mercoledì 31 luglio 2024

Ifigenia CXLVII. L’attesa del dies natalis, il giorno della rinascita.


 

La mattina seguente quando mi alzai vidi l’annuncio di una giornata orribile di fine novembre: il cielo buio e nebbioso aggravò la mia depressione. Avevo gli occhi gonfi, la testa intronata, la lingua inceppata mentre cercava di deprecare il male che vedevo fuori e sentivo dentro di me. Telefonò Ifigenia e mi domandò come stessi. “Non bene”, risposi e le chiesi del tempo per potermi chiarire con lucidità che cosa pensassi della nostra situazione. Durante le quattro ore di scuola lavorai in qualche maniera continuando a rodermi il cuore e il cervello. Niente nella mia vita funzionava come doveva, come avrei voluto in quanto ero io a non funzionare bene.

Ogni giorno mi chiedo: “Come funziono oggi?”.

Intendo nel lavoro, nello sport, negli affetti.

 

Il sonno mi pesava al pari di un bue sulla memoria e sulla lingua. A scuola leggo il meno possibile e se non mi assiste la memoria, lo scrigno dell’intelligenza, faccio pena a me stesso e a quanti mi ascoltano. Mentre parlavo con stento, sentivo che la testa mi pulsava come una ferita dove sembrava bussare il cuore stesso sradicato e travolto dal sangue che l’aveva trascinato dentro il cervello.

 

Quando fui uscito dal tetro liceo nell’aria ancora più cupa della città abbandonata dalla luce del sole, capivo che il problema tra noi non era tanto quello del ballerino quanto il fatto desolante che tra Ifigenia e me non c’era più niente in comune poiché la ragazza aveva perduto ogni interesse per lo studio: ella voleva entrare nel mondo dello spettacolo attraverso qualsiasi porta, buco o spiraglio che fosse stata capace di aprire in qualunque maniera. Doveva avere pensato che Gennaro le aveva socchiuso un uscio stretto o un breve pertugio. Lei lo avrebbe allargato.

 

A me non restava che raccontare la nostra storia nel tanto tempo libero che l’insegnamento ginnasiale mi lasciava. Ifigenia avrebbe avuto un araldo della sua bellezza condannata a sfiorire presto dalla voracità dell’irreparabile tempo e della sua stessa vanità.

 La giovane donna fiorente sarebbe rimasta tale per sempre nelle mie pagine, come le tre finlandesi di cui avrei raccontato come preludio a questo ultimo amore.

Quelle erano donne studiose: due di loro avevano fatto una buona carriera. Come mai non avevo funzionato per più di quattro settimane nemmeno con loro?

Forse perché non avevo fatto altrettanta carriera. Dal cielo scendeva pioggia mista a neve. Mi consolai pensando che non era lontano il dies natalis Solis invicti. Quanto alla carriera potevo ancora rifarmi.

 Ma ci volleva tempo e quello delle finlandesi era già passato.

 

Pesaro 31 luglio 2024 ore 9, 54 giovanni ghiselli.

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I mesi di luglio e agosto sono quelli nei quali le letture del mio blog sono meno numerose. Ma quest’anno va meglio del solito. Anno detto alla latina e alla toscana, cioè l’anno scorso, quelle di luglio furono 6870.

 

 

 

 

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