Insegnare significa imparare. Non tutti
gli insegnanti sono dei fannulloni.
Non dobbiamo dimenticare che l'insegnamento
e l'apprendimento sono interdipendenti: "homines, dum docent discunt
"
mentre si insegna si impara. Dagli studenti ho imparato e imparerò sempre
molto: "Quaeris quid doceam? etiam seni esse discendum",
vuoi sapere che cosa insegno? che anche un vecchio deve imparare.
Dobbiamo dirlo ai nostri studenti: “Si
ripaga male un maestro, se si rimane sempre scolari”.
Tutti gli insegnanti, tutte le persone per bene, non dovrebbero mai
smettere di imparare :"semper
homo bonus tiro est ", l'uomo onesto fa tirocinio per tutta la vita, ha scritto
Marziale
(12, 51, 2).
Il
principe Myškin non si trovava a suo agio con gli adulti. “Il mio destino mi
portava verso i ragazzi”. Gli adulti lo credevano un idiota
Dice
ad Aglaja: “la bellezza è un enigma. Siete tanto bella, che si ha paura a
guardarvi. La bellezza è una forza con la quale si può rovesciare ilmondo”.
Viene
frainteso. Totzkij pensò: “Idiota com’è, sa nondimeno benissimo che la via
dell’adulazione è la migliore”.
Dal
suo viso traspariva sempre la stessa ingenuità e fiducia, ben lontana dal
sospettare una derisione o una burla
Ippolit
aveva scritto “ un moscerino in un raggio di sole partecipa del festoso
banchetto della vita, mentre io ne sono escluso (p. 531) Era stato rinnegato
dalla natura. Il principe era anche poco istruito
Aglaja
gli dice che deve rompere il vaso cinese del salotto. Eseguite uno di quei
gesti che fate sempre: urtate il vaso e fatelo cadere in frantumi.
Ma
il principe vorrebbe evitarlo. Si trova in un salotto dove tutto era falso. I
presenti si odiavano o provavano fastidio l’uno dell’altro ma fingevano di
essere amici. Avevano riunito quella compagnia per convenienza e tutti
credevano di fare agli Epančin un grande onore con la loro presenza. Il principe
non poteva capire simili sottigliezze.
Il
principe parla contro il cattolicesimo romano “peggiore dello stesso ateismo.
L’ateismo predica il nulla e il cattolicesimo predica un Cristo travisato e
calunniato dallo stesso cattolicesimo che predica l’Anticristo. Il
cattolicesimo è la continuazione dell’impero romano. Ogni cosa è stata venduta
da Roma per denaro. L’ateismo nasce dal disgusto del cattolicesimo. Da noi si
trova nelle classi privilegiate che hanno perso la loro radice; in Europa
l’ateismo sta entrando nelle masse del popolo per l’odio suscitato dalla Chiesa.
Anche il socialismo è prodotto dal cattolicesimo. Si sostituisce lo scomparso
potere morale del cristianesimo con la violenza. Per resistere all’Occidente
bisogna che il nostro Cristo risplenda. Non dobbiamo lasciarci pigliare all’amo
dai gesuiti ma portare all’Occidente la nostra civiltà russa. Colui che ha
rinnegato la sua terra natale ha anche rinnegato il suo dio”.
Tutti
i presenti erano costernati da questa tirata. Il principe stava lontano dal
vaso cinese per paura di romperlo, infatti aveva il presentimento che l’avrebbe
rotto. E lo ruppe. Provò una spavento mistico
Aglaja
lo ama per la sua nobiltà e semplicità d’animo e per la fiducia illimitata.
Chiunque volesse potrebbe ingannarlo ed egli lo perdonerebbe.
Il
principe alla fine muore e la sua bontà rimane inattiva
La nequitia dell’innamorato.
