martedì 30 luglio 2024

Ad Isso, quando divampava ai venti…


Arriano

Dunque A. andò a Soli dove sacrificò ad Asclepio e diede un governo democratico alla città.

Dario voleva combattere in una pianura dell’Assiria tutta aperta all’intorno e più conveniente per il suo esercito numeroso e vantaggiosa per la cavallerisa, ma suo malgrado fu indotto a credere ciò che era più comodo credere, e si lasciò convincere del fatto che Al. non aveva più intenzione di avanzare, da quelli che circondano e circonderanno i re per il loro male (2, 6, 4). E’ la vil razza dannata dei cortigiani (Rigoletto). Lo convinse il consiglio peggiore anche perché era il più gradito all’ascolto e forse intervenne pure una presenza divina kaiv ti kai; daimovnion (2, 6. 6) la quale lo spinse in quel luogo (Isso) a lui sfavorevole. Era oramai necessario ejcrh`n (2, 6, 7) che i Macedoni succedessero ai Persiani dopo i Medi e dopo gli Assiri. Dunque Dario avanzò fino a Isso. Alessandro capisce e dice agli strateghi che il dio era il loro vero stratego poiché aveva messo in mente a Dario la mossa sbagliata (2, 7, 3)

 

 

Battaglia di Isso (Cilicia) novembre 333.

“Ad Isso, quando divampava ai venti/notturno il campo, con le mille schiere,/e i carri oscuri e gl’infiniti armenti” (Pascoli, Alexandros, 24-26).

 

Alessandro prima della battaglia parla ai sui soldati sul lusso e la mollezza dei Persiani .

Parla Al. prima della battaglia di Isso. I Macedoni si sarebbero battuti contro i Medi e i Persiani ejk pavnu pollou' trufw'sin (2, 7, 4) da molto tempo dediti al lusso, mentre loro erano da tempo esercitati (ajskoumevnou") tra le fatiche e in mezzo ai pericoli  della guerra.

Inoltre uomini liberi si sarebbero battuti contro degli schiavi. Si trattava di combattere gente sfavorita dalla divinità e le razze più sfaticate e anche molli dell’Asia ajponwvtata te kai; malakwvtata th`~  jAsiva~ gevnh (2, 7, 5). Topico valore del povno" con il paradigma di Eracle.

Al. ricordò anche Senofonte e i suoi Diecimila che, meno attrezzati di loro, avevano messo in fuga il re e tutte le genti incontrate proprio nei pressi di Babilonia, poi tutti quelli che si erano posti sul loro cammino (2, 7, 8).

 Battaglia di Cunassa (un poco a nord di Babilonia, dove ora c’è Baghdad) 401 a. C.

 Dario aveva seicentomila uomini. Egli occupava il centro come è costume per i re persiani: lo spiega Senofonte (Anabasi, I, 8, 11). Arriano 2, 8, 10.

Dario aveva disposto contro la falange macedone, come primi dello schieramento oplitico, i circa 30 mila mercenari greci (Arriano, 2, 8, 6).

 

Sentiamo anche Curzio: “Alexander phalangem, qua nihil apud Macedonas validius erat, in fronte constituit” (III, 9, 7), schierò sul fronte la falange.

 

Leopardi commenta questo fatto: “Nella gran battaglia dell’Isso, Dario collocò i soldati greci mercenari nella fronte della battaglia, (Arriano II.  8 , 6. Curzio l. 3. c. 9. sez. 2).

Alessandro i suoi mercenari greci proprio nella coda, (Arriano II,  9, 5).

Curiosa e notabilissima differenza e da pronosticare da questo solo l’esito della battaglia. Perché era chiaro che tutta la confidenza dei Persiani stava in quei 30 m. greci, e pure eran greci anche i mercenari d’Alessandro (Arriano c. 9. sez. 7) ed egli li poneva nella coda. Quindi è chiaro ch’egli confidava più nel resto che in questi, e quello che era il più forte dell’esercito Persiano era il più debole del Macedone”. (Zibaldone, 62).

 

Al., schierato l’esercito, menziona xu;n tw`/ prevponti kovsmw/ (2, 10, 2) con l’onore che si meritavano, i nomi dei valorosi: allora si levò il grido di non aspettare ma di lanciarli contro i nemici.

Al. prevaleva contro i Persiani ma i mercenari greci tenevano testa.

