martedì 30 aprile 2024

Ifigenia CLII. Una lettera supplichevole e una canzoncina irrisoria


 

Martedì 7 agosto andai a lezione, poi a correre, quindi in piscina a leggere, nuotare, abbronzarmi, e mi recai anche a comprare un dentifricio.

Ma l’attività più importante e impegnativa della giornata iniziò verso le dieci di sera, quando mi diedi a scrivere una lettera all’amante lontana.

Le dicevo che avevo passato la meta dei venti minuti durante i miei girotondi allo stadio, faticosi eppure pieni di gioia, e che l’accrescimento del benessere fisico e mentale lo dovevo in buona parte a lei, la mia compagna meravigliosa, che però era tenuta a mantenere la promessa di scrivere e spedirmi l’espresso se non voleva che i miei sentimenti si pervertissero nell’ attesa già da tempo troppo allungata.

Io non avrei potuto tradirla. Il timore dell’ infedeltà mia era stato un falso problema: passare il tempo con lei scrivendole, o pensandola, mi faceva sentire più vivo di qualsiasi altro modus vivendi.

“Tu mi hai fatto progredire-spiegavo- e ora non posso né voglio tornare alle esperienze degli anni passati: la felicità di stare con te, di studiare, fare sport, fare l’amore con te è stata più impegnativa e pure più accrescitiva delle emozioni mensili, evanescenti che negli anni passati mi avevano dato delle donne di qualche valore senz’altro, però remote nello spazio e nel tempo :  l’ irreparabile tempus, il praeteritum  che non può più tornare, mentre il futuro è nostro. Con te, soltanto con te, ho una voglia mai sazia di fare l’amore, di commentare i libri letti, di andare al cinema e a teatro poi parlarne, di ascoltare musica, correre, pedalare , nuotare, sciare”.

Propositi belli ma ora trovo che difettavano dello scopo più alto: impiegare la nostra felicità per costruire qualcosa di valido, per fare del bene a noi stessi e agli altri.

Concludevo questa missiva con una richiesta da supplice, tuttavia  chiara e perentoria: “Ifigenia cara, se contraccambi i miei sentimenti, mandami la lettera che hai preannunciato, poiché la mia gioia rischia la vita ogni mattina verso le undici quando arriva il postino con una borsa piena, la apre, distribuisce negli scomparti della posta tutte  le buste, quindi tanti giovani in attesa le ritirano,  quei fortunati molto, mentre da parte tua non c’è mai nulla per me. Allora il mio umore si approssima al caos della follia, all’abisso dell’annientamento, poi dura fatica a ritrovare la via, a ristabilirsi, a raddrizzarsi”.

Saluti e baci gianni

Più esplicito e supplichevole di così non potevo essere, né più ultimativo. E lei non rispose.

 

Quella sera stessa del resto passeggiando nel grande bosco,

formulai una canzoncina irrisoria eppure  meno irrealistica della lettera scritta nello studio:

“Sei muta e rinchiusa come ritorta conchiglia,

occulta nel fondo del tuo sgabuzzino

sospiri al tramonto

     sospiri al mattino,

poi vaghi coi mozzi

coi medici a schiera

e gianni non era”.

 

Bologna 30 aprile 2024 ore 19, 22 giovanni ghiselli

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Ifigenia CLI. La pioggia catartica poi la corsa.


 

Domenica 5 agosto fu una giornata piena di meditazioni pullulate da stati d’animo in contrasto tra loro. Alle 11, come al solito, non trovai la posta che aspettavo da Ifigenia. Pensai che non c’era più posto per me nel suo cuore pefido e nel suo corpo sinuoso, nonostante il telegramma. La promessa dell’espresso non era stata mantenuta. Sicché la maledissi.

Poi mi aggirai a lungo nel bosco con l’anima buia e il volto probabilmente deformato dal dolore e dall’odio, finché, verso le due, anche il cielo si rabbuiò, quindi si mise a piovere forte.

L’acqua cadeva a righe invece che a gocce. Ero tutto bagnato mentre sentivo il dolore della fine di un’epoca di gioia amorosa. Quella fase era davvero finita.

 Eppure ebbe un momento di ritorno e ripresa parecchi anni oiù tardi. Fu la notte dell’amore postumo

Era il 31 dicembre di uno degli anni Novanta. Da tempo facevamo entrambi altre vite, vite diverse. Io avevo una relazione con una donna sposata, una collega  che durante le vacanze di Natale mi aveva imposto i divieti quasi sempre imposti all’amante di  una maritata, pure malmaritata.

Dunque ero solo a Bologna. Nel pomeriggio sentìi squillare il telefono. Credetti che fosse l’amante  andata nel garage o nel bagno per farmi gli auguri di nascosto, come era successo in altre occasioni. Quel rapporto non era equilibrato dunque: lei poteva cercarmi, io solo risponderle.

Dissi “ciao tesoro, buon anno” chiamandola per nome, invece era Ifigenia.