Properzio intende servire l'amata e la sua è una vera e propria
condizione di schiavitù...Questo atteggiamento costituiva una totale inversione
di alcuni valori fondamentali della morale romana, in cui la dedizione e il servitium erano obblighi della donna nei confronti
dell'uomo: accettare il servitium alla
donna significa, oltre che nullo vivere
consilio , seguire la nequitia la cattiva condizione
(cfr. nequam, “buono a nulla”), e rinunciare nel tempo stesso ai vantaggi
della vita socialmente impegnata; il poeta sa bene che questo atteggiamento
farà di lui un oggetto di biasimo in tutta la città (2, 24, 5 sgg.): ma l'amore
è furor che divora e contro una simile malattia non
esistono rimedi. Cfr. la Medea e
la Fedra di Seneca.
Gli
elegiaci infatti "dichiarano il loro essere prigionieri (e prigionieri
consapevoli) della nequitia , dunque
il loro non essere buoni cittadini, e propongono un sistema di valori
alternativo a quello socialmente approvato".
Ovidio
prima dei Remedia ribalta tale
tradizione affermando che l'amore "riscatta il poeta dall'ignavia “inazione” e dalla segnities “indolenza” perché l'amore è guerra, e
richiede e sviluppa nell'innamorato le stesse qualità fisiche e psicologiche
che l'esercizio della guerra richiede e sviluppa nel soldato. L'amante-questo
l'assunto dell'elegia, paradossale se si pensa all'antimilitarismo dei primi
elegiaci-è perfettamente uguale al soldato e come quello dotato di forza,
intraprendenza, attivismo. In questa identificazione tra sfera galante e
sfera militare, il repertorio tematico della militia amoris con tutto il
suo lessico militare conosce un utilizzo a pieno campo, e la tesi viene portata
avanti adottando una delle tecniche che si studiavano nelle scuole di retorica
del tempo, quella della comparatio ( confrontando due diverse realtà, se ne
mostrano somiglianze e divergenze)".
Le attività
raccomandate da Ovidio sono innanzitutto quelle "del foro e della guerra,
il cui rifiuto voleva dire per il poeta elegiaco rinuncia alla carriera e alla
rispettabilità" .
Eros si associa a Eris:
Negli Amores leggiamo:"Militat omnis amans, et habet sua castra Cupido;/Attice, crede mihi,
militat omnis amans "(I, 9, 1-2), è un soldato ogni amante; anche
Cupido ha il suo campo di guerra; Attico, credimi, ogni amante è un soldato.
Elogi della fatica
“Sia quelli sono degni di lode, sia, ancor più, i nostri padri:
infatti dopo avere conquistato, oltre a quanto avevano ricevuto, questo grande
impero che abbiamo, non senza fatica,
lo hanno lasciato in eredità a noi che siamo qui ora”( II, 36, 2).-oujk ajpovnw~.
L’elogio della fatica è topico e risale a Esiodo
Esiodo dice che davanti al
valore gli dei hanno posto il sudore: "th'" d j ajreth'" iJdrw'ta qeoi;
propavroiqen e[qhkan" (Opere, 289).
Nell'Elettra di Sofocle la protagonista dice alla mite sorella Crisotemi: "o{ra, povnou toi
cwri;" oujde;n eujtucei'''" (v. 945), bada, senza fatica niente
ha successo.
Nei Memorabili
di Senofonte la donna virtuosa, la Virtù personificata, avvisa
Eracle al bivio che gli dèi niente di buono concedono agli uomini senza fatica
e impegno:"tw'n ga;r o[ntwn ajgaqw'n kai; kalw'n oujde;n a[neu povnou kai;
ejpimeleiva" qeoiv didovasin ajnqrwvpoi"" (II, 1, 28).
Chi fa del bene conserva cavrin, gratitudine, mentre chi lo riceve è lento a contraccambiare
e teme di non potere farlo
Tucidide, II, 40, 4.
E anche per quanto riguarda la nobiltà d’animo, noi siamo il
contrario dei più: infatti non ricevendo
il bene, ma facendolo ci procuriamo gli amici (ouj ga;r
pavsconte" eu\, ajlla; drw'nte" ktwvmeqa tou;" fivlou") E’ più sicuro chi ha fatto del bene,
nella misura in cui ricorda la gratitudine che gli è dovuta con la benevolenza
per la quale ha donato; mentre chi è debitore è più lento, in quanto sa che
deve ricambiare l’atto generoso, non per fare un dono gratuito, ma per dovere.
