mercoledì 31 maggio 2023

Percorso sull'amore I. L’amore matrimoniale . Ettore e Andromaca nell’Iliade

I nuclei dell'Iliade e dell'Odissea risalirebbero, nella prima composizione e trasmissione presunta orale, alla cosiddetta età oscura. Sono i secoli successivi all'invasione dorica che, poco dopo il 1200 a. C. , abbatté la potenza della civiltà micenea. Ne sappiamo poco perché non ne abbiamo documenti scritti ed è dubbio se in questi secoli venisse praticata la scrittura. Restano tavolette della sillabica micenea, la lineare B che era già una lingua greca e venne decifrata nel 1952 da Michael Ventris e John Chadwick,

 

Nell'ottavo secolo visse Omero al quale tradizionalmente si attribuisce la più antica redazione scritta dei poemi epici la cui comunicazione in ogni caso continuò a lungo ad essere orale[1]. Nel corso dei secoli successivi questi Libri o Bibbie che costituiscono "le fondamenta vere e proprie della coscienza"[2] dei Greci prenderanno la forma definitiva che ora leggiamo. La lingua usata da Omero è mista, artificiale e fortemente stilizzata (Kunstsprache ), e quindi presenta forme, talora oltretutto modificate dalla necessità metrica, di vari dialetti: accanto allo  ionico predominante, e più recente, sussistono vocaboli arcado-ciprioti, che sarebbero derivati dal miceneo in quanto riconosciuti nelle tavolette in Lineare B decifrate da Ventris e Chadwick nel 1952, inoltre parole eoliche, e pure alcuni atticismi dovuti alla redazione ateniese pisistratea.

Le donne omeriche più significative, secondo l'ottica del nostro percorso, sono Andromaca, Nausicaa e Penelope.

La moglie di Ettore significa la sposa innamorata, bisognosa del marito e a lui assolutamente devota: nel VI canto dell'Iliade dichiara il suo amore all'eroe troiano, dicendogli che per lei rappresenta tutti gli affetti e pregandolo di non esporsi troppo nella guerra sterminatrice:

vv. 429-432

 testo greco.

 " Ettore, tu per me sei il padre e la veneranda –povtnia- madre/e anche il fratello, tu sei pure il mio sposo fiorente;/allora, ti prego, abbi compassione e rimani qui sulla torre,/non rendere il figlio orfano e vedova la sposa" (vv. 429-432).-povtnia: è il corrrispondente maschile di povsi", "sposo". Dalla radice indoeuropea *potis si forma anche il latino potis, e , "che può", "potente".

-parakoivth" : “sposo” è formato da parav e koivth, letto. Vedremo che questo è il mobile fondamentale nel nostro percorso. Tra Odisseo e Penelope che non si vedevano da venti anni il segno certo, evidente (shvmatj ajrifradeva, Odissea , XXIII, 225) di riconoscimento non è, come con Euriclea quello della cicatrice, ma quello del letto comune agli sposi (eujnh'" hJmetevrh" , del letto nostro, dice Penelope a Odisseo, v. 226)  

Vedremo meglio più avanti l'importanza del letto che in alcune tragedie (p. e. nell'Alcesti e nella Medea di Euripide) costituisce appunto "il mobile più importante"[3] della casa; mentre nell'Agamennone di Eschilo significa il luogo di un agguato:" ma una rete è la compagna di letto (ajll j a[[rku" hJ xuvneuno" ), la complice/dell'assassinio" vv. 1116-1117). In questo caso il letto (eujnhv) diviene una trappola e la moglie (xuvneuno" è appunto formato da suvn ed eujnhv) è quella che la tende. La sposa dunque ha una doppia valenza. In greco  si può dire anche a[loco" : nello stesso canto dell'Iliade  Andromaca è a[loco" poluvdwro" (VI, 394) la sposa dai molti doni, recati da Ettore, il quale la portò via dalla casa di Eezione dopo che ebbe dato "muvria eJvdna" (XXII, 472), infiniti regali di nozze. Ebbene il sostantivo femminile a[loco" è formato da aj-copulativo + levco" , "letto", derivato dalla radice lec-loc- che dà luogo anche a lovco" ,  "imboscata". Quindi si tratta di un termine dal doppio senso. In Andromaca prevale quello dell'accoglienza e della protezione, offerta e richiesta. Altrettanto in Alcesti. Il contrario, ovviamente in Clitennestra. Nella cultura greca tutto è problematico.