Mi scusai. Mi chiese se volevo vederla. “ E come no?”, feci io senza esitare. Ero molto incuriosito dalla inopinata proposta e curioso di vedere come era diventata, di sentirne le novità. Andai a prenderla e facemmo un giro sui colli. Ci fermammo sul monte Donato dove salivamo con le biciclette quando eravamo più giovani.

La scrutavo, le facevo domande, la ascoltavo con attenzione. Era parecchio ingrossata nel corpo e indebolita all’interno: parlava con qualche difficoltà, senza chiarezza. Il viso ancora attraente, però alquanto afflosciato: le guance apppesantite erano già un poco cadenti, dagli occhi era sparita l’antica luce ricca di pathos, la bocca molto dipinta era tutta slentata.  Tuttavia poi si andò a casa mia e si fece il massimo consentito a due povere creature mortali destinate alla putrefazione.

  Ma torniamo alla tempesta, emotiva e atmosferica, del 5 agosto del 1979.

Il vento scuoteva i rami dei salici piegati in basso e tuffati nell’acqua fluttuante del lago  agitato dal vento. Si muovevano in modo strano come i remi stregati di un vascello fantasma. L’abito letterario mi fece rammemorare Leopardi: “ dovrei essere pensoso di cessar dentro quell’acque la speme e il dolor mio?”

“Neanche per sogno-mi risposi- e non solo perché quell’acque sono poco profonde e mi farebbero tornare a galla”

Quindi mi resi conto che la vita, tolto il dolore irragionevole della lettera mai arrivata, era varia, piena e ricca di ogni bellezza. “Ma sì, mi dicevo-se ne ha trovato un altro, uno del suo stampo, tanto meglio per lei e pure per me. Negli ultimi tempi aveva cercato di ingelosirmi, per sottomettermi. Mezzucci  da donnicciole che non ottengono il risultato sperato con un uomo della mia levatura. Io merito un amore senza sospetti, pensieri maliziosi, ignobili partite a scacchi, menzogne triviali.

Di pulizia e chiarezza ho bisogno”.

Il vento scuoteva le foglie facendomi cadere le gocce di pioggia  sulla testa che ne veniva ribattezzata. Il cielo era pulito come non lo vedevo da tempo. In quell’atmosfera Ifigenia non aveva più posto.

Alcuni ragazzini passavano con le biciclette dentro grandi pozze di acqua sollevando alti spruzzi. A casa avevo la mia Colnago che mi aspettava per altre scalate e per i giri autunnali nella campagna autunnale quando il grano emerge rinato e rinnova la vita.

Allora come sempre mi sarei inginocchiato sussurrando con le lacrime agli occhi : “ecco io mi prostro o benedetti al suolo” incurante di chi passando  gridava: “Eh, che brutta sbronza già a quest’ora!”.

Un amore vecchio, cattivo e malato per una donna che non mantiene le promesse è un cancro: antiquus amor cancer est[1]. Una orribile relazione: operabile,  da operare. Mi mossi verso lo stadio per correre i 5000 metri dovuti alla mia  ritrovata salute fisica e spirituale.

La pista di terra rossa era bagnata e pesante: non pensavo di fare un buon tempo. Invece presi subito un ritmo elevato. Al posto delle gambe snelle sentivo di avere delle ali. Schivavo le pozze dove si abbeveravano i cani, saltavo quelle più piccole con vespe, calabroni e farfalle. Talora dovevo allungare il percorso scostandomi dalla corsia più interna, prossima al prato di un verde lucente. Correvo bene: procedevo con pathos e con logos, con tutta la potenza che avevo e sapevo di avere, con gioia. Il terriccio bagnato che ogni tanto mi schizzava addosso, non mi rallentava. Un quarto di giro oltretutto lo correvo lottando contro il vento, ma ero così forte e fiducioso in me stesso che avrei assorbito un uragano, come gli uomini dell’avvenire immaginati da József Attila: “essi saranno la mitezza e la forza”[2].

Impiegai 19 minuti e 27 secondi: il mio record fino a quel momento. Lo dedicai alle donne del mio avvenire.

 

Bologna 30 aprile 2024 ore 11, 59 giovanni ghiselli

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[1] Cfr. Satyricon, 42.