Tucidide, II, 40, 2.
C’è
nelle medesime persone la cura degli interessi privati e nello stesso tempo
degli affari pubblici, e per altri, rivolti ad altre attività, c’è la
possibilità di conoscere i problemi politici in modo sufficiente: solo noi infatti consideriamo (nomivzomen) non pacifico (oujk ajpravgmona,
ajll j ajcrei'on), ma inutile chi non prende parte
alla vita politica,
e siamo noi che o decidiamo oppure esaminiamo bene i fatti, non considerando i
discorsi un danno per le azioni, ma che lo sia piuttosto non essere informati con la parola prima di arrivare a ciò che si deve
all’azione
Cfr. Edipo l’eroe
della passività e Prometeo dell’attività (Nietzsche
in La nascita della tragedia)
Nietzsche in La nascita della tragedia considera Edipo un eroe della passività:
“L'eroe raggiunge appunto nell'attitudine puramente passiva la sua
attività suprema, la quale continua ad agire molto al di là della sua
stessa vita, mentre il cosciente tendere e sforzarsi della sua vita precedente lo ha condotto solo alla
passività".
Edipo trova la sua dimensione positiva nella passività di
Colono, dopo avere fatto soffrire e avere sofferto assai nella fase
dell'attività sconsiderata, così Giovanni
Drogo in Il deserto dei Tartari di
Buzzati scopre"l'ultima sua porzione di stelle"(p.250) e sorride
nella stanza di una locanda ignota, completamente solo, mangiato dal male, accettando la più eroica delle morti, dopo
avere sperato invano, per decenni, di battersi"sulla sommità delle mura,
fra rombi e grida esaltanti, sotto un azzurro cielo di primavera". Invece
il suo destino si compie al lume di una candela, dove"non si combatte per
tornare coronati di fiori, in un mattino di sole, fra i sorrisi di giovani
donne. Non c'è nessuno che guardi, nessuno che gli dirà bravo".
Del resto gli eroi della passività nella letteratura
moderna sono tanti, da Oblomov di Goncarov, a Zeno di Svevo per dire solo
i più noti.
r
Quindi Nietzsche contrappone
a Edipo Prometeo come personaggio
illuminato dalla gloria dell'attività. Prometeo rappresenta anche l'artista
titanico il quale "trovò in sé la caparbia fede di poter creare uomini o almeno
di poter distruggere dèi olimpici: e ciò mediante la sua superiore sapienza,
che era però costretto a scontare con un'eterna sofferenza".
Ultimo discorso di Pericle in Tucidide
Allora
è giusto che non evitiate le fatiche necessarie agli onori –mh; feuvgein tou" povnou"
(II, 63, 1)
Nel suo ultimo discorso, Pericle dice: “Non potete tirarvi indietro dall’impero (ajrch'" ejksth'nai, 2, 63, 2). wJ" turannivda ga;r h[dh
e[cete aujthvn, oramai l’avete come una
tirannide, e averlo preso può sembrare ingiusto, ma lasciarlo sarebbe
pericoloso. L’inerzia infatti non salva-to; ga;r a[pragmon ouj swv/zetai se non è schierata con l’attività
Cfr.
quanto dirà Cleone "turannivda e[cete th;n ajrchvn",
III 37, 2, avete un impero che è una tirannide che si esercita su uomini ostili
i quali non si lasciano comandare di buona voglia e la vostra superiorità è
basata più sulla vostra forza che sulla loro benevolenza (ijscuvi
ma'llon h] th'/ ejkeivnwn eujnoiva/ ).
Torniamo a Ovidio
I Remedia per
certi versi sono un controcanto all’Ars
amatoria.
L'argomentazione
didascalica dei Remedia confuta l'elegia in uno dei suoi fondamentali
presupposti ideologici: il rifiuto della vita attiva, la scelta deliberata
dell'otium desidiosum.
Se l'otium , la pigra mollezza, è alimento
della malattia d'amore, la guarigione comincia già dall'impegnarsi in una vita
attiva: Remedia amoris 143 s. qui
finem quaeris amoris,/ (cedit amor rebus) res age, tutus, eris " .
