martedì 2 aprile 2024

Ifigenia CXVIII. Un concubitus orrendo.

 

Venerdì 13 luglio andammo a fare l’amore la sera tardi, non bene, sulla spiaggia che sembrava deserta.

Dal via Nazario Sauro e da viale Trieste di Pesaro, ancora animati, giungevano voci intermittenti di uomini, donne e bambini, luci agitate di faro, rumori catarrosi di motociclette, e dal moletto i suoni repellenti di un’orchestra rumorosa. La luna non si vedeva, il mare era buio.

Temevo che qualcuno venisse a darci fastidio o che ne provasse di noi per quanto avevamo intenzione di fare: in fondo la riva del mare è un luogo pubblico anche di notte.  

Inoltre temevo la sabbia negli occhi, non metaforicamente bensì proprio fisicamente: avevo le lenti a contatto e con queste basta un granello di polvere a produrre sfregamento con lacrime copiose e dolore intenso, nervoso. Ma Ifigenia insisteva con ostinazione per fare l’amore subito e lì, sulla sabbia. Non mi sembrava che fosse il luogo né il momento opportuno, però non volevo litigare, sicché la seguivo verso la riva dove mi trascinava, imperiosa e inflessibile. Camminammo in mezzo ai resti degli ombrelloni recisi inciampando ogni tanto: a un tratto battei violentemente un ginocchio e mi lasciai cadere dolente e resurpino sull’umida rena.

Senza perdere tempo colei montò a cavalcioni sul mio ventre e cominciò ad agitarsi con nervosismo rabbioso, quasi volesse punirmi siccome avevo osato esitare: non era più la giovane, generosa collega che mi aveva offerto il suo amore in autunno e mi aveva deliziato parecchie volte: era un’erinni aggressiva, furente. Doveva credere che lì sulla sabbia, dove entrambi ci sentivamo a disagio, si decidesse una gara per il potere tra noi, un agone tutt’altro che olimpico, una competizione squallida tra due disgraziati.

La stavamo perdendo entrambi come succede in ogni conflitto violento.

Si muoveva dunque con furia sopra di me addolorato e sbigottito quando il suo volto frenetico venne illuminato da un faro che sventagliava. Allora tutta la testa prese un aspetto sinistro: gli occhi arrossati, le narici dilatate, le labbra arcuate, i capelli confusi e agitati come un nido di serpi nere, mi diedero l’impressione di essere sottoposto a un mostro femminino della mitologia inferiore, una satanessa del caos primordiale.

Ne ebbi terrore. Dopo qualche minuto di quell’esercizio anti erotico, si sentirono parlare delle persone che si stavano avvicinando. Volevo che la mia prevaricatrice si fermasse ma colei mi sovrastava, mi pesava sul ventre infelice, schiacciato e non voleva smettere per nessuna ragione; anzi, a un tratto per farmi tacere mi diede uno schiaffo con una mano insabbiata e con l’altra mi compresse la bocca.

Qundi si mise a gridare: “perché indugi? Avanti, fa’ presto: tu mi fai perdere tempo!”

In tale frangente non potevo avere l’orgasmo, anzi dovevo pensare asituazioni diverse, soprattutto a un’amante diversa da lei, anche solo per mantenere l’erezione.

I loquaci ambulanti erano giunti vicino e una donna disse: “ i cani sono meno spudorati di quei due:canaglia è un complimento per certa gentaccia!”

Aveva ragione: noi due stavamo infliggendo impudica violenza  a quanti  nella notte d’estate passeggiavano sulla riva del mare per respirare l’aria salmastra e magari osservare le stelle, forse anche pregare, non per vedere lo spettacolo osceno dato da un uomo e una donna in disaccordo sessuale e totale. Intanto la pessima orchestra del moletto diffondeva rumori che mi sembravano annunci di prossimi danni.

Il gruppo dei passeggiatori passò oltre, la musicaccia cessò e la spiaggia divenne silenziosa, deserta come d’inverno. Ifigenia era muta però si agitava come un gabbiano sollevando la rena che mi ricadeva addosso.

Per porre termine a quella tortura arrivando al coito preteso con prepotenza, cercai di anestetizzarmi da tutto il dolore che mi cadeva addosso, volsi la testa in modo da non vedere più quel rictus furioso che mi sovrastava da vicino e, guardando molto più in alto,  riuscii a osservare per qualche secondo le stelle. Così finalmente giunsi al compimento di quel concubitus orrendo.

 

Bologna 2 aprile 2024 ore 10, 56 giovanni ghiselli

p. s.

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