[2]  Ok lesznek az erő és szelídség . Gli uomini dell’avvenire.

lunedì 29 aprile 2024

il link per seguire da lontano la mia prossima conferenza nella biblioteca Ginzburg di Bologna.


questo è il link per seguire online: https://meet.google.com/dtq-ssvm-ewv?authuser=0

link della pagina del sito della biblioteca: https://www.bibliotechebologna.it/events/desiderio-di-umanesimo

Lunedì 6 maggio dalle 17.00: Tramonta l’umanesimo che è amore dell’umanità.
Seconda parte 
saluti
giovanni ghiselli

Ifigenia CL. Conclusione del 4 agosto. Porosità degli amori


Osservavo le ragazze italiane che cantavano le canzoni del nostro folklore. Ma continuavo a pensare a quella che non mi scriveva. Mi faceva aspettare: è la tattica di chi non ama per farsi desiderare di più da chi ama. Speravo di trovare l’espresso promesso una volta arrivato in collegio. Uscito dalla corriera guardai il cielo pregando le stelle di farmi trovare la lettera. Ma queste erano tanto lontane quanto Ifigenia. Salendo le scale oppresso e desolato, pensavo: “Più di tanto dolore non devi sopportarlo perché oramai ti infligge una sofferenza che non porta con sé conoscenza alcuna. Quella donna non è adatta a te: ti fa male; se corrispondesse a te, ti infonderebbe gioia. La tua sensibilità è delicata molto, ma non malata. Se soffri per una persona, se questa ti fa soffrire, vuol dire che in lei c’è qualche cosa di cattivo. Dunque devi asportarla, anche se l’hai resa parte del tuo modo di vivere, di te stesso. Hai sbagliato: hai inserito una malattia nella tua anima. Devi liberartene: sarà una resecazione dolorosa, quasi una mutilazione, ma non ne morirai, anzi: “la tua salute rifiorirà”, conclusi canticchiando note e parole della Traviata per trarre qualche strana consolazione.

In camera non potevo fermarmi: ero troppo addolorato sia per leggere sia per dormire, sicché discesi le scale e tornai nell’atrio. Pensavo, per confortarmi, che la vita nei collegi mi era congeniale: da quelli di Bologna per quattro anni a questo di Debrecen da una decina di estati. Vita in comune, comunista, non egoista.

Ripercorrevo il passato poiché con il rammemorarsi l’identità si rafforza. Il morire di un amore falso non è un crepare, anzi è una rinascita.

Un’inserviente distribuiva dei sacchetti di carta con la cena fredda siccome la mensa era chiusa. C’era del pane, un grosso peperone verde e una scatoletta con fegato d’oca. Sedetti su una poltrona e cominciai da solo. I ventenni intanto si stavano radunando per andare a mangiare e cantare sul prato antistante, mentre i miei coetanei si stavano dirigendo all’Aranybika con delle colleghe per indurle a fare baldoria o chissà, magari pure un poco di penitenza insieme. Ero stato via via come gli uni e gli altri, ma quell’acqua era già passata sotto tanti ponti diversi. Dovevo capire. Intanto mangiavo il pane e il peperone soltanto, perché non sapevo come aprire la scatoletta. Pensai al poverello di Assisi, al suo giaciglio sul crudo sasso intra Tevero e Arno. Non escludevo che avrei preso anche io l’ultimo sigillo. Poteva essere un potenziamento della mia identità.

A un tratto mi accorsi che per le scale scendeva una ragazza bruna, carina e fine. L’avevo notata con interesse giorni prima mentre correva allo stadio. La salutai. Si fermò davanti a me. Mi alzai. Ci presentammo. Era Statunitense. Forse di origine ungherese. Si chiamava Sara. “Un’ebrea magiara”, pensai. Era vestita da corsa.

“Vai a correre a quest’ora?” le domandai. Erano già passate le undici.

“Sì, anzi mi sbrigo perché per mezzanotte voglio essere a letto”

E uscì. Il buio non la preoccupava.

“Magnifico- pensai- questa è Atalanta.”

Salii in camera per prendere le scarpe da corsa.

 Ridiscesi le scale a salti, e corsi verso lo stadio costeggiando l’orto botanico, quello della meravigliosa aurora di tanti anni prima con Elena beata e bella. Poi Kaisa, poi Päivi. Gli amori veri sono porosi: entrano l’uno nell’altro.   

Mi era tornata la voglia di vivere e la voglia di fare.

Quando arrivai, la ragazza correva nel buio.

“Magnifica-  pensai-ogni viltà convien che qui sia morta!”

Il cielo era tutto sereno ma non c’era la luna.

Le stelle non avevano la luce sovrastata dal fulgore di lei quando piena sfavilla, ma nemmeno il più bello di quegli astri bastava a illuminare la notte.

Iniziai la mia corsa. Dovevo fare attenzione a schivare gli ostacoli messi qua e là sulla pista. “Ho passato la vita a evitare o saltare gli ostacoli-problhvmata ”, pensai. Ogni tanto superavo Sara che aveva comunque un buon ritmo. Finiti i 5000 metri che mi ero assegnato, sedetti su uno scalino di legno. La ragazza continuava a correre. La vedevo passare ogni due minuti nel tratto visibile davanti ai miei occhi. Ammiravo la sua forza nell’affrontare metodicamente la buia via della pista. I suoi movimenti regolari, ordinati somigliavano a quelli del cielo. L’aria calda odorava di alberi. Si sentivano versi di cani, o cagne, ululare nell’ombra. “La terra è in mezzo alle stelle- pensai-  e c’è dappertutto tanta bellezza”.