L'ozio come
responsabile dell'amore riprovevole viene indicato anche da Menedemo, il
punitore di se stesso, al figlio Clinia:"Nulla adeo ex re istuc fit nisi ex nimio otio " (Heautontomorumenos ,
da nessun altro motivo reale deriva questa tua smania se non dall'ozio
eccessivo.
Una delle
operosità suggerite per sfuggire al tormento amoroso è quella nell'agricoltura,
" l'attività economica tradizionale del signore romano, ma che è
raccomandata come modello di vita in cui i tratti dell'utile quasi cedono di
fronte alle preponderanti attrattive estetiche che può offrire una tenuta di
campagna. E naturalmente, fra i modi di combattere l'otium , non può mancare la passione per la caccia (e in subordine, per la pesca): l'inconciliabilità fra Diana e Venere
è una di quelle opposizioni fondamentali che sono addirittura registrate nel
codice antropologico.
Artemide dunque contro Afrodite
Cfr. l’Ippolito di Euripide dove la dea
dell’amore entra in scena dicendo: : Pollh; me;n ejn brotoi'" koujk ajnwvnumo" (v. 1), grande tra i mortali e non oscura.
La potenza di Cipride viene celebrata anche
all'inizio della Parodo delle Trachinie di Sofocle:"mevga ti sqevno" aJ
Kuvpri" ejkfevretai-nivka" ajeiv" (vv. 497-498), Cipride porta con sé una grande
potenza, sempre vittorie.
Mutatio
locorum
Un
aiuto per dimenticare può venire anche da un lungo viaggio senza voltarsi
indietro: se l'amore è una guerra sia guerra scitica,
o partica: "tempora nec numera nec
crebro respice Romam,/sed fuge; tutus adhuc Parthus ab hoste fuga est "
( Remedia, vv. 224-225). non contare
i giorni e non voltarti spesso a guardare Roma, ma fuggi, ancora il Parto si
mette al riparo con la fuga.
Le metafore della caccia e della guerra sono
impiegate da Ovidio nei Remedia per suggerire
la fuga dall'amore: nell' Ars
amatoria viceversa per la ricerca amorosa:"Il pregio maggiore dell'opera sta senza dubbio nel suo raffinato
impianto metaforico: l'amore è descritto come caccia e come guerra, e queste
immagini sono sviluppate con rigorosa coerenza (bagni, portici e spettacoli
come terreni di caccia, doni e dolci parole come esche, appostamenti sotto la
porta dell'amata come assedi)".
L'uomo
al pari del cacciatore che sa bene dove tendere le reti ai cervi, (scit bene
venator, cervis ubi retia tendat , I, 45) deve imparare a conoscere
i luoghi frequentati dalle donne: portici, templi, fori, fontane, ma soprattutto i teatri ( sed tu praecipue curvis venare theatris , I, 89, ma tu soprattutto
vai a caccia nei curvi teatri ) dove il figlio di Venere fa spesso le sue
battaglie e chi ha osservato lo spettacolo di ferite, ha una ferita:"Illa saepe puer Veneris pugnavit arena /et ,qui spectavit vulnera, vulnus habet "
I, 165-166.
L'anfiteatro
dunque è un luogo di battaglie e ferite raccomandato per gli incontri erotici
che hanno una componente conflittuale come i ludi del circo. Le donne più
raffinate si precipitano ai giochi più frequentati:"Spectatum veniunt,
veniunt spectentur ut ipsae/; ille locus casti damna pudoris habet"
(I, vv. 99-100), vengono per osservare, vengono per essere loro stesse
osservate; quel luogo contiene perdite del casto pudore.-
Già Properzio aveva affermato prima di
Ovidio nei Remedia l'opportunità
della ritirata altrove per salvarsi dalla pena amorosa:"Magnum iter ad
doctas proficisci cogor Athenas/ut me longa gravi solvat amore via./Crescit
enim assidue spectando cura puellae:/ipse alimenta sibi maxima praebet
Amor./Omnia sunt temptata mihi, quacumque fugari/ possit; at ex omni me premit
ipse deus./…Unum erit auxilium: mutatis Cinthya terris/Quantum oculis, animo
tam procul ibit amor./ Nunc agite, o socii, propellite in aequore navem "III,
21, 1-6; 8-10), sono costretto a partire per un grande viaggio verso la dotta
Atene perché un lungo tragitto mi liberi da quest'amore opprimente. Cresce
infatti continuamente osservandola il tormento della ragazza: Amore si fornisce
da solo l'alimento più grande. Le ho tentate tutte, da qualunque parte si
potesse mettere in fuga; ma da ogni parte mi opprime lo stesso dio…resterà solo
un rimedio: mutato luogo, Cinzia, quanto
dagli occhi tanto lontano andrà Amore dal cuore. Ora avanti, compagni, spingete nel mare la
nave.
