegnati in modo poetico e immaginario, ribaltando il tradizionale realismo verso un mitico populismo che vigorosamente seppe fare opposizione al Fascismo nel triennio 1939-1942, quando il Regime era ormai in fase calante nell'opinione pubblica (e in fondo, fu simile la posizione di Günter quaranta anni dopo nella Germania comunista).
Nel 1942 Elio passa il guado: dopo aver tentato ancora una volta di giustificare l'anelito naturale di rivolta al pensiero unico, cercò a Weimar di capire l'altro grande fratello del fascismo, partecipando al convegno degli intellettuali nazisti, toccando però con mano le barbare tesi di Joseph Goebbels. Elio intanto entra nella Resistenza, fa parte della redazione clandestina dell'Unità, pubblica per Bompiani il romanzo Uomini e no (1945) tappa miliare della letteratura neorealista e fonda la rivista culturale comunista Il Politecnico, mensile a natura enciclopedica, rivolto a riempire i vuoti della cultura italiana, dopo 20 anni di arretratezza sul mondo moderno, impegnandosi politicamente in una fede quasi irrazionale nel Comunismo, visto come un'ideologia pari al Cristianesimo durante la caduta dell'Impero Romano.
In Uomini e no aveva adottato il metodo angloamericano del dialogo a riprese e ripetizioni continue, quasi un contrappunto musicalmente dissonante, per poi dare significato anche alla parola più secondaria, facendo del dialogo una preghiera alta e coralmente incisiva. E così nelle prime pagine del Politecnico - 28 numeri fra il 1945 e il 1947 - non a caso rappresentò una voce singolare di quel Vento del nord che produsse la Costituzione Italiana e si pose originalmente l'obiettivo di unire le due culture, la classica e la scientifica, sotto la bandiera del Comunismo, prassi politica rigeneratrice delle macerie morali del 2° Conflitto Mondiale. In altri termini, Elio nella sua difficile poetica aveva maturato nel suo pensiero politico e sociale un mondo divenuto improvvisamente utopistico. Credeva cioè che gli ideali comunisti, cristiani e liberali fossero finalmente operativi, in quell'epoca mai più lontani dalla loro concreta attuazione.
Lasciamo per un attimo Elio e torniamo a Günter nella Germania ovest degli anni '60-'80: dal lato politico, il naturale rifiuto del Nazismo, l'appoggio a Willy Brandt, la sua fortissima partecipazione al '68, nonché al movimento pacifista, perfino del 1983 al 1986, la Presidenza dell'Accademia delle Arti di Berlino. Erano scelte legate al Socialismo integrale, fede anche questa dimostrata dall'abbandono della troppo moderata socialdemocrazia parlamentare fino all'azione diretta e alla dissidenza rispetto al governo della Repubblica Federale. Poi nel 1989, di fronte alla prospettiva dell'unione delle due Germania e dopo il crollo del muro di Berlino, dichiarava la sua netta contrarietà, preferendo invece la separazione, sia perché l'abbraccio del capitalismo imperante della Germania occidentale avrebbe riaperto il fronte critico che aveva prodotto il Nazismo, sia perché avrebbe favorito la rinascita di una Europa di nuovo tedesca.
Come l'ultimo Mann, Günter temette fino alla morte il ritorno dell'imperialismo, auspicando sempre e piuttosto una Germania europea. Quando nel 1999 ricevette il Nobel della letteratura, aveva riaperto e ampliato propriamente il filone letterario del suo realismo magico: Il gatto e il topo (1961); Anni di cane (1963); Il diario di una lumaca (1972); Il richiamo dell'ululone (1992); costituiscono la Trilogia di Danzica degli animali, favole contemporanee che descrivevano quello che anche per lui superava il reale, usando una tecnica di scrittura meccanica, quasi discordante come quella di Elio e dei futuristi, dove il sogno e l'ipnosi animavano i caratteri degli animali, sul modello dei Grimm e di Lessing.