Come al solito nelle guerre tra Greci e Barbari, si tratta di un conflitto tra ordine e disordine: i cavalieri persiani, fuggendo in massa e xu;n ajtaxiva/ (2, 11, 3) erano danneggiati calpestandosi a vicenda non meno che da parte dei nemici.

 

Sempre a proposito della battaglia di Isso, sentiamo Giustino (II o III sec. d. C.)  che fece un’epitome delle  Historiae Philippicae di Pompeo Trogo (età augustea), una storia universale che considera Al. il più grande e l’impero romano solo una delle egemonie succedutesi nei secoli.

 Giustino racconta che Al. parlò ad ogni popolo con argomenti diversi. Infiammò Illiri e Traci con il miraggio delle ricchezze, i Greci con il ricordo delle guerre persiane, i Macedoni passando in rassegna le vittorie e celebrando la loro forza. Poi fece fermare più volte l’esercito schierato perché si abituasse a sostenere con lo sguardo la folla dei nemici (XI, 9, 7). Dopo questa vittoria Al. si diede per la prima volta a conviti sontuosi e si innamorò della prigioniera Barsine, figlia di Artabazo,  che gli diede un figlio chiamato Ercole.

 

 Arriano. Ci fu una gara per l’onore tra i Greci di Dario e i Macedoni di Al.

Dario fuggì sul carro. Finché era sul carro se la cavava (ejpi; tou' a{rmato" dieswvzeto (2, 11, 5)

Cfr. il curru in Curzio Rufo a Isso e a Gaugamela (infra).

 Poi, a causa del terreno impervio, lasciò il carro con lo scudo, la sopravveste e l’arco e salì a cavallo. Al. lo inseguì a tutta forza finché ci fu luce. Poi tornò all’accampamento (2, 11, 6)

Così Dario perse la battaglia e l’onore. Caddero centomila persiani. Tolomeo dice che A. e gli inseguitori di Dario attraversarono un burrone sui cadaveri. Furono catturate la madre, la moglie-sorella di Dario e i loro figli. Parmenione andò a Damasco a impadronirsi del tesoro. A. parlò onorando i valorosi (2, 12, 1). Arriano racconta l’episodio del rispetto di Al. per i parenti di D. e la stima di Al. per Efestione del quale disse a Sisisgambi, la madre di Dario, che non si era sbagliata scambiandolo per il re: kai; ga;r ejkei`non ei\nai jAlevxandron (2, 12, 8), anche quello infatti era Alessandro.

Qui forse Al. ricorda, oltre quello di Achille e Patroclo, anche l’esempio mitico di Oreste e Pilade dell’Ifigenia in Tauride.

 

Curzio Rufo.

Quindi A. giunse a Isso dove Parmenione consigliava di dare battaglia, per la strettezza del luogo che non poteva contenere un grande schieramento: “ cum angustiae multitudinem non caperent. Planitiem ipsis camposque esse vitandos” (3, 7, 9). I mercenari greci consigliarono Dario di tornare in Mesopotamia, ma Dario disse che una ritirata poteva essere interpretata come una fuga: “Famā bella stare, et eum qui recēdat fugere credi” (III, 8, 7), le guerre dipendono da quello che si dice e chi ripiega è reputato perdente. La moltitudine dei Persiani era grande ma incondita, disordinata 3, 8, 18. Alessandro che era sempre stato aiutato dalla fortuna la temeva: “quam mutabilis esset reputabat” 3, 8, 20.  Ma la fortuna, omni ratione potentior, 3, 8, 29, più forte di qualsiasi piano anche ben fatto dei Persiani, lo favoriva.

 Al. avanzava in prima fila ed esortava i suoi soldati dicendo che procedevano sul cammino di Bacco e di Ercole. L’eroe ha gli dèi quali modelli e antenati.

Avrebbero continuato fino alla Battriana e all’India. Esaltava i suoi e denigrava i nemici. Ricordava Filippo, poi la distruzione di Tebe (335). Ricordava i successi del Granico (334) e le città conquistate. Ai Greci rammentava le guerre persiane e l’insolentia l’arroganza, di Dario e Serse; ai Traci e agli Illiri prometteva l’oro.

Alessandro Adeguava le promesse a chi le faceva.

Era, in questo come Alcibiade, abilissimo nell'adattarsi alle circostanze "temporibus callidissime serviens "[1]. Un’altra caratteristica del dandy.

 

Al. dispose in prima linea la falange “quā nihil apud Macedonas validius erat” (3, 9, 7).