Anche se Ifigenia fosse scomparsa andando via con un altro in un altro paese o se pur fosse morta, la vita avrebbe sconfitto il dolore. Dopo l’angoscia dell’espresso non arrivato, probabilmente nemmeno spedito né scritto, dopo l’effetto deprimente del pane e peperone, senza neanche  il fegato d’oca della scatoletta che non avevo saputo aprire, la vita mi aveva indicato la sua bellezza con lieto volto e mi aveva allietato. Dalla depressione della serata era sbocciata la fiducia in me stesso, come una viola o una rosa da una fogna. Annusai le mie mani: non puzzavano più di peperone né di mortalità. Avrei agito secondo l’ordine del tempo e dei fatti superando quello maniacale della congettura.

 Così andò a finire quel sabato 4 agosto

 

Bologna 29 aprile 2024 ore 19, 44 giovanni ghiselli

 

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Ifigenia CXLIX. La cena con Brina.


 

La sera a cena venne seduta vicino a me una finlandese dal nome ecologico e confacente alla sua terra: si chiamava Kirsi, che significa “brina” tradusse,  ma precisò che il suo nome era un presagio rovesciato. “Brina rovente”  dissi per assecondarla. “Esatto- fece- tu mi capisci al volo”.

“Sì-replicai- ti vedo volare eterea e candida quale creatura nata da un incontro tra un uccello dalle piume d’argento e una divinità iperborea fecondata sul tappeto profumato dei vostri boschi. Le tue  origini  devono avere la sorgente nel mito e possedere una dignità divinamente ornitologica.”  

Colei sorrideva probabilmente compiaciuta, ma io, mentre dicevo tali insulsaggini,  avevo la selva dell’anima  occupata dall’ ei[dwlon di Ifigenia.

Intanto sentivo piovere sul tetto del ristorante “Casamatta”, un locale tra il bunker a la cantina. Quando ne uscimmo però le pozzanghere riflettevano le stelle del cielo rasserenato. Durante il ritorno, in corriera le finniche esangui cantavano canzoncine dolci e malinconiche con voci di miele. La loro lingua piena di vocali raddoppiate sembra primitiva e infantile. “Bambine con poca coscienza e scarsa innocenza” pensai, malignamente e ingrata mente.

Ero inacidito e incupito dal silenzio torbido della villeggiante sulla babilonica spiaggia. La gioia del telegramma era svanita lasciando spazio allo spettro del  tradimento.

Mi ero isolato per rimuginare pensieri cattivi su una donna assente che mi infliggeva angoscia, invece di mescolarmi alle finlandesi, donne che in un tempo meno malsano mi avevano reso del tutto felice.

 

“Il telegramma-pensavo- non è ambiguo nelle parole amorose, però non è frutto dell’applicazione seria cui spinge l’amore, come una lettera dove colei avrebbe potuto descrivere i suoi sentimenti e raccontarmi le azioni, gli eventi pubblici e privati. Dice che l’epistola arriverà. Vedremo. Intanto il messaggio pervenuto non vale granché: l’ha composto in pochi minuti e l’ha spedito magari ridendoci sopra con uno dei suoi ganzi.

Poi mi dicevo: “Sai bene che una donna quando e se ama crive, e colei in due settimane di lontananza , beata in quel carnaio, nemmeno una cartolina illustrata ti ha scritto. Chi ama si comporta con chiarezza che toglie ogni dubbio. D’inverno ti cercava a tutte le ore, anche troppo. Quando, annoiata o tormentata dal marito scendeva in garage o si chiudeva in bagno per telefonarmi e quell’energumeno bussava alla porta con mani frenetiche. Ora che quello è chissà dove, lei  non ha più bisogno di te come consolatore.

 Ora ti manda un telegramma pieno di enfasi erotica perché non si sa mai, però i suoi pensieri buoni o cattivi non te li fa conoscere e tanto meno le sue azioni probabilmente non proprio virtuose.

Ifigenia ha le menbra diritte, perfette, ma la sua mente è obliqua e contorta”.    

Bologna 29 aprile 2024 ore 18, 35 giovanni ghiselli

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Ifigenia CXLVIII La gita “scolastica” a Eger. Prima parte. Silvia e i disegni di una bambina.

 

Sabato 4 agosto andammo  tutti a Eger, famosa per avere respinto un assalto dei Turchi e per i suoi vini: l’ Egri bikavér , il sangue di toro di Eger, già noto a chi mi legge, e  l’ Egri leánika,  la fanciulla di Eger, una baccante probabilmente, due splendidi doni di Bacco alla Pannonia.

Dioniso e il toro, Dioniso e le menadi invasate da lui.

 Non mi limitai a bere però; dialogai con Silvia, la giovane tedesca bionda e un poco opulenta che sapeva parlare e pure ascoltare. Quel giorno, facendo attenzione a tutto quanto udivo e vedevo, compresi che la maturità mentale consiste, tra l’altro, nel ridiventare com’eravamo quando si era bambini, prima delle diverse crisi di identità dell’adolescenza o dei venti anni iniziali. L’età tragica della mia vita e di tanti altri umani.

