Il 25 novembre Ifigenia volle andare a San Giovanni in Persicelo a vedere un’Antigone di una regista nota per annientare i testi degli autori sostituendo alle loro parole ornate, cioè chiare e non dozzinali una serie di urli, di smorfie e di gesti di suo gusto, per lo più arbitrari, caotici e non confacenti allo spirito dell’opera. Ifigenia sapeva che siffatta rappresentazione non poteva piacerle in quanto aveva sempre dichiarato che non sopportava i lavori teatrali alternativi, anzi “un sacco alternativi”, come diceva con dispregio. Ma volle andarci lo stesso e voleva intrattenersi in sala anche dopo la fine dello spettacolo. “La ragione più vera anche se non dichiarata-pensai- è che tira a fare tardi per non venire a letto con me”. Era probabile che fosse stata colpita da un dardo amoroso scagliato da un altro. Pochi giorni più tardi quell’uomo fu svelato dagli eventi sui quali indagavo con mente resa vigile dal sospetto quasi mai infondato quando si insinua in una persona abituata a dubitare sui fatti e i dati non chiariti dalle parole, anzi oscurati e confusi da queste.
L’uomo che la distraeva da me era il suo maestro di danza. Ifigenia ne aveva parlato con degli elogi e un tono non privo di pathos che mi aveva messo in sospetto già un mese prima. Alla fine di novembre dunque mi chiese se la portavo al Palazzo dei Congressi a vedere un balletto dove danzava, Gennaro maestro suo e allievo della musa Tersicore. Non potei rifiutarmi. Del resto ne ero curioso. Succede che quando le cose vanno male si arrivi a desiderare che peggiorino addirittura, purché si chiariscano. Durante lo spettacolo mi feci indicare tanto maestro. Era uno qualunque, dentro una fila.
“Bene- pensai- quello è uno che serve solo ad allungare un corteo, come Prufrock di Eliot”. Sapevo del resto che se a lei quello piaceva più di me, la nostra relazione aveva i giorni contati, forse anche le ore. Un pomeriggio mi trovavo nel triste collegio triste dei docenti. Avevo lasciato la bicicletta davanti al portone del liceo e, quando andai a riprenderlam vi trovai un biglietto con su scritto: “Gianni, ti amo tanto. Tu sei il migliore. La tua Musa, Calliope. Ne fui contento pur non senza qualche vago sospetto che la ragazza volesse depistarmi. Per studiarla, la portai a cena sul monte delle formiche dove all’epoca c’era un simpatico ristorante. Eravamo in automobile data l’ora e la stagione ma le dissi che quella era la strada delle nostre imprese poco meno che olimpiche. Tornati a casa, desideravo fare l’amore. La ragazza invece non arrivava all’orgasmo. Era tutta bagnata di sudore, ce la metteva tutta, si affaticava con i movimenti del il corpo e con la voce, ma non c’era verso. Le domandai: “Che cosa ti succede tesoro? Non ti piace più? Avevo evitato la domanda diretta e giusta che era: “Non ti piaccio più?” Una domanda retorica d’altra parte. Ifigenia mi guardò senza rispondere per diversi secondi. Quindi mi domandò: “Sei forte?” Rabbrividìi e pensai: “orribile segno della fine di questa storia” Risposi: “sì, sono forte. Ho già presofferto molto. Ora dimmi”. Ma riprese a tacere fissandomi con occhi pieni di compassione. La incoraggiai. “Dai, raccontami tutto. Ho un cuore avvezzo alle pene”. In realtà mi tremava la voce. “Non temere Gianni: di concreto non è successo nulla. C’è stato un impulso cattivo dell’Es al quale non ho dato alcuna risposta, né voglio dargliela” “Chi lo ha scatenato?-domandai direttamente- il tuo maestro di danza?” “Sì, come hai fatto a capirlo?” “Da certi dettagli. Adesso che cosa pensi di fare?” “Gianni, io voglio rimanere con te, se mi vuoi. E spero che il nostro amore non cali in seguito a questa mia emozione vana” “E’ già calato-pensai-, anzi lo era già da prima”. Ifigenia continuava a cercare una zattera di salvataggio per il nostro rapporto prossimo a naufragare. La decadenza è quasi sempre irreversibile. “Io con l’intelligenza capisco che quel ballerino non vale un’unghia di te, amore mio. Ne sono certa: è un narcisista, forse è pure omosessuale, però mi ha stimolato. In maniera malsana. Magari per il fatto che mi ricorda mio padre. Oppure perché tu da qualche tempo tu mi trascuri, mentre lui mi elogia, mi incoraggia. Ne sono rimasta turbata, è vero. Però il mio uomo sei ancora tu se lo vuoi. Che cosa ne dici?” “Che cosa posso dire: mi dispiace. E’ una ferita inferta al mio narcisismo. Devo curarla”. Quindi le domandai la cosa che mi premeva di più: “A letto con lui ci sei stata”? Rispose in modo che il vulnus non diventasse un ulcus incurabile. “No, gianni, assolutamente no” disse negando con aria risoluta, poi aggiunse un indizio di sincerità, non verificabile peraltro. “Altrimenti ora non sarei qui con te. Non credi?”. Aveva versato un poco di balsamo nella mia ferita. Poteva avere detto la verità ma non ne ero sicuro Comunque risposi: “Sì è vero, scusami” Oggi credo che se amassi una donna e lei volesse restare con me, sarei meno sospettoso e non farei tante indagini. Il fatto è che arrivato a quel punto avevo paura di perdere Ifigenia ma non l’amavo più né le volevo bene. Però pensavo che non era ancora giunto il momento di finire il rapporto senza scapitarci. E lo pensava alche lei. Pesaro 27 luglio 2024 ore 18, 37 giovanni ghiselli
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Già docente di latino e greco nei Licei Rambaldi di Imola, Minghetti e Galvani di Bologna, docente a contratto nelle università di Bologna, Bolzano-Bressanone e Urbino. Collaboratore di vari quotidiani tra cui "la Repubblica" e "il Fatto quotidiano", autore di traduzioni e commenti di classici (Edipo re, Antigone di Sofocle; Medea, Baccanti di Euripide; Omero, Storiografi greci, Satyricon) per diversi editori (Loffredo, Cappelli, Canova)
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sabato 27 luglio 2024
Il dialogo nel letto. La decadenza irreversibile.
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