giovedì 4 aprile 2024

Ifigenia CXIX. La donna capricciosa e l’uomo rimbecillito.


 

Il 14 luglio andammo a Roma dove restammo qualche giorno. Giorni pesanti. La parte organizzativa era tutta sulle mie spalle. Ifigenia mi ostacolava con lamentele e con pianti. Se voleva bere, diceva: “ gianni, ho sete” magari mentre ero in fila per comprare i necessari biglietti. Parassitaria era colei, non collaborativa.

Cosa potevo rispondere infilato com’ero nella coda davanti al bigliettaio?

“ Dunque vai a bere”. Quella allora metteva su il muso. Poi ribatteva rincarando la dose: “Ma io ho tanta sete!”.

 “Vai subito a bere”, replicavo a mia volta.

In treno avevamo i posti prenotati ma Ifigenia voleva stare seduta sulle mie ginocchia e mettermi le mani sugli occhi  per impedirmi di leggere, osservare altre persone, pensare. Se la scostavo, prendeva l’atteggiamento della vittima. Qualunque cosa cercassi di fare, se lei non ci entrava, si inseriva, mi interrompeva senza del resto avere nulla di interessante da dire. Sapeva solo rovesciarmi addosso una serie di moine ormai trite e stucchevoli. In generale provavo noia e stanchezza ma in certi momenti con abile mossa furtiva, segreta, la giovane donna riusciva a riattizzare il fuoco erotico ancora non spento del tutto.

 Passammo un bel quarto d’ora dopo la stazione di Arezzo in un minuscolo bagno dove ci chiudemmo e facemmo l’amore appoggiati a una parete che traballava con frenesia assecondando i nostri tripudi.

 Giunti all’altezza di Sansepolcro mi genuflessi devotamente e indirizzai un bacio verso il cimitero dove riposavano già in pace i caissimi miei nonni materni Margherita e Carlo..

Giunti a Roma, Stefano, il simpatico cugino paterno,  ci prestò il suo appartamento dove non fummo altrettanto appassionati. La sera non  tardi ci sistemammo nell’alloggio generosamente offerto. Posati i bagagli,   Ifigenia si allungò nel letto matrimoniale. Io entrai nel bagno e ne uscìi poco dopo con il giornale che avevo appena sfogliato e volevo leggere . Avevo indosso delle mutande bianche, leggere. Ifigenia mi aspettava seduta nuda nel letto e come mi vide si mise a piangere quasi fossi tornato coperto di ferite e di sangue.

“Stai poco bene?” le domandai. Rispose che quella casa la sconfortava.

Un altro vizio suo era quello di lamentarsi della sistemazione che trovavo quando si viaggiava insieme. Non c’era verso che gliene andasse bene una.

Certo io alla pulizia tengo, ma sono un povero figliolo e non posso permettermi il grandhotel pentastellato.

Più tardi mi confessò che aveva pianto vedendomi entrare nella stanza da letto vestito, e con il giornale in mano invece che nudo, bramoso e proteso verso la sua bellezza. Era una fortuna per me la sua disponibilità ma non ero in grado di capirlo. Le ero sembrato il tipico marito vecchio, stanco e  rimbecillito.

Bologna 4 aprile 2024 ore 17, 23 giovanni ghiselli

p. s.

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