Mentre osservavo e ascoltavo, mi accorsi che da qualche tempo  l’intelligenza, le esperienze e un demone buono mi stavano riconducendo alla mia antica natura infantile qual era prima che venisse contraffatta e aulterata dai luoghi comuni dell’epoca.

 Ci venne vicino una giovane donna con una bambina di quattro o cinque anni che disegnò il disco solare con i raggi e disse: “questa è la testa del fuoco, è la faccia di Dio”. Mi tornò in mente Platone, il mito della caverna e il sole che è nel visibile quello che è  l’idea del Bene,  il massimo oggetto di scienza nell’intellegibile[1].

Poi ricordai Leopardi quando scrive che la filosofia  ci ha insegnato  “quello che da fanciulli ci era connaturale,  e che poi avevamo dimenticato e perduto” [2]

La bambina aveva disegnato il mare con un pesce enorme, una rete, tanti pesci piccoli, e disse: “Questa è la balena che cattura i pesciolini con una ragnatela”.

“Il diritto del più forte-pensai-uccellacci e uccellini. I bambini intelligenti capiscono molte cose. Intuiscono la parentela di tutto con tutto, dell’intera natura con se stessa, siccome hanno dentro qualche cosa di sacro, e lo manifestano fino a quando non temono i giudizi mortificanti degli adulti mortificati ”.

Voglio dire che arrivato vicino ai 35 anni, dopo tante esperienze e letture, mi sentivo simile a quella creatura nel senso che avevo recuperato il coraggio infantile di esprimere quanto pensavo e sentivo: non temevo più i giudizi della gente meccanica, formata sui luoghi comuni, mimetica della pubblicità, una imitazione del maligno che andrebbe proibita. Elogiai la piccola alla madre, una bella signora bruna, con gli zigomi alti e gli occhi chiari, dal taglio magiaro vicino al finnico-momgolico. Mi disse il suo nome e mi chiese chi fossi. Mi presentai e risposi che ero un uomo contento e che mi piaceva l’ umanità: facevo un lavoro che mi soddisfaceva, amavo una donna contraccambiato, godevo di una buona salute mentale e fisica, e volevo rendermi utile al prossimo mio, a partire dagli adolescenti che educavo a diventare ciascuno quello che era davvero, possibilmente bello e buono.

A Silvia, quando mi chiese dei chiarimenti su quanto aveva sentito, aggiunsi che stavo riprendendo coscienza dell’ottimismo mio, connaturato eppure smarrito durante la crisi postliceale, siccome in quel tempo sciaguratissimo avevo creduto nei bruti asserviti alla pubblicità e alle propagande più che in me stesso. Dopo un biennio di quasi disperazione, senza bicicletta né corsa, con studio fatto male e controvoglia per  riferire  nozioni a umbratici doctores  tutt’altro che educatori stimolanti, privo di amore com’ero, di amicizia, di tutto  tranne il cibo che mi deformava, incapace di vivere umanamente,  avevo cominciato a ritrovare quello che ero, a ridiventarle riveduto e corretto,  e ce l’avevo fatta aiutato  dal  movimento del Sessantotto e dai collegi universitari di Bologna e di Debrecen grazie ai quali ero uscito dall’isolamento.

I colpi di grazia salvifica, impulsori  di vita bella e buona, non certo di morte come si usa dire, erano stati i miei primi allievi, l’amicizia di Fulvio, l’Elena di Praga e  le tre finniche  Helena, Kaisa, Päivi e alla fine dei conti  Ifigenia la bella che mi aspettava, speravo, in Italia sul lido Adriano senza peccare e, invece di fornicare, osservava gli innumerevoli sorrisi della distesa marina e pensando a me, come io la pensavo.

 

Bologna 25 aprile 2024, ore 12, 59. giovanni ghiselli

p. s.

Il 25 aprile del 1945 avevo 5 mesi e 11 giorni. Non ne ricordo nulla e devo attenermi ai diversi racconti, ascoltandoli con spirito critico.

Sono sempre stato a[topo~, strano, fuori luogo, siccome  fin da bambino ho criticato alcuni aspetti di ogni posto dove osservavo tutto con attenzione per trarne giudizi miei.

 

 

 

 

 



[1] Platone, Repubblica, 505a:"hJ tou' ajgaqou' ijdeva mevgiston mavqhma".

 

[2]   Zibaldone, 305.

6 Maggio, prossima conferenza alla biblioteca Ginzburg

Ecco il link alla pagina dedicata della Biblioteca Ginzburg: 
Desiderio di umanesimo | Biblioteche Bologna

Desiderio di umanesimo

Il sapere non è sapienza


Il sapere non è sapienza se non arriva a conoscere il Bene.

