domenica 18 maggio 2025

Ifigenia CX. Parole scritte nel vento e nell’acqua.


 

Dicit: sed mulier cupido quod dicit amanti,
in vento et rapida scribere oportet aqua
. (Catullo, 70, 3-4)

 

Probabilmente le storie del ferroviere e del medico erano due calcolate commedie recitate per darsi importanza e occupare i miei pensieri. Infatti se avesse progettato di fare sesso con questo o con quello, non mi avrebbe messo in allarme; del resto se avesse rispettato i miei sentimenti trattandoli con la dovuta delicatezza non mi avrebbe dichiarato la propria disponibilità a essere corteggiata.

 Ero oramai quasi certo che non poteva funzionare tra noi.

Lo stesso sciacquio dell’acqua marina sulla riva sembrava echeggiare  i gemiti della mia pena. Sunt lacrimae maris.   

Volli comunque parlarle in modo diretto, fino a provocarla perché si scoprisse e si arrivasse alla conclusione.

Debrecen poteva salvarmi ancora una volta.

Dissi: “Ifigenia, se costui o qualsiasi altro uomo è importante per te, dimmelo con tutta chiarezza: io posso continuare a percorre la mia strada, metodicamente, da solo. Se hai delle curiosità erotiche, cavatele: io non voglio incepparti o impicciarti. Se hai bisogno di altre esperienze, falle pure con chi ti pare bello e giusto, però non pretendere che io viceversa rimanga  devoto alla tua persona. Mi interessa un rapporto di reciprocità con te. Se vuoi essere la mia compagna impegnativa, impegnati a tua volta a non farmi quanto io non faccio a te. Se invece preferisci riprenderti la libertà, o licenza che sia, fallo senza tante circonlocuzioni, astuzie e mezze misure, poi dimmelo con tutta chiarezza e lasciami andare a Debrecen senza il dilemma angosciante se devo mantenere la fede  promessa,  forse in maniera malcauta, o se invece faccio bene a romperla e togliermi il pensiero. Poi, una volta tornato in Italia, troverò un’altra compagna magari meno giovane e  bella di te, ma tale che non mi crei certi problemi di cui sicuramente non ho bisogno. Non posso più tollerare un rapporto tra noi che non sia di rispetto reciproco.

Ti chiedo di rispondermi con tutta chiarezza”.

 

Ora so che erano parole inutili con tale persona. Sarebbe stato meglio  tacere.

 

Ifigenia sperava che la gelosia mi avrebbe reso più pazzo di Otello e prono ai suoi piedi per giunta, sicché assunse l’espressione dello stupore davanti a un imprevisto, e disse: “Che cosa hai pensato tesoro? Io con gli uomini parlo e finisce lì. Non avere paura Gianni; come te ce ne sono davvero pochi, anzi tu sei l’unico che possa davvero piacermi e io voglio stare con te. Tu non devi avere dubbi sul mio amore e la mia fedeltà. Fidati”.

Non mi  lasciai abbindolare, tuttavia sentivo che il tempo non era maturo  per l’exitus definitivo. Era destino che la nostra storia continuasse. Infatti se fosse finita quel 21 di luglio, un paio di anni prima dello scoppio del tuono, tipo quello udito da Edipo a Colono o da Hans Castorp su La montagna incantata, sarei andato a Debrecen a consolarmi, bevendo birra nel casinetto del tennis, correndo nello stadio prospiciente e facendo del sesso nella camera 4 del secondo collegio come nel decennio passato, e forse non avrei scritto questo romanzo ricco di  casi né avrei capito tante cose, né le avrei fatte capire a voi che mi leggete. Altro dolore doveva esserci perché potessi scrivere l’ epica del tempo della mia vita, un opus optimum casibus appunto.

Intanto volevo sentirla parlare ancora del nostro futuro.