Ma l'opera che lo pose al di sopra degli scrittori tedeschi del secondo dopoguerra e che lo mette per Noi accanto a Elio è II tamburo di latta, ormai considerata come un grande affresco delle colpe della Germania del '900. E come Elio aveva scritto Conversazione in Sicilia con la recondita idea di un saggio critico della vera realtà dell'Uomo; così Günter ricerca un'etica e una morale degna del genere umano, giacché il protagonista, un handicappato geniale, scarica la sua vendetta di disabile suonando sempre e con forza un tamburo di latta lungo il periodo nazista, non cessando mai di farsi sentire e di opporre agli altri la sua deformità. Era un uomo contro natura, contro le convenzioni, contro la storia, contro la famiglia, contro lo Stato, contro il capitale.
Ma era un uomo per la giustizia, per il dialogo, per la tutela degli adolescenti e per la loro inviolabilità. E Günter nella figura del tamburino rappresentava come il Nazismo era stato una deformazione della realtà a cui si era dovuto cedere razionalmente, senza alcuna presenza dello spirito umano.
Parallelamente, Elio subiva l'ennesima disillusione: le parole critiche di Brecht dopo i fatti del 1953 a Berlino e le rivelazioni delle stragi staliniane, lo scuotono definitivamente. Già il lungo periodo del Politecnico lo aveva visto polemizzare con Togliatti, sempre più a lui estraneo quando aveva prefigurato una cultura che si ponesse alla testa della lotta contro le diversità sociali e che non si limitasse a consolare gli uomini; soprattutto, quando i governi comunisti avevano tollerato, se non favorito, le alleanze coi nazifascisti. Elio non aveva digerito la politica di copertura ai lager stalinisti, né tanto meno la repressione militare della dissidenza in URSS e nei paesi socialisti. Voleva informare nel modo più imparziale per far sorgere illuministicamente la critica e l'autocritica.
In una parola, mentre Togliatti intendeva educare e poi se il caso informare, Elio credeva nell'opposto. Purtroppo dimenticava che il metodo pedagogico derivava dal gesuitismo ecclesiastico e dalla visione pubblica che tanto aveva avversato in famiglia e che a Firenze lo aveva allontanato dai giovani intellettuali nazionalisti, tanto da escluderlo dalla politica conservatrice dell'ultimo fascismo. Togliatti, peraltro, di fronte alla reazione americana che aveva già ricattato la giovane democrazia italiana, soffiava sul fuoco della ricostruzione del paese, dove la crisi economica e occupazionale minacciava già nel 1947 la sopravvivenza della giovane repubblica. Insomma, Elio rifiutava la rigida obbedienza al partito, mentre Togliatti tentava di far superare lo stallo soltanto con ambigue frasi rivoluzionarie.
Elio voleva rifare dal profondo la cultura italiana del dopoguerra, come ci aveva provato Leopardi un secolo prima e che pure aveva fallito nell'aprirsi alle masse popolari. Togliatti riuscì invece a traghettare il PCI alla democrazia occidentale e a restituire negli anni '60 un partito di sinistra più compromesso e meno ribelle, in armonia alla socialdemocrazia europea e all'integrazione delle classi sociali. Elio non accettò questo programma, legato com'era a quella unità fra vita e fede nella cultura razionale e illuminista, solidarista e innovatrice, non compromessa né dal pensiero unico, né falso borghese e neppure ciecamente ribellista. Voleva indagare, dialogare, prima capire e poi giudicare. Anzi si staccò dalla militanza politica, scrisse alcuni romanzi ancora da decifrare: Il Sempione strizza l'occhio al Frejus, (1946); Le donne di Messina, (1949); Le città del mondo, incompiuto e pubblicato dopo la morte, (1969). Poi si dedicò presso la casa editrice Einaudi alla ricerca di nuovi talenti letterari.