Da Ovidio e
Properzio dunque viene ribaltato il topos dell'inutilità della mutatio locorum che si trova in Orazio :"Caelum, non animum, mutant qui trans mare currunt/strenua nos exercet inertia
" (Epistole, 1, 11, 27-28) , cambiano il cielo, non lo
stato d'animo quelli che corrono al di là del mare, un'irrequieta indolenza ci tiene in ansia.
Quindi Seneca
scriverà:" Animum debes mutare, non
caelum. Licet vastum traieceris mare, licet, ut ait Vergilius noster,
"terraeque urbesque recedant" ,
sequentur te quocumque perveneris vitia " (Ep. a Lucilio , 28, 1), l'animo devi cambiare, non il cielo. Anche
se avrai attraversato il mare immenso, anche se, come dice il nostro Virgilio,
"terre e città si allontanano", dovunque sarai giunto ti seguiranno i
vizi.
E ancora:" Nullum tibi opem feret iste discursus; peregrinaris enim cum adfectibus
tuis et mala te tua sequuntur…Quid ergo? animum tot locis fractum et extortum
credis locorum mutatione posse sanari? Maius est istud malum quam ut gestatione
curetur ...Nullum est, mihi crede, iter quod te extra cupiditates, extra iras,
extra metus sistat " (Ep. a
Lucilio , 104, 17-19), questo correre qua e là non ti porterà nessun
vantaggio; infatti vai in giro con le tue passioni e i tuoi vizi ti seguono…
che dunque? credi che l'animo in tanti luoghi ferito e slogato possa sanarsi
col cambiar luogo? Il male è troppo grande per essere guarito con una
passeggiata...Non c'è viaggio, credimi, che ti metta al riparo dalle passioni,
dall'ira, dal timore.
Tra i
contemporanei Galimberti dubita che
il viaggiare da turisti possa davvero scuoterci l'anima:"La gente viaggia
(diceva Orazio:"Non è cambiando il cielo che si cambia animo")
probabilmente per un bisogno di evasione, per dare una scossa alla propria
condizione psicologica. Evasione vuol dire "uscir fuori", ma non mi
pare che nei viaggi si esca davvero fuori". Infatti è tutto prenotato,
codificato, previsto. "Del viaggio perdiamo dunque l'ultimo scrigno
segreto che potrebbe offrirci: lo spaesamento".
Fare bene è stare bene.
“ I “bennati”
sentivano se stessi come “felici”…poi
essi, uomini superdotati di forza e perciò stesso necessariamente attivi,
riuscivano a non separare l’agire dalla
felicità-l’essere attivi era per loro considerato come qualcosa di
attinente necessariamente alla felicità (da cui eu\ pravttein)-tutto ciò in netto contrasto con la “felicità” a
livello degli impotenti, degli oppressi, dei piagati”.