 

Torniamo a povtnia. L' idea di potenza contenuta dall'epiteto che accompagna le dee o anche, come qui, le madri, può risalire a una precedente epoca matriarcale ipotizzata da Bachofen[4] in maniera talora fantasiosa. Che la figura femminile sia stata predominante in una fase della storia del resto "non è inconcepibile se si pensa alla corrispondenza tra il gr. gunhv 'donna' e l'ingl. queen  'regina'[5]. Vedremo che Andromaca sarà, in due tragedie di Euripide[6], il tipo della moglie casalinga, silenziosa, sottomessa.ù E’ piuttosto nell’Odissea che si possono trovare residui di matriarcato.

Qualche cosa della non bassa condizione della donna in questo poema si vede già alla fine del primo canto quando, scesa la sera, i proci tornarono a dormire nelle loro case e pure Telemaco andò a letto, accompagnato dalla saggia Euriclea che Laerte aveva comprato molto tempo prima, ancora  giovanissima per venti buoi, pertanto doveva essere stata anche bellissima, e l'aveva onorata come una sposa, però non si era mai unito a lei nel letto, ed evitava l'ira della moglie:"eujnh'/ d j ou[ pot j e[mikto, covlon d& ajleveine gunaikov"" (I, 433). 

Già nell'Iliade il marito Amintore, il padre di Fenice, dovette pagare caro il tradimento inflitto alla sposa che gli mise contro il figlio spingendolo a diventare amante dell'amante del padre il quale poi lo maledì (IX, vv. 450 e sgg.).

 

 

Torniamo al VI canto dell’Iliade e vediamo la posizione del marito buono. Seguono sette esametri (433-439) che il filologo alessandrino Aristarco[7] espungeva come spuri. Quindo abbiamo la risposta di Ettore.

 

A lei allora rispose  Ettore grande, agitatore dell'elmo

:"certo anche a me tutto questo sta a cuore, donna; ma davvero terribilmente

mi vergogno di Troiani e Troiane dal lungo strascico,

se come un vile fuggo lontano dalla guerra;

né il cuore-qumov~ mi esorta, poiché ho imparato a essere generoso

sempre e a combattere con i primi Troiani,

446 cercando di conservare la grande gloria del padre e la mia stessa.

Io infatti so bene questo nell'anima e nel cuore:

448 giorno verrà quando la sacra Ilio verrà annientata

e Priamo e il popolo di Priamo dalla buona lancia.

Ma non tanto dolore mi accora per il futuro dei Troiani

né della stessa Ecuba, né di Priamo sovrano

né dei fratelli, che molti e generosi

cadranno nella polvere buttati giù dai nemici,

quanto per te, quando uno degli Achei dalla corazza di bronzo

ti trascinerà piangente, togliendoti  libero giorno.

mevga" “grande” la grandezza di Ettore non  è solo quella del "marito buono" e degno, già segnalata e contrapponibile alla meschinità dell'"eterno marito" alla Dostoevskij o alla Flaubert che incontreremo più avanti, ma è pure quella dell'eroe epico il cui imperativo è "primeggiare sempre".   Il modello dell'uomo eroico che, avido di gloria e onore, pervade tutta la cultura greca, è la figura di Achille. Il figlio di Tetide, come gli altri protagonisti dell'Iliade , il poema epico che presenta il grado eroico dell'esistenza umana, passa la vita in un continuo cimentarsi e gareggiare. Il motto del combattente omerico è "aije;n ajristeuvein kai; uJpeivrocon e[mmenai a[llwn"( VI, 208), primeggiare sempre ed essere egregio tra gli altri. Lo raccomandano i padri ai figli ( nel sesto canto il licio Ippoloco a Glauco, nell'undicesimo, al v.784, Peleo ad Achille).  Questo imperativo ha un'eco  nell'Antigone  di Sofocle dove Creonte, per elogiare Eteocle a scapito di Polinice, afferma che quello ha compiuto ogni eroismo con la lancia (v.195):"pavnt& ajristeuvsa" doriv".

Nietzsche fa di questo aspetto agonistico con volontà di primeggiare una caratteristica precipua dei Greci antichi: "Poiché il volere vincere e primeggiare è un tratto di natura invincibile, più antico e originario di ogni gioia e stima di uguaglianza. Lo stato greco aveva sanzionato fra gli uguali la gara ginnastica e musica, aveva cioé delimitato un'arena dove quell'impulso poteva scaricarsi senza mettere in pericolo l'ordinamento politico. Con il decadere finale della gara ginnastica e musica, lo stato greco cadde nell'inquietudine e dissoluzione interna" [8]

Alla nobiltà dell'azione del resto doveva unirsi quella della mente. Peleo manda Fenice a Troia con il figliolo perché gli insegni:"muvqwn te rJhth'r j e[menai prhkth'rav te e[rgwn"[9], a essere dicitore di parole ed esecutore di opere

- ejmoivmevlei : “ sta a cuore, mi importa”  è il motto dell'uomo morale.