Qui, inizia l'ultima fase del suo percorso: autorizza la pubblicazione dei primi romanzi di Beppe Fenoglio, Carlo Cassola, Italo Calvino e Lalla Romano, nella prolifica collana I gettoni. Comincia anche la sua feconda collaborazione di editorialista sulla Stampa; e nel 1957 pubblica un lungo saggio molto complesso: Diario in pubblico. Per la sua coerenza illuminista e libertaria ebbe però tre gravi infortuni letterari: non capì, né poteva capire ideologicamente non solo Il gattopardo di Tomasi di Lampedusa e Il dott. Zivago di Pasternak - che invece avranno immenso successo qualche anno dopo - ma respinse anche la pubblicazione del Tamburo di latta di Grass. Tuttavia, poco dopo, Elio lo ripresenterà entusiasticamente nell'ultima rivista che diresse, Il Menabò. Invero, come collaboratore editoriale, forte della collaudata esperienza di traduttore di romanzi di lingua inglese fin dalla gioventù, non conosceva il tedesco come l'inglese e dunque rifiutò la prima traduzione del libro del giovane Grass, malgrado fossero già state stampate migliaia di copie nel mondo. Elio lo contestò, un po' perché la Germania faceva a sé, un po' perché non ebbe alcuna guida nella simbologia magica dello scrittore tedesco. Ma nel 1963 Elio cambierà ancora una volta idea, forse per una diversa traduzione e una maggiore dimestichezza linguistica col tedesco, che gli fece mutare atteggiamento: occorreva finalmente una reazione al pensiero unico, contro il nichilismo intellettuale che aveva ingannato tanti scrittori ex comunisti, soprattutto di fronte ai fatti d'Ungheria del 1956.
La cultura occidentale era delusa dal comunismo storico e i cattolici del dissenso erano ancora lontani dal Concilio, senza contare gli illuministi di scuola francese che erano disgustati dal comunismo reale e che stavano però in silenzio di fronte agli eccessi del capitalismo nordamericano e del comunismo sovietico. Elio aveva di nuovo spianato la strada per un nuovo dialogo intellettuale con le nuove generazioni, scrivendo saggi e articoli su giornali e riviste letterarie non completamente asservite alle Chiese di ogni colore.
In sodalizio con il giovane Italo Calvino, Elio aveva fondato finalmente la sua rivista, Il menabò e quasi per sette anni - 1959/1966 - i due intesero promuovere un rinnovamento letterario in termini sperimentali e assai linguisticamente liberi, pur nel quadro di una operazione culturale a largo raggio. L'impresa aveva come modello il linguaggio giornalistico, considerato che col termine menabò veniva da sempre rivisto l'abbozzo di un progetto grafico, in cui a poco a poco il redattore aggiunge i vari articoli, pur nelle singole pagine. Inoltre Elio e Italo volevano un periodico che avesse le stimmate di una collana letteraria, come era stata la rivista Solaria a Firenze negli anni '20, quando Elio nella logica futurista ne aveva bazzicato i tavoli rumorosi di giovani disillusi dall'Italia libera dal primo dopoguerra, metodo che poteva essere ripreso, specie di fronte alla decadenza culturale figlia del boom economico degli anni '60. Franco Fortini, Paolo Volponi, Edoardo Sanguineti, Pier Paolo Pasolini, Carlo Emilio Gadda, per citarne solo alcuni, vi scrissero.
Nondimeno, Elio e Italo si aprirono all'estero e lanciarono i loro missili sulla rivista Gulliver (unico numero!): Roland Barthes Jean Genet, Iris Murdoch, Jean Starobinski e lo stesso Günter Grass (n.7 del 1964), in un saggio in forma di racconto: L'oracolo del baco da farina. E con Günter per pochissimo tempo raggiunse un sodalizio culturale che meriterebbe di essere approfondito.