L’Edipo a Colono
di Sofocle mostra nel modo più puro
l’accento di una conciliazione proveniente da un altro mondo. Ismene dice al padre: nu`n ga;r qeoiv sj ojrqou`si,
provsqe d’ w[llusan (394)
La logica
imperialistica
Alcibiade "svolge dinanzi all'assemblea
popolare il disegno vertiginoso della conquista di tutta la Sicilia e del dominio su
tutta la Grecia,
dichiarando che lo sviluppo di una potenza come quella d'Atene non si può
razionare: chi la detiene, non può conservarla che con l'estenderla sempre più,
giacché la sosta significa pericolo di decadenza". Meritano di essere trascritte
alcune parole di questo seduttore delle donne e del popolo :" kai; th;n povlin, eja;n me;n hJsucavzh/, trivyesqaiv te aujth;n
w{sper kai; a[llo ti"(VI, 18, 6) e la città, se
rimarrà tranquilla si logorerà da sola, come qualsiasi altra cosa. Ecco dunque un personaggio in
cui il " carattere di tutta la stirpe è genialmente personificato: ciò
spiega la sua influenza irresistibile sul volgo, sebbene a questo egli fosse
inviso per il suo atteggiamento presuntuoso e altezzoso nella vita
privata".
Cfr. I Corinzi su gli Ateniesi in Tucidide
Insomma,
sintetizzano i Corinzi, se uno, riassumendo, dicesse che sono nati per non
avere pace loro e non lasciare in pace
gli altri uomini, direbbe la verità:"w{ste ei[ ti" aujtou;" xunelw;n faivh
pefukevnai ejpi; tw'/ mhvte aujtou;" e[cein hJsucivan mhvte tou;"
a[llou" ajnqrwvpou" eja'n, ojrqw'" aj;n ei[poi", I, 70, 9).
Questo
dinamismo psicologico degli Ateniesi dunque ne spiega i successi:"In
contrasto con lo sfondo della lentezza e indolenza, dell'onestà di antico
stampo e della ristretta perseveranza di Sparta, risalta la descrizione della
vivacità ateniese, in cui si mescolano l'invidia, l'odio e l'ammirazione dei
Corinzi: perpetua intraprendenza, grande slancio nel concepir disegni come
nell' osare, una flessibilità che fronteggia ogni situazione e non viene meno
neanche nell'insuccesso, anzi ne è spronata a più alte imprese", commenta
Jaeger.
Gli Ateniesi assomigliano all'Edipo
di Sofocle.
Un Greco vecchio
non esiste, voi Greci siete sempre fanciulli”. Lo racconta Platone nel Timeo”.
L’irrisolutezza
Una
confutazione della supposta sintonia e complicità tra Euripide e Socrate
la fornisce Fedra quando nell'Ippolito di Euripide
dice:"bisogna considerare questo:/il
bene lo conosciamo e riconosciamo,/ma non lo costruiamo nella fatica (oujk ejkponou'men: il bene topicamente costa povno" , fatica) , alcuni per infingardaggine (ajrgiva" u{po),/ alcuni anteponendogli qualche altro piacere./
E sono molti i piaceri della vita:/lunghe conversazioni, l'ozio, diletto
cattivo, (scolhv, terpno;n kakovn) l'irrisolutezza (aijdwv" te, una forma brutta di aijdwv" ) "(vv.379-385). Può essere anche la malattia come nel caso di
Myškin
Bologna
30 settembre 2025 ore 17, 47 giovanni ghiselli.
p.
s.
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Nel IV
libro delle Storie Erodoto racconta la fallita spedizione di
Dario contro gli Sciti descrivendo i
costumi di questo popolo e il loro modo di guerreggiare: facevano terra
bruciata e si allontanavano , una strategia
non molto diversa da quella dei Russi descritti da Tolstoj che in Guerra e pace definisce ancora " piano di guerra
scitica" quello "mirante ad attirare Napoleone nelle regioni interne
della Russia" (p. 1031).
Cfr. la
Medea di Seneca
quando entra in scena Creonte che manifesta timore per la donna barbara:"cui
parcet illa, quemve securum sinet?" (v. 182), chi
risparmierà quella o chi lascerà in pace?
‘’W SÒlwn, SÒlwn, “Ellhnej ¢eˆ pa‹dšj ™ste, gšrwn d “Ellhn oÙk œstin, Timeo 22b4.
Il piacere dell'ozio come sirena che distoglie dal fare cose egregie è
denunciato anche da Tacito nell'Agricola:"subit quippe etiam ipsius inertiae dulcedo,
et invisa primo desidia postremo amatur " (3), infatti si insinua anche il piacere della stessa passività, e
alla fine si ama l'accidia dapprima odiosa.
.