Don Milani in L'obbedienza non è più una virtù  scrive:"Su una parete della nostra scuola c'è scritto grande “I care”  E'  il motto intraducibile dei giovani americani migliori “Me ne importa, mi sta a cuore” . e’ il  contrario esatto del motto fascista-Me ne frego-" (p. 34).

Nella Lettera a una professoressa leggiamo: “Il sapere serve solo per darlo. Quindi: “Dicesi maestro chi non ha nessun interesse culturale quando è solo” (p. 110)

-aijdevomai:  mi vergogno. Questo verbo e l'intera espressione di Ettore quella che Dodds definisce Culture of shame, "Civiltà di vergogna" . In essa "il bene supremo  non sta nel godimento di una coscienza tranquilla, ma nel possesso della timhv, la pubblica stima...La più potente forza morale nota all'uomo omerico non è il timor di Dio, è il rispetto dell'opinione pubblica, aijdwv": aijdevomai Trw'a"[10], dice Ettore nel momento risolutivo del suo destino, e va alla morte con gli occhi aperti"[11].-

Il kakov", come viene spiegato immediatamente dopo è il vile che fugge davanti al nemico, l'ingeneroso che non rischia la vita per la salvezza della patria.

-novvsfin: preposizione con il genitivo, regge polevmoio. Si noti la desinenza -oio del genitivo della seconda declinazione. Deriva da *o-syo  e si alterna con -ou (contratto da -oo e derivato da *o-so) secondo la necessità metrica

qumov" : è in Omero "ciò che provoca le emozioni...In molti punti quando si parla della morte è detto che il qumov" abbandona l'uomo...Sappiamo che quest'organo determina anche i movimenti del corpo, ed è quindi naturale dire che esso, nel momento della morte, abbandona le ossa e le membra coi loro muscoli...La gioia ha generalmente sede nel qumov"...Inoltre è generalmente il qumov" che fa agire l'uomo...Se qumov" è in genere la sede della gioia, del piacere, dell'amore, della compassione, dell'ira e così via, dunque di tutti i moti dell'animo, tuttavia può trovar sede talvolta nel qumov" anche la conoscenza...Quando si dice che qualcuno sente qualcosa, kata; qumovn, qumov" è in questo caso un organo e noi possiamo tradurre la parola con "anima", ma dobbiamo tenere presente che si tratta dell'anima soggetta alle "emozioni". Però anche qumov" verrà in seguito a determinare una funzione (e allora potremo tradurre la parola con "volontà" o "carattere") e anche la funzione singola: dunque anche quest'espressione ha un significato più esteso di quanto non abbiano le nostre parole "anima" e "spirito". Nel modo più chiaro appare ciò nell'Odissea  (IX, 302) dove Ulisse dice: e{tero" dev me qumo;" e[ruken:" un altro qumov" mi trattenne", e qui dunque qumov" si riferisce a un particolare moto dell'animo"[12].

Con qumov" sono composte le parole che designano due delle tre parti dell'anima nella Repubblica di Platone: qumoeidhv" è l'elemento irascibile che deve essere alleato con il logistikovn, la componente razionale, nel presiedere all' ejpiqumhtikovn, l' elemento appetitivo, la parte maggiore e la più insaziabile di ricchezze (441e).-

-mavqon: “ho imparato” aoristo di manqavnw senza aumento, il segno del passato.

 " L'aumento in Omero è facoltativo, e così tutta la poesia posteriore che più o meno consapevolmente si rifà o può rifarsi a Omero...Si sono tentate a più riprese statistiche sull'uso omerico dell'aumento, per scoprirne le leggi: ma spesso l'unica legge, almeno a noi apparente, è la comodità o necessità metrica. Si è osservato tuttavia che nell'Odissea  le forme con aumento sono più numerose che nell'Iliade "[13].

-e[mmenai: infinito eolico di eijmiv.-prwvtoisi: “con i primi” dativo lungo ionico. Esprime l'esigenza eroica del primeggiare di cui si diceva sopra.-Trwvessi: dativo plurale con desinenza eolica.