Furono anni per Elio di forte tensione intellettuale: rientrato per breve tempo in politica - presidente del neonato partito radicale - con Ernesto Rossi, Marco Pannella, Eugenio Scalfari - protestò ufficialmente contro De Gaulle per i fatti di Algeria, diresse una nuova collana di Mondadori e si cimentò ancora nei Nuovi scrittori stranieri. E occorrerebbe una profonda rilettura dell'ultimo saggio, pubblicato postumo nel 1967, intitolato Le due tensioni, ultima indagine sulle teorie del linguaggio per le sue opere, vale a dire una critica di quel linguaggio poetico al di là dei contenuti. Quasi un’anticipazione dei concetti metalinguistici che Umberto Eco ebbe cari nei decenni dopo. Ma già dal 1963 Elio - dopo una vita privata non facile sentimentalmente, coll'amore giovanile contrastato per Rosa Quasimodo; per gli amori partigiani durante la Resistenza, fino all'amore ricambiato più duraturo con Ginetta Varisco a Milano nel dopoguerra, nonché fortemente scosso nel 1965 per la morte del figlio Giusto - venne colpito da cancro allo stomaco e per due anni a Milano lo combatté aspramente, fino al 13/02/1966 giorno della sua morte.
E Günter? Dopo le lodi per Il tamburo di latta e per le sue controverse novelle legate al gruppo 47 - un movimento culturale nato a Monaco di Baviera dal 1947 al 1967, dove vari scrittori di sinistra tentarono di far risorgere la cultura tedesca distrutta da quella nazista e per di più negli anni '50 passata sotto silenzio per effetto della censura americana - passato il suo amore per Willy Brandt anche per effetto degli scandali causati dalla corruzione del governo; Günter modificò il suo orientamento politico, criticando aspramente sia il movimento femminista nel 1977; sia lo stesso gruppo'47 di cui aveva fatto parte, col romanzo L'incontro di Telgte, 1979, dove, sul modello dell'ultimo Hesse - Il gioco delle perle di pietra del 1948 - trasferisce quell'esperienza di circolo intellettuale nel 1647, all'indomani della guerra dei 30 anni, davanti alla Germania del tempo culturalmente perduta. Qui degli intellettuali baroccheggianti cercavano un ritorno all'ordine, sistematicamente dissolto dal correre degli eventi.
Günter, come Elio? Günter che non vede più nel socialismo il sole dell'avvenire? Günter che vede solo formule astratte, che non capisce più il senso della presunta difesa dei deboli e degli emarginati? Che vede il PSD un partito di potere, fra scandali, menzogne, corruzione, che non prova più alcun senso di colpa? Günter come Elio rifiuta di far da cantore della politica dominante, ma che piuttosto deve fare i conti con la macchina mai sopita del Nazismo. E come le reticenze al riguardo non mancarono - come non mancarono nel 1945/1947 nel PCI di Togliatti - così Günter riaprì la porta e tornò sulle ragioni delle uccisioni naziste; sullo Stato che li promosse e sulla stessa Shoah. Ma già si chiedeva criticamente nel libro di storia critica del 1999, Il mio secolo (dove in 100 brevi racconti disegna un panorama culturale del secolo in Europa e in Germania), perché non parlare anche e parallelamente dei mostri comunisti? Della vita totalitaria nell'Est? Poi, venne nel 1999, il Nobel per la letteratura, un riconoscimento che avrebbe meritato lo stesso Elio, tanto era comune la disillusione di ambedue rispetto al fallimento del regime sovietico. Come Elio, dunque, Günter si pose contro il senso comune.
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Günter Grass |
Non banalizzò il male, come fece Hannah Arendt, ma riconobbe le colpe della Germania e rincarò la dose contro il Comunismo. E come ogni presunzione di colpevolezza, cercò giustificazioni anche per il Nazismo; vero è che le stragi erano ingiustificate e che Eichmann meccanicamente senza farsi domande uccise esseri umani indifesi. Ma, prosegue inaspettatamente Günter, occorreva del pari il grande territorio russo per sfamare i tedeschi; che il furto nei confronti degli ebrei polacchi imponeva anche il loro assassinio per evitare future rivendicazioni; che ancora la schiavitù dei popoli conquistati derivava dalla necessità di avere manodopera a costo zero nell'industria bellica. I tedeschi ben presto vennero accerchiati e tanti morirono per i bombardamenti e gli stenti.