Non potevano essere parole buone né veritiere le sue, poiché il futuro è sempre conseguente ai pensieri e alle azioni  che lo precedono, non certo alle promesse che sono spesso scritte nell’acqua, soprattutto quelle tra gli amanti, come avverte Catullo citato sopra, cui aggiungo Plauto: “Res potiores verbo” ( Aulularia, 693)  

 

Bologna 18 maggio 2025 ore 18, 30 giovanni ghiselli

p. s.

Statistiche del blog

Sempre1731302

Oggi195

Ieri415

Questo mese8157

Il mese scorso15712

 

Ifigenia CIX. La Sfinge e il mostro della gelosia.


 

Arrivai alla spiaggia di Misano nel primo pomeriggio. Mi diressi al suo ombrellone dove aveva detto che mi avrebbe aspettato, ma non la vidi. Una sua conoscente, mentre mi avvicinavo con aria interrogativa, si alzò di scatto dalla sdraia e corse verso la riva. Poco dopo apparve Ifigenia. Correva anche lei e mi si accostò trafelata.

Mi baciò poi disse: “scusami: stavo parlando con un ragazzo. Veramente è un uomo più o meno della tua età, un medico simpatico, biondo. Con lui questa mattina ho fatto un giro in moscone e un po’ di amicizia. Mi ha parlato delle sue amanti e dei loro mariti gabbati. Forse durante la tua assenza uscirò qualche volta con lui tanto per non rimanere sempre rintanata  in quella triste casetta”.

Mi venne in mente una frase cruda ma lucida di Cesare Pavese: "Una donna, con gli altri, o fa sul serio o scherza. Se fa sul serio, allora appartiene a quell'altro e basta; se scherza, allora è una vacca e basta"[1].

La scrutavo pensando: “questa che cosa vuole da me? Ingelosirmi, sottomettermi facendomi soffrire?”.

Ero costretto di nuovo a rimuginare per decriptare questa sfinge che mi proponeva enigmi inquietanti.

Dall’entroterra avanzava per giunta un’afa pesante, caliginosa, che cominciava a coprire la spiaggia. Anche gli aspetti più belli dell’estate matura ne venivano contaminati e deturpati, perfino le cosce delle fanciulle fiorenti, la cosa mortale più degna del cielo, ne venivano deformate e insozzate: grondavano di goccioline opache. Sembravano gli schizzi schifosi dell’ empia libidine di un uomo  sifilitico eppure non ancora impedito di fare del male.

Dovevo parlare a quella donna ancipite e volevo farlo lontano da orecchie curiose e pettegole, sicché prendemmo un moscone. Mi diedi a remare con lena muta e rabbiosa finché ci trovammo lontani dalla folla chiassosa dei turisti e fuori dalla nebbia che ormai nascondeva la spiaggia con il suo popolino di villeggianti.

La fatica impiegata con le braccia, che sono la parte meno allenata del mio corpo, mi aveva aiutato a stenebrare l’offuscamento della mente. Capivo che la giovane donna, collega e amante dal fisico appetitoso in sé, e ghiotto assai per molti uomini, aveva fatto calcoli impuri dettati dalla voglia disonesta di rendere malati i miei sentimenti. Colei voleva schiacciarmi sotto l’angoscia  plumbea della gelosia parlando in modo talmente ambiguo da lasciarmi dei dubbi sul proprio comportamento sessuale, da mettermi nel cervello l’agente patogeno che mi tenesse legato alla sua persona equivoca con il vincolo delle emozioni cattive.

Il mostro dagli occhi verdi che si fa beffe del cibo che mangia[2] mi tormentava di nuovo

 

Avvertenza: il blog contiene 2 note e il greco non traslitterato.

 

Bologna 18  maggio 2025 ore 11, 39 giovanni ghiselli

p. s.

Statistiche del blog

Sempre1731160

Oggi53

Ieri415

Questo mese8015

Il mese scorso15712

 



[1] Il mestiere di vivere, 27 dicembre 1946.

[2] Cfr"the green-eyed monster, which doth mock/ the meat it feeds on " (Shakespeare, Otello , III, 3) il mostro dagli occhi verdi che si fa beffe del cibo di cui si pasce.