446-ajrnuvmeno" : participio di a[rnumai. Lo stesso verbo nella medesima forma si trova nel Proemio dell'Odissea a proposito del protagonista il quale " soffrì molti dolori sul mare nell'animo suo,/cercando di salvare la sua vita e il ritorno dei compagni."(vv. 4-5).

Più concretamente "l'uomo" del secondo poema antepone la vita a tutto il resto.

 Non per niente Nietzsche ha trovato nei versi omerici il ribaltamento della sapienza silenica:" Così gli dèi giustificano la vita umana vivendola essi stessi-la sola teodicea soddisfacente! L'esistenza sotto il chiaro sole di dèi simili viene sentita come ciò che è in sé desiderabile, e il vero dolore degli uomini omerici si riferisce al dipartirsi da essa, soprattutto al dipartirsene presto: sicché di loro si potrebbe dire, invertendo la saggezza silenica, " la cosa peggiore di tutte è per essi morire presto, la cosa in secondo luogo peggiore è di morire comunque un giorno". Se una volta risuona il lamento, ciò avviene per Achille dalla breve vita, per l'avvicendarsi e il mutare della stirpe umana come le foglie, per il tramonto dell'età degli eroi. Non è indegno neanche del più grande eroe bramare di vivere ancora, fosse pure come un lavoratore a giornata[14]. Nello stadio apollineo la "volontà" desidera quest'esistenza così impetuosamente, l'uomo omerico si sente con essa così unificato, che perfino il lamento si trasforma in un inno in sua lode"[15].

447-kata; frevna: “nell’anima”  frhvn è il diaframma , la membrana che si avvolge attorno al cuore (Iliade , XVI, 481) e regge il fegato (Odissea , IX, 301), o, secondo Aristotele (PA. De partibus animalium 672b 11)  separa cuore e polmoni. Dovrebbe essere dunque la sede dello qumov" di cui si è detto sopra.-

V, 448 - giorno verrà giorno verrà quando la sacra Ilio verrà annientata

  Polibio nel XXXVIII libro delle sue Storie ricorda che Scipione Emiliano assistendo alla distruzione di Cartagine[16] sia scoppiato in lacrime e, pensando come la fortuna di ogni città cambi invariabilmente, abbia citato questo verso dell’Iliade  e il seguente(VI, 448-449), quindi all'amico storiografo che lo interrogava abbia risposto facendo il nome della sua patria per la quale temeva quando rifletteva sul rapido destino delle cose umane.-

451 a[nakto": genitivo di a[nax che un sovrano,  un basileuv" potenziato, sia nei poemi omerici sia nelle tavolette micenee della Lineare B.

Per fare un esempio del rapporto tra il greco miceneo e quello di Omero, nei poemi a[nax ( Iliade , I, 7)  si alterna con basileuv" (Iliade , I, 9, in entrambi i casi è Agamennone)  quasi indifferentemente, a parte che il primo termine può essere attribuito alla divinità; nella Lineare B invece il corrispondente del secondo termine, qasireu(s) , indica un capo di minore importanza:"capi ,in senso lato e modesto, e forse nella fattispecie semplici capi  officina"[17].

Sul rapporto tra i significati di basileuv" e a[nax  riferisco anche la posizione di E. Benveniste :" in Omero, un personaggio può essere contemporaneamente basileùs  e wànaks : un titolo non contraddice l'altro, come si vede nell'Odissea (XX 194[18]). Inoltre, solo wànaks  serve da qualificazione divina: l'invocazione a Zeus Dodoneo, uno dei testi più solenni dell'Iliade , comincia così:"Zeu' a[na..." (XVI 233).