Proprio nel romanzo Il giorno del gambero (2002), Günter, narrava l'affondamento di una nave passeggeri da parte dei russi; con fervore già sospetto di connivenza, e ben più del Mio secolo, di qualche anno prima, iniziava una conversione alle ragioni della guerra e della tragedia tedesca del '900. Qui Günter non è più il gemello di Elio, perché con una esplosiva intervista al Frankfurter Allgemeine Zeitung del 11/8/2006, ormai a 78 anni, dichiarava di aver militato da volontario nel 1944 nella 10. SS-Panzer-Division Frundsberg delle Waffen-SS. Era per quelli della sua generazione un modo per fuggire dai genitori e dall'ambiente asfissiante e immobile, rincarando le polemiche nella sua marcia indietro rispetto alle battaglie combattute negli anni '70 e '80. Mentre Elio aveva riconosciuto in Diario in pubblico, l'ansia di cambiamento giovanile che lo aveva spinto a fuggire di casa e di essere stato fascista, per poi distaccarsene non appena riconobbe gli orrori di quella ideologia, passando al PCI clandestino, ma in una logica di buona fede nella rivoluzione sociale, tanto che poi ulteriormente lo abbandonerà quando né capì la malafede e il pensiero unico che lo dominava, attestandosi come si disse su una posizione critica su ambedue gli estremismi fino alla morte.
Günter sembrava aderire a una rilettura giustificazionista insospettata che lascia ancora aperto il dibattito sulla sua persona. Dibattito culturale che scatenò su quella intervista - ribadita e addirittura approfondita nei libri di memorie Sbucciando la cipolla del 2007 e Grimms Wörter del 2010 - e che divise l'intellighenzia mondiale fra chi voleva addirittura che restituisse il Premio Nobel e chi caparbiamente opponeva che le sue opere vivevano di vita propria. Anzi, da ultimo, Günter, in modo imperterrito e senza alcuna precauzione, attaccava Israele sul finire dei suoi anni, rispolverando la vena poetica della sua gioventù, declamando Was gesagt werden muss, quello che va detto, un'ode contro Israele a favore dell'Iran. E poi, quasi sul letto di morte, la lirica Ignominia d'Europa, contro la patria germanica a favore della Grecia. In ambedue i casi va ancora controcorrente, chiedendo non solo un controllo nucleare serio su Israele, ma anche una riforma radicale dell'Unione Europea, di già figlia delle banche e matrigna dei popoli.
Del resto, Elio muore nel 1966, non tanto nella solitudine e nella polemica, come il sodale Günter, ma certamente rivolto al nuovo che avanza, dove l'ultimo romanzo abbozzato - Le città del mondo - esprimeva una formidabile denuncia sociale delle aree abbandonate delle periferie delle grandi città italiane all'epoca piene di immigrati italiani e oggi di extracomunitari. Opera che era anche piene di gusto favolistico e di dialoghi interiori, unica per pensieri ed emozioni fondate sull'eterna tensione fra il mondo dei bambini e il mondo degli adulti. E del pari Günter, prima di spirare, dettò Vonne Endlichkait, un'opera provocatoria di ultimi ricordi, sulla finitezza e la caducità della vita umana, dove dialoga con se stesso, ripetendo poesie sulla nostalgia, disegnando sulla carta topi morti, corvi, gusci e lumache che segnano, spesso in modo curvo e con rara tristezza la vita umana. Elio e Günter, due uomini contro la decadente pretesa di una vita lineare e confortevole, buona soltanto a ubbidire senza pensare.
Bibliografia
Su Elio Vittorini, vd. GOFFREDO FOFI, Elio Vittorini, su https://confronti.net, 19.5.2021, nonché SANDRO BRIOSI, Invito alla lettura di Elio Vittorini, Mursia, Milano, 1976.
Su Günter Grass, cfr. GIULIO SCHIAVONE, Günter Grass, un tedesco contro l'oblio, Carocci, Roma, 2011. Più di recente, vd. La Repubblica dell'11 agosto 2025, Un ricordo di ANDREA TARQUINI a 10 anni dalla morte.