Al. cavalcava davanti allo schieramento e parlava ai soldati “varia oratione, ut cuiusque animis aptum erat” (3, 10, 4), con discorsi vari adattatti agli animi di ciascun gruppo.

Dario aveva capito che il nerbo dell’esercito era la falange: “phalangem Macedonici exercitus robur esse” (III, 11, 1) voleva risolvere la battaglia con uno scontro equestre. Dario torreggiava dal trono: Darēus curru sublimis eminebat(3, 11, 7) e incitava i suoi a difenderlo, i nemici ad assalirlo.

 

Si vede nel mosaico della Casa del Fauno di Pompei, ora al Museo Archeologico Nazionale di Napoli. Discende da una megalografia della fine del IV secolo e “dà simultaneamente l’attacco, il contrattacco, la mischia e il suo esito”[2]. Alessandro sulla sinistra frena, i Persiani avanzano ma i cavalli del carro di Dario sono già in fuga. In mezzo c’è un vuoto. Sullo sfondo un albero secco da terra desolata.

“Il mosaico, di notevoli dimensioni, (circa 6 X 3 m.) è realizzato con tessere assai minute e rappresenta una scena di battaglia che ha per protagonisti Alessandro Magno e Dario III Codomano, in occasione di uno scontro che potrebbe essere quello di Isso o del Granico. Il pavimento musivo riproponeva con puntuale attenzione un modello pittorico eseguito intorno al 300 a. C. da Filosseno di Eretria, un maestro della pittura greca, esponente di prestigio della scuola di Atene, su commissione di Cassandro, re della Macedonia dal 305 al 298. Il quadro di Filosseno, che Plinio ammirava senza riserve, era stato portato a Roma dopo il 168 a. C., in seguito alla sconfitta dei Macedoni”[3].

 

Per quanto riguarda il sublimis eminebat si vedano questi versi di Seneca, dal primo coro dell’ Hercules furens. Sono Tebani che elogiano la vita rustica e modesta :"Alium multis gloria terris/tradat, et omnes fama per urbes/garrula laudet, coeloque parem/tollat et astris; alius curru/sublimis eat:me mea tellus/lare secreto tutoque tegat./Venit ad pigros cana senectus;/humilique loco, sed certa, sedet/sordida parvae fortuna domus./Alte virtus animosa cadit" (, vv. 192-201), altri la gloria faccia passare per molte terre, e la fama chiacchierona lodi per tutte le città, e lo innalzi all'altezza del cielo e delle stelle; altri vada in trionfo sul carro; me la mia terra protegga in una dimora segreta e sicura. La vecchiezza canuta arriva ai pacifici; siede in luogo basso, ma sicura, la fortuna non apprezzata di una piccola casa. La virtù superba precipita dall'alto.  

Vediamo dove precipita utilizzando Sofocle. Scivolosi sono i fastigi dell' Edipo re . Nel secondo stasimo il coro canta:" La prepotenza (u{bri") fa crescere il tiranno, la prepotenza/se è riempita invano di molti orpelli/che non sono opportuni e non convengono (mhde; sumfevronta)/salita su fastigi altissimi/precipita nella necessità scoscesa/ dove non si avvale di valido piede" ( e[nq j ouj podi; crhsivmw/-crh'tai vv. 873-879). Qui fa capolino la zoppia del tiranno.

 

 

 Dario fuggì e Alessandro prese a inseguirlo con un migliaio di cavalieri che abbattevano folle di nemici: “sed quis aut in victoria, aut in fuga copias numerat?” (III, 11, 17). I vincitori saccheggiarono l’accampamento di Dario e violentarono le donne. Nei grandi sconvolgimenti non si tengono più i conti.

 

 Cfr. Edipo re  :"Ahimé, innumerevoli infatti sopporto/le pene e mi sta male tutto/lo stuolo, e non c'è arma della mente con cui uno si difenderà./E la città muore senza tenere più conto di questi/e progenie prive di pietà giacciono a terra portatrici di morte senza compassione (vv.168-181).

 

Allora si potè vedere la faccia della fortuna prepotente: “tunc vero impotentis fortunae species conspici potuit” , III,  11, 23. Essa aveva trasferito ai vincitori i beni dei vinti.

 

La Fortuna prepotente è la protagonista. 