Un dio non è mai chiamato basileùs . Basileùs  è invece largamente diffuso nella società degli uomini; non solo Agamennone, ma una folla di personaggi minori ricevono questo titolo. Vi sono anche dei gradi, una specie di gerarchia, tra i basileis  , a giudicare dal comparativo basileùteros , e dal superlativo basileùtatos , mentre wànaks  non comporta in Omero nessuna variazione paragonabile a questa. Tranne il mic. wanaktero- , il cui senso resta incerto, il titolo di wànaks  denota una qualità assoluta...Il fatto è che solo wànaks  designa la realtà del potere regale; basileùs  è ormai solo un titolo tradizionale che detiene il capo del génos , ma che non corrisponde a una sovranità territoriale e che molte persone possono possedere nello stesso luogo (Od.  I 394). Una sola città, quella dei Feaci, non contava meno di tredici basilh'e" (VIII 390). Personaggio rispettato, il basileùs  godeva di certe prerogative all'interno dell'assemblea, ma l'esercizio del potere spetta al wànaks  che lo esercita solo, ed è quanto indica anche il verbo wanàsso -. Ne danno prova anche espressioni che si sono conservate come nomi propri: Iphi-anassa  'che regna con potenza', nome della figlia di Agamennone. Il femminile (w)anassa  è l'epiteto di dee come Demetra, Atena. Così quando Ulisse vede per la prima volta Nausicaa, la chiama così a[nassa-[19], credendola una dea"[20]. L'autore parte dalla considerazione che "La situazione rispettiva del basileùs  e del wànaks  nell'epopea omerica corrisponde bene a quella che caratterizza questi due personaggi nella società micenea".-453 konivh/si=ionico epico per konivai" .

La polvere -koniva- nella letteratura antica è segno di aridità, sterilità e morte.

 

Negatività della polvere

Nell'Agamennone  di Eschilo  la  polvere è definita "assetata sorella del fango" diyiva kavsi~ phlou`” (vv. 494-495) .

Platone attribuisce alla polvere e all'aridità significati negativi: nel mito di Er della Repubblica  le anime che vengono dal viaggio millenario sottoterra sono "mesta;" aujcmou' te kai; kovnew"" (614d), piene di squallida aridità e di polvere.

 Nel carme 66 di Catullo, i versi di biasimo dell'adulterio (79-88) aggiunti alla Chioma di Berenice di Callimaco associano la polvere all'impurità delle spose infedeli:"sed quae se impuro dedit adulterio,/ illius a! mala dona levis bibat irrita pulvis ", ma se qualcuna si concede all'impuro adulterio, ah la polvere leggera beva inutilmente i doni cattivi di quella (84-85).

Pure nell'Oedipus  di Seneca il morbo del cielo (Fecimus coelum nocens , abbiamo reso funesto il cielo, si autoaccusa Edipo, v.36) si riflette nell'aridità della terra:"Deseruit amnes humor atque herbas color,/aretque Dirce; tenuis Ismenos fluit,/et tingit inopi nuda vix unda vada "(41-44), l'acqua ha abbandonato i fiumi e il colore le erbe, e Dirce è secca; come un rigagnolo scorre l'Ismeno e con l'onda senz'acqua bagna a stento il letto vuoto.

 Nella Waste land  di T. S.  Eliot  si legge:"I will show you fear in a handful of dust " (v. 30), in un pugno di polvere vi mostrerò la paura.

E più avanti:"Qui non c'è acqua ma soltanto roccia/Roccia e non acqua e la strada di sabbia/La strada che serpeggia lassù fra le montagne/Che sono montagne di roccia senz'acqua (vv. 331-334)...Vi fosse almeno acqua fra la roccia(v. 338)...Non c'è neppure silenzio fra i monti/Ma secco sterile tuono senza pioggia/Non c'è neppur solitudine fra i monti(vv. 341-343)...Ma non c'è acqua(v. 358)".

D'Annunzio ambienta il dramma La città morta  (del 1898) "Nell'Argolide "sitibonda" presso le rovine di Micene "ricca d'oro" dove Bianca Maria "tenendo tra le mani un libro aperto-l'Antigone di Sofocle- legge con voce lenta e grave" (I, 1).

 

Ettore dunque è immerso nella civiltà di vergogna e fa gran conto della sua reputazione di eroe che del resto è pure la sua identità: egli, come Achille, come Aiace, cerca l'onore (timhv ) la cui perdita per il campione omerico è la tragedia massima. Il compenso che il prode si aspetta in cambio dell' ajrethv dimostrata obbedendo a obblighi impegnativi fino al sacrificio, è un riconoscimento in termini di onore: la timhv negata è una tragedia per il valoroso che si è distinto in battaglia: Achille si rifiuta di combattere constando che l'uomo codardo e il valoroso sono tenuti nello stesso onore:" ejn de; ijh'/ timh'/ hjme;n kako;" hjde; kai; ejsqlov""[21].

Allora sua madre implora Zeus di onorargli il figlio:"tivmhsovn moi uiJovn"[22], onora mio figlio-prega-, poiché è di vita più breve degli altri, e il signore di genti Agamennone lo disonorò ("hjtivmhsen"[23]) : gli ha preso il suo dono e lo tiene. Achille per reazione allo scarso onore resogli da Agamennone arriva a causare, sia pur involontariamente, la morte dell'amico Patroclo; Aiace addirittura a uccidersi  "per disdegnoso gusto". Ettore in effetti conserverà l'onore acquistato versando sangue per la patria fino alla chiusa dei Sepolcri di Foscolo e oltre.