Cfr. hj tou` ajgaqou` ijdeva mevgiston mavqhma (Platone, Repubblica, 505 a), l’idea del bene è la massima scienza.

Salviamo il liceo classico con il greco e il latino letti nella lingua degli autori.

Umanesimo è avere coscienza di essere uomo: nell'Edipo a Colono di Sofocle, Teseo dice al vecchio parricida, incestuoso, cieco malfamato e vagabondo:"e[xoid j ajnh;r w[n"(v.567), so bene di essere uomo, ed è per questo che ti aiuto.

In latino abbiamo il verso più noto e citato dell’Heautontimorumenos (77) di Terenzio": "Homo sum: humani nil a me alienum puto ", sono uomo: tutto ciò che è umano mi riguarda.

Umanesimo è adoperarsi per gli altri

Umanesimo è imparare dal dolore ad aiutare gli sventurati dice Didone a Enea profugo e naufrago: “Non ignara mali miseris succurrere disco” ( Eneide, I, 630).

Quindi Seneca:" Vivit is qui multis usui est, vivit is qui se utitur " (Epist. ad Luc, 60, 4) vive chi si rende utile a molti, vive chi si adopera.

Lo sa anche l’olivo nella disputa con l’alloro del quarto giambo di Callimaco il quale attribuisce umanità e simpatia maggiore a una pianta utile (l’olivo) piuttosto che a una decorativa (l’alloro)

Giacomo Zanella ripeterà questo per la vite sempre contrapposta all’alloro

Umanesimo è non sentirsi separato dal cosmo.

 Non essere disordinato nel cosmo che è ordine.

“Tutto il dolore, tutto il male consistono solo nel fatto che noi, singoli, non ci sentiamo più come parti inscindibili del Tutto, che l'io dà troppa importanza a se stesso” Hermann Hesse, La cura.

E John Donne : “la campana suona sempre per te”.

Umanesimo è anche la cura della parola che poi è terapia della propria anima siccome “parlare male fa male all’anima” appunto.

Cfr. Platone, Fedone, 115e. E pure Shakespeare - John Fletcher: “Enrico VIIII It is a kind of good did - to say well (III, 2, 153) E’ una specie di fare bene il parlare bene.

Oggi è di moda parlare male, non farsi capire. A parer mio significa: “me ne frego di te” o addirittura “ti frego”.

 

Il rispetto e la verità

Una colonna dell’umanesimo è il rispetto: quello delle persone, della natura, della verità. Rispettare significa osservare (cfr. latino respicio) senza volere sottomettere, impossessarsi, sfruttare, umiliare la persona o la cosa osservata.

Per quanto riguarda la verità questa in greco è ajlhvqeia cioè “non latenza” e pure “non dimenticanza”- lanqavnw significa “rimango nascosto” e lanqavnomai “mi dimentico”. Dimenticare significa non avere capito.

 

Necessità dello studio della storia

Per recuperare la lezione umanistica e umana dei classici bisogna studiare non solo la lingua e la letteratura ma anche la storia.

Cicerone nell'Orator (46 a. C.) ha scritto: "Nescire autem quid ante quam natus sis acciderit, id est semper esse puerum. La conoscenza della storia è necessaria alla coscienza adulta.

L’umanità compiuta comporta anche la maturità della persona umana.

 

Segni di contraddizione

Nella storia come nella letteratura e nella Vita si trovano personaggi che sono segni di contraddizione. L’espressione è evangelica: riferita al Cristo: signum cui contradicetur, ut revelentur ex multis cordibus cogitationes (N. T. Luca, 2, 34-35), perché siano svelati i pensieri da molti cuori. Anche a te, dice a Maria Simone, uomo giusto e timorato di Dio, anche a te una spada trafiggerà l’anima.

Alessandro Magno, Annibale, Nerone sono reputati in maniera non univoca da chi ha scritto di loro: storiografi appunto e poeti.

Terrò un corso su questi tre personaggi famosi e pure malfamati. Ovviamente lo studio deve essere una ricerca fatta sulle fonti.

 E’ umanesimo dunque vedere uomini e donne come problemi, e non in maniera dogmatica: ottimo Alessandro Magno e pessimo Nerone, per esempio. Citerò opinioni opposte a queste.

 

I sacrifici umani

Un altro argomento è la disumanità dei sacrifici umani imposti dalla superstizione o dall’avidità e dall’ambizione di chi vuole le guerre.

I sacrifici umani di Astianatte (un infanticidio) e di Ifigenia e Polissena: (due femminicidi) in Euripide (Troiane, EcubaIfigenia in Tauride, Ifigenia in Aulide) e Lucrezio.

 

L’eroismo nei testi greci. Eroismi diversi

L’uomo Achille e l’uomo Odisseo danno esempi diversi di eroismo.

Hanno tuttavia in comune la volontà di non cedere mai.

Achille non cede perché vuole primeggiare mentre Odisseo desidera imparare a tutti i costi.