Accostiamo questa faccia prepotente della fortuna al sublimis eminebat  di Curzio 3, 11, 17 e vediamo un altro locus analogo nel primo coro dell'Agamennone di Seneca quando le donne di Micene notano che la Fortuna/ fallax (vv. 57-58) inganna con grandi beni collocandoli troppo alti in praecipiti dubioque (v. 58), in luogo scosceso e insicuro.  Infatti le cime sono maggiormente esposte alle intemperie, ai colpi della Fortuna, e predisposte alle cadute rispetto alle posizioni medie:"quidquid in altum Fortuna tulit,/ruitura levat./Modicis rebus longius aevum est;/felix mediae quisquis turbae/sorte quietus…" (vv. 101-104), tutto ciò che la Fortuna ha portato in alto, per atterrarlo lo solleva. E' più lunga la vita per le creature modeste: fortunato chiunque sia della folla mediana contento della sua sorte.

 

La caduta dall'alto è prevista dal Viceré del Portogallo che nel dramma La tragedia spagnola [4] dice:"Sciagurata condizione dei re, assisi fra tanti timori senza rimedio! Prima, noi siam posti sulla più eccelsa altezza, e spesso scalzati dall'eccesso dell'odio, ma sempre soggetti alla ruota della fortuna; e quando più in alto, non mai tanto godiamo quanto insieme sospettiamo e temiamo la nostra rovina" (III, 1).

 

Cfr. anche il Riccardo II di Shakespeare dove si legge (III, 2)  che la Morte tiene la propria corte nella corona cava (within the hollow crown) che cinge le tempie mortali di un re e là siede beffarda schernendo il suo stato con un ghigno alla sua pompa and grinning at his pomp.

. For within the hollow crown

That rounds the mortal temples of a king

Keeps death his court; and there the antic sits,

Scoffing his state and grinning at his pomp

 

 

 

Nelle Storie di Polibio leggiamo che Scipione pianse per i nemici (levgetai me;n dakru'sai...uJpe;r polemivwn, XXXVIII, 22) vedendo la rovina di Cartagine e comprendendo che  le città, le nazioni, gli imperi, come gli uomini, devono cambiare sorte ("dei' metabalei'n w{sper ajnqrwvpou" daivmona") .

 Pensò che questo accadde a Ilio, ad altri regni, ed esclamò:" e[ssetai   h\mar o{t j a[n pot j ojlwvlh  [Ilio" iJrh; /kai; Privamo" kai; lao;" ejummelivw[5] Priavmoio"[6]verrà giorno che cada la sacra Ilio/ e Priamo e il popolo di Priamo dalla buona lancia. Quindi nominò la propria patria per la quale temeva considerando le vicende umane.

 

"Kingdoms are clay", i regni sono argilla, risponde Antonio a Cleopatra (Antonio e Cleopatra, I, 1) che lo rimprovera di essere subordinato a Ottaviano e alla moglie, la linguacciuta Fulvia. 

Gli fa eco Cleopatra nell'ultimo atto:" 'Tis paltry to be Caesar; non being Fortune, he's but Fortune's knave, a minister of her will " (V, 2), è una miseria essere Cesare; non essendo lui la Fortuna, è solo un servo della Fortuna, un ministro del suo volere.

 

Dopo Isso.

La bellezza della moglie di Dario, Statira, non era stata alterata nemmeno dalla sfortuna. Alcune donne nobili invece si erano lacerati i capelli e squarciate le vesti laceratis crinibus abscissaque veste pristini decŏris immemores. (3, 11, 25) Invocavano ancora le loro regine.

 

Questi topoi gestuali secondo Polibio non dovrebbero comparire nella storiografia ma solo nella tragedia.  Lo storico antitragico, è critico nei confronti degli storiografi che danno spazio alle lacrime nelle loro opere per suscitare la partecipazione sentimentale di chi le legge. Il suo obiettivo polemico è soprattutto Filarco[7] considerato uno storico "tragico" poiché ha cercato di colpire la sfera emotiva dei lettori, adoperandosi per invitarli alla compassione e renderli partecipi dei suoi sentimenti riguardo a quanto viene raccontato. Egli introduce abbracci di donne (periploka;" gunaikw'n[8]) e chiome scarmigliate (kovma" dierrimmevna" [9]) e denudamenti di seni (mastw'n ejkbolav" [10]), e, oltre questo, lacrime e lamenti di uomini e donne (davkrua kai; qrhvnou" ajndrw'n kai; gunaikw'n ) trascinati via alla rinfusa con figli e vecchi genitori"  (Polibio, Storie, II, 56, 7)[11].

