Il giorno seguente partimmo, senza Fulvio.
Eravamo diretti in Grecia dove volevamo pregare per l’amore e per l’arte. Avevamo poco denaro, appena sufficiente, forse nemmeno abbastanza da tornare a Bologna. Poverelli ma devoti. L’avevo convinta che tali pellegrinaggi ai santuari greci danno indicazioni preziose. Avevo trovato lei, la mia Musa, con una pedalata solitaria tra Brauron, Maratona, Capo Sunio, Corinto, Epidauro due anni prima.
Questa volta saremmo andati in luoghi ancora più sacrosanti per interrogare gli dei e gli eroi della Grecia. La gara da me vinta nello stadio di Debrecen propiziava il viaggio. Dei miseri quattrini si poteva fare a meno. Digiunare e dormire negli ostelli è tutta santità.
La prima sera alloggiammo a Szeged in casa dell’amico Ezio che faceva il lettore di italiano in quella Università. Ifigenia fu scortese con i nostri ospiti: seguitava a non tollerare i miei amici, comunque essi fossero.
Arrivò a palarmi in un orecchio per criticare Ezio, sua moglie, la loro casa e il loro cibo durante la cena,
Pensai che aveva offeso nobile costume greco con tanta volgarità e che gli dèi non l’avrebbero mai esaudita in quanto empia. Ma sul momento non glielo dissi.
La mattina seguente partimmo comunque già incattiviti. Alla frontiera yugoslava però cambiammo umore. Bastava poco, squilibrati come eravamo. In coda dietro altre automobili sentimmo suonare un clacson. Girai la testa drizzando le orecchie e aprendo la bocca. Come fa un cane spaventato o una iena affamata o un coyote o un licaone. Per un momento mi sentìi appartenere alla specie che detesto dei canidi. Come lo dissi a Ifigenia, lo confermò: mi sei sembrato il vero cane.
Questo ci mise di buonumore.
La sera giungemmo a Predejane, in fondo alla Serbia allora. Ora è nel Kosovo. Ci fermammo a dormire in un motel.
La mattina assistemmo a una scena ridicola. So che ora non sta bene ridere sugli omosessuali ma devo avvertirti lettore che ai miei tempi usava. Mica perseguitarli per carità, né offenderli ci mancherebbe, ma trovarli buffi era un’abitudine invalsa. Oggi non si può più. Anzi, i pervertiti biasimati casomai sono quelli che corteggiano le donne anche con stile e buon gusto.
Il malfamato, quello che deve vergognarsi e non darlo a vedere, oggi è il donnaiolo.
Durante la colazione dunque assistemmo a una commedia buffa. Ifigenia mi fece notare un anziano piuttosto distinto seduto a un tavolo con un ragazzo negro giovane e bello.
So che anche scrivere o dire “negro” invece che “nero” o scuro di pelle è un’infamia ma preferisco essere infame che ipocrita. Così dico cieco invece che non vedente. Senza tema d’infamia lo dico.
Come affermo e mi vanto di essere stato un donnaiolo impenitente.
Rifarei tutto magari anche di più e meglio.
Quando arrivò il cameriere a prendere l’ordinazione, l’attempato ordinò senza scomporsi; il giovane invece cominciò ad agitarsi scuotendo la testa crespa, a far baluginare il bianco degli occhi e dei denti, quindi con voce stridula e irritata gridò: “Omelette, no? Cosa posso volere io qui dentro? Omelette e basta! Omette o niente!”. Il cameriere sbigottito rispose: “Va bene signore, omlette”.
Il vecchio cercava di ammansire il giovane dai mal connessi nervi accarezzandogli delicatamente la mano sinistra.
Riconobbi le due categorie di omosessuali: quelli miti e quelli sempre contrariati da tutto. Come tante donne, essi sono dell’uno o dell’altro tipo.
Un loro segno di riconoscimento è farsi vento con cartoline o altri pezzi di carta. Il giovane lo fece con un tovagliolo imprecando contro il caldo. Era vestito con calzoni attillatissimi e una canottiera verde buchelerrata.
Si confidò con il suo mentore ma in modo di farsi sentire anche da altri: “se quel garzone crede che in questa lurida topaia io possa mangiare altro da una omlette e mi fa domande importune, è un cretino e uno screanzato. Dovresti sgridarlo anche tu per la sua impertinenza!”.
Più tardi commentammo la scena e ne ridemmo. Però pensai che dopo tutto il loro rapporto con i capricci di un ragazzo davanti a un amante attempato era simile al nostro e che quel giovane era la caricatura di Ifigenia mentre il vecchio era la mia controfigura.
Dunque chi non è senza difetti si astenga dal motteggio e dalla canzonatura.
p. s.
Avverto che non ho niente contro gli omosessuali né contro le persone di colore.
Quando insegnavo nel Veneto e mi chiamavano marochin, o addirittura negro ne ero contento. Ho sempre cercato di abbronzarmi.
Ero incerto se pubblicare questo episodio e l’ho fatto per questa ragione: “ oggi quando quasi tutti si sentono in dovere di dire: “non sono comunista né lo sono mai stato” mentre dal 68 al 71 dicevamo quasi tutti di esserlo, nessuno dice “io non sono né sono mai stato omosessuale” perché essere stati comunisti è roba da anatema, mentre essere omosessuali è un vanto, un predicato di nobiltà. Dobbiamo considerare la persona, non l’etichetta, né quella che appiccicano gli altri con i rumores né quella che mettiamo in mostra noi stessi.
Io sono gianni misto di bene e di male, uno dei tanti -tw`n pollw`n ti~ w[n- Menandro, La donna di Samo, v. 11.
Bologna 3 luglio ore 10, 58 giovanni ghiselli
Nessun commento:
Posta un commento