La brutalità

L’antitesi dell’umanesimo è la brutalità, cioè la mancanza di spirito critico associato all’ignoranza, al conformismo, al servilismo e al provincialismo. Non senza idiozia.

“Il bruto è più tenace servo dell’assuefazione” secondo Leopardi (Zibaldone, 1762)

 Nel Miles gloriosus di Plauto parla un lepidus semisenex , Periplecomenus, dicendo parole utilizzabili contro la canèa delle trasmssioni televisive fatte di parole inascoltabili in quanto si sovrappongono a vicenda, ad alta voce. Ascoltare è parte essenziale della persona educata; ascoltare e farsi ascoltare parlando con chiarezza.

Il pensiero è reso fecondo dall’amore: Sofocle, Joyce, T. Mann, E. Morin.

La figlia di Edipo vale per tutti quando dice: ou[toi sunevcqein ajlla; sumfilei'n e[fun" (Sofocle, Antigone, v. 523), certamente non sono nata per condividere l'odio ma l'amore.


Gratitudine e ingratitudine

La gratitudine è segno di anima nobile, l’ingratitudine è il marchio della bassezza d’animo (cfr. Teognide)

Dobbiamo separarci dalla vita con gratitudine quando giunge il momento.

Dalla vita come dalla migliore delle amanti

Lucrezio e Marco Aurelio

Umanesimo è anche la capacità di mettersi nei panni degli altri.

Pirandello e L’umorismo con il sentimento del contrario. Joyce e Dedalo supplente a scuola nel secondo capitolo dell’Ulisse.

Amor matris: genitivo soggettivo e oggettivo. Joyce e Lucrezio.

Come preparare seriamente e umanamente una lezione o una conferenza: studiando, imparando, criticando. Importanza delle citazioni.

La capacità di meravigliarsi porta alla filosofia: Platone (Teeteto) e Aristotele (Metafisica) .

Il fascino dell’esotico nel linguaggio (Aristotele e Leopardi) e anche nelle persone (T. Mann, La montagna incantata: Hans e Claudia Chauchat).

Il bisogno di delicatezza fa parte dell’umanesimo (Omero, Saffo, Ovidio e Italo Calvino)


Un dilemma

Bastonabili, bastonabilissimi gli ambasciatori?

Il conte Attilio e Fra’ Cristoforo nel romanzo di Manzoni

E i ragazzini liceali?

Umanesimo secondo Schopenhauer è anche la pietas verso gli animali.

Il caso di Pitagora nel De magia di Apuleio.

Una forma di umanesimo è evitare ogni eccesso. Orazio e Seneca.

La teoria della classe media nelle Supplici e nell’ Oreste di Euripide

Nulla di troppo anche nell’amore raccomandato nella Medea di Euripide dalla Nutrice e dal Coro delle donne corinzie.

Hans Castorp e l’umano della disciplina

 

Bologna 25 marzo 2024, ore 11, 05


E’ più umano il cultus fino all'artificio o la naturalezza fino all’incuria?

Properzio, Virgilio, Orazio e la via di mezzo di Ovidio.

 


 

Il cultus, la cura della persona e dello stile è segno di contraddizione

 

Il cultus che Properzio apprezza non è quello mercatus, comprato

Nella seconda elegia del primo libro il poeta umbro scrive:

 quid iuvat ornato procedere, vita, capillo,

et tenues Coa veste movere sinus,

aut quid Orontea crines perfundere murra,

teque peregrinis vendere muneribs,

naturaeque decus mercato perdere cultu,

nec sinere in propriis membra nitere bonis? (I, 2, 1-8)

in cosa ti giova, vita mia, venire avanti con i capelli adorni,

e  agitare le pieghe sottili nella veste di Cos,

o cospargere i capelli di mirra siriana,

e venderti a regali stranieri,

e sciupare la bellezza naturale con il lusso comprato,

e non lasciare che le membra splendano delle proprie bellezze?  

La natura fa vedere e sentire dei veri capolavori non artificiali: la terra formosa fa vedere splendidi colori (I, 2, 9), l'edera sale più rigogliosa sponte sua (v. 10), come nell'età dell'oro "et volucres nulla dulcius arte canunt" (v. 14) e gli uccelli cantano più dolcemente senza apprendimenti. 

 

Questo topos si trova anche nel Vangelo secondo Matteo:"Et de vestimento quid solliciti estis? Considerate lilia agri quomodo crescunt: non laborant neque nent. Dico autem vobis quoniam nec Salomon in omni gloria sua coopertus est sicut unum ex istis" (6, 28), e quanto al vestire perché vi affannate? Considerate come crescono i gigli dei campi: non si affaticano e non filano. Eppure vi dico che neppure Salomone in tutta la sua gloria è stato coperto come uno di loro.

 

Ovidio viceversa suggerisce il cultus, non eccessivo bensì moderato, però ritiene che l’assenza totale di cura dell’eleganza sia brutta e sgradevole: nel  III libro dell'Ars amatoria troviamo la polemica contro la richiesta del ritorno agli antiqui mores. Gli costerà cara.