 

Di notte c’è il compianto delle donne su Dario creduto morto. Anche Alessandro pianse. Entrò nella tenda con Efestione, longe omnium amicorum carissimus erat regi (III, 12, 16). Poteva criticarlo ma lo faceva con moderazione. Era più prestante di Alessandro e le regine credevano che fosse lui il re; poi si scusarono, ma Alessandro disse: “non errasti-inquit- mater, nam et hic Alexander est” 3, 12, 17.

Cicerone De amicitia: Infatti ciascuno ama se stesso non per far pagare a se stesso una qualche ricompensa dell’amore suo, ma in quanto ciascuno è caro a se stesso per quello che è. Se non si trasporterà il medesimo tipo di amore nell’amicizia, non si troverà mai un vero amico. Infatti è tale chi è come un altro se stesso (Est enim is, qui est tamquam alter idem, 80)[12].

 

Pesaro 30 luglio 2024 ore 12 giovanni ghiselli

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[1]Liber de excellentibus ducibus exterarum gentium, Alcibiades ,   1, 4.

[2] G. C. Argan, Storia dell’arte italiana, 1, p. 105.

[3] G. Cipriani, op. cit., p. 385.

[4] di Thomas Kyd (del 1585)

[5] Genitivo di forma micenea da eujmmelivh"  (formato da euj e meliva, "lancia di frassino".

[6]Iliade , VI, 448-449, 

[7] nato a Naucrati ma vissuto ad Atene, nel III secolo, autore di Storie  in 28 libri che andavano dal 272 al 219, anno della morte di Cleomene III, il re di Sparta ben visto da questo autore e mal visto da Polibio il quale dichiara di seguire le Memorie  di Arato, stratego della lega Achea, per la narrazione della guerra cleomenica che oppose Sparta ed Etoli ad Achei e Macedoni.

Filarco, ci informa Mazzarino, "ha capito il genio di Cleomene III e la necessità della rivolta sociale, in mezzo al tramonto della gloriosa libertà greca. Michele Rostozev (Die hellenistische Welt , trad. ted., I, 146) ha detto benissimo:"la Grecia era dalla parte di Filarco, e non da quella di Arato e degli Achei difesi da Polibio" (Il Pensiero Storico Classico , II, 1, p. 126). Arato potenziò la lega achea, operò e scrisse in favore degli abbienti, mentre Filarco era favorevole a Cleomene III di Sparta. Questo re riformatore fu sconfitto a Sellasia, nel 222, da Antigono Dosone di Macedonia e dallo stratego acheo Filopemene, e per tale ragione gli scrittori suoi partigiani possono essere accusati di menzogna dallo storico partigiano dei vincitori nei quali si è incarnata la verità.

[8]Polibio biasima la presenza nella storia di situazione che si confanno alla tragedia. Per esempio nelle Troiane  di Euripide Andromaca abbraccia il figlio che a sua volta si rifugia tra le ali della mamma come un uccellino:"neosso;" wJsei; ptevruga" ejspivtnwn ejmav"", v.751

[9] participio perfetto medio passivo di diarrivptw, scaglio. Qui c'è il ricordo delle Baccanti :"truferovn te plovkamon eij" aijqevra rJivptwn"(v. 150) scagliando chioma nell'aria i riccioli molli, un ricordo che ho ravvisato anche in un quadro di Picasso del 1922 Deux femmes courant sur la plage . Ora si trova al museo Picasso di Parigi.

[10] tale denudamento viene attribuita da Eschilo al personaggio di Clitennestra che mostra il seno a Oreste per indurlo a compassione:" ejpivsce", w'j pai', tovnde d& ai[desai, tevknon,-mastovn"(Coefore , v. 896-897), fermati, figlio, abbi rispetto di questo seno, creatura

[11] Ci fu per esempio l'eccidio di Mantinea. Durante la guerra cleomenica fu conquistata dai Macedoni alleati degli Achei, nel 223: secondo Filarco e Plutarco ( Vita  di Arato 45 6-9) la città subì un massacro che Polibio tende a nascondere o minimizzare. In II 54 si limita a dire che Antigono Dosone dopo essere stato nominato capo delle forze alleate della lega ellenica costituitasi contro Sparta e gli Etoli, riuscì a sottomettere prima Tegea poi Mantinea, che nel 229 erano state prese da Cleomene. Filarco viene biasimato per avere "faziosamente" descritto le sofferenze di questa gente.

[12] Cfr. Sallustio, Bellum Catilinae, XX, 4: “Nam idem velle atque idem nolle, ea demum firma amicitia est ”, infatti volere e non volere le medesime cose costituisce precisamente la solida amicizia.

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