 Satireggiato è l’incessus  rozzo  della contadina umbra:

illa, velut coniunx Umbri rubicunda mariti,/ambulat, ingentis varica fertque gradus" (Ars, III, 303-304)  quella  cammina come la moglie rubiconda di un marito umbro, e procede a grandi passi con le gambe divaricate. E' questo un rusticus…motus (vv. 305-306) che fa scappare gli uomini (fugatque viros, v. 300).

 

 

Sul nullus cultus  sentiamo Virgilio:

At tibi, prima puer, nullo munuscula cultu,

errantes hederas passim cum baccare tellus

mixtaque ridenti colocasia fundet acantho.

Ipsae lacte domum referent distenta capellae

ubera, nc magnos metuent armenta leones.

Ipsa tibi blandos fundent cunabula flores.

Occidet et serpens, et fallax herba veneni

occidet; Assiryum vulgo nascetur amomum

 

 (Ecloga IV, 18-20)

per te, fanciullo, la terra senza essere coltivata, effonderà i primi piccoli doni, l’edera errante qua e là con il nardo e la colocasia con il gaio acanto. Le capre da sole riporteranno le mammelle gonfie di latte,

e gli armenti non dovranno temere i grandi leoni.

La stessa culla spargerà per te fiori soavi.

Morrà anche il serpente e l’insidiosa erba del veleno

morrà, e nascerà dappertutto l’amomo di Assiria.

Poi altri aspetti ancora dell’età dell’oro: campi biondi di spighe, rossi grappoli di uva che nascono da roveti incolti  et durae quercus sudabunt roscida mella” 30 e le dure querce suderanno rugiade di miele.

Una poesia di maniera e adulatoria questa. L’ecloga è delicata ad Asinio Pollione console nel 40 e il puer dovrebbe essere il figlio Asinio Gallio o il prossimo figlio di Ottaviano. Sarebbe nata una figlia, Giulia, che diverrà una donna famigerata quale dissoluta.

L’ottimismo di questa ecloga è dovuto alla pace di Brindisi tra Ottaviano e Antonio

Poco posteriore alla IV ecloga del 40 è l'Epodo 16 di Orazio composto probabilmente  "dopo che Sesto  Pompeo nel 38 ha ricominciato la sua guerra sul mare, minacciando di affamare l'Italia"[1].

Roma che i tanti nemici esterni non riuscirono a distruggere, prevede cupamente il poeta, "impia perdemus devoti sanguinis aetas "(v. 9), la distruggeremo noi, generazione empia nata da un sangue maledetto, con riferimento al fratricidio primigenio di Romolo. Anche la funzione della donna è ribaltata rispetto al messianico testo virgiliano dove la madre del puer  è rappresentata ridente:  alle donne, con ricordo archilocheo[2] che avrà un seguito in Tacito[3], si addice il luctus che il vir,  cui si confà la virtus,  deve evitare:"vos quibus est virtus, muliebrem tollite luctum " (v. 39), voi che avete coraggio virile togliete di mezzo il lamento da femmine. Si dovrà volare al di là dei lidi etruschi, verso le isole felici dell'Oceano. In quei luoghi la terra è generosa, gli animali produttivi, il clima mite, le donne pudiche poiché non hanno avuto il cattivo esempio dell’impudica di Medea:"Non huc Argoo contendit remige pinus/neque impudica Colchis intulit pedem " (vv. 59-60), qua non ha diretto la rotta la nave con i rematori di Argo, né la svergognata donna di Colchide vi ha messo piede.

 

 

 Torniamo a Properzio e concludiamo

Il poeta umbro non crede che Amore né Venere rimangano incantati davanti alle grandi ricchezze né che queste possano rendere felice chi è infelice nell'amore:"Nescit amor magnis cedere divitiis (…) Nam quis divitiis adverso gaudet Amore?/Nulla mihi tristi praemia sint Venere! (…) Quae mihi dum placata aderit, non ulla verebor/regna vel Alcinoi munera despicere " (I, 14, 8, 15-16, 23-24), Amore non conosce il cedimento davanti alle grandi ricchezze (…) Infatti chi può godere delle ricchezze se Amore è contrario? Non voglio avere tesori se Venere è corrucciata!…Invece finché lei mi sarà accanto benevola, non temerò alcun potere, non esiterò a disprezzare perfino i doni lussuosi di Alcinoo.

 

Bologna 29 aprile 2024 ore 11, 28 giovanni ghiselli

p. s.

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[1]La Penna (a cura di) Orazio, Le Opere, Antologia , p. 162.

[2]Fr. 7 D., v. 10:"tlh'te gunaikei'on pevnqo" ajpwsavmenoi ", sopportate, respingendo il lutto femmineo.

[3]"Feminis lugere honestum est, viris meminisse " Germania  (27, 1), per le donne è bello piangere, per gli uomini ricordare.

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