Generoso dunque come difensore troiano è stato il figlio di Priamo e pure buon marito che  rispetta e ama la sua sposa Andromaca. Meno rispettoso della moglie sua è Agamennone il quale, sempre nell' Iliade , afferma di preferire a Clitennestra Criseide in quanto la schiava-amante non le era inferiore "per il corpo né per la figura né per la mente né per le opere" (I, 115).

Nell'Agamennone  di Eschilo anzi pare  che questo  amore ancillare troppo elogiato abbia contribuito a scatenare l’odio della moglie legittima:"kei'tai gunaiko;" th'sde lumanthvrio",-Crushivdwn meivligma tw'n uJp& jIlivw/"(vv. 1438-1439), giace a terra il distruttore di questa donna,/la delizia delle Criseidi sotto Ilio , grida Clitennestra dopo l'assassinio dello sposo.

Bologna 31 maggio 2023 ore 18, 15

giovanni ghiselli

 

 

p. s.

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[1] Per la genesi e la storia dei poemi omerici vedi la parte introduttiva (pp. 9-47) della mia antologia Ulisse, il figlio, le donne, i viaggi, gli amori , Loffredo, Napoli, 200.

[2] Hegel, Estetica , p. 1381.

[3] J. Kott, Mangiare Dio , trad. it. Edizioni Il Formichiere, Milano, 1977, p. 120.

[4] J. J. Bachofen, Il potere femminile , trad. it., Il Saggiatore, Milano, 1977.

J. J. Bachofen, Le madri e la virilità olimpica , trad. it. Edizioni Due C. Roma, 1975.

 

[5] E. Benveniste, Il vocabolario delle istituzioni indoeuropee , trad. it. Einaudi, Torino, 1976., p. 15.

[6] Andromaca e Troiane .

[7] Di Samotracia  (215-144 ca.)   convinto dell'origine ateniese di Omero, tendeva ad atticizzare il testo e si oppose ai separatisti attribuendo l'Iliade  alla gioventù del poeta e l'Odissea  alla sua vecchiaia.  Aristarco corredò la sua edizione critica di segni marginali che completano quelli già usati dai curatori precedenti. Tra questi segni "diacritici", che si trovano in un codice della biblioteca Marciana di Venezia, "un manoscritto pergamenaceo del decimo secolo, e dei più importanti della tradizione medievale di Omero" (C. Del Grande, Storia della Letteratura Greca , p. 45,) segnalo, per curiosità e anche perché, data la loro evidenza, si possono ricordare, l'ojbelov", lo spiedo, ossia un trattino, che "infilzava" il verso spurio; l' ajsterivsko" ,  la stelluccia, che segnalava un verso ripetuto; e l'ojbelov" met j ajsterivskou , lo spiedo con stelluccia davanti a ripetizione abusiva. Come gli altri filologi alessandrini Aristarco  era fautore dell'analogia, la quale vuole individuare norme e regole nell'uso della lingua; inoltre asseriva che bisognava spiegare Omero con Omero ( "   {Omhron ejx JOmhvrou safhnivzein", cfr. Schol. B a Z 201).

 

[8] Umano, troppo umano II, Parte seconda, Il viandante e la sua ombra, 226.

[9]Iliade , IX, 443.

[10]  Anche in Iliade, XXII, 105.

[11] E. Dodds, I greci e l'irrazionale , p. 30.

[12]B. Snell, La cultura greca e le origini del pensiero europeo , p. 30 e sgg.

[13]Cantarella-Carpat, op. cit., p. 185.

[14] Cfr. Odissea , XI, vv. 488-491.

[15] F. Nietzsche, La nascita della tragedia, capitolo 3.

[16] Avvenuta nel  146 a. C. 

[17]D. Musti, Storia greca , p. 85.

[18] e[oike devma" basilh'ïï a[nakti , sembra all'aspetto un sovrano, esclama il bovaro Filezio vedendo Ulisse pur senza riconoscerlo. 

[19]Odissea  VI, 149. Leggeremo questo canto per intero.

[20]E. Benveniste, Il vocabolario delle istituzioni indoeuropee , pp. 303 e 304.

[21]Iliade , IX, 319

[22]Iliade , I, 505

[23]Iliade  , I, 507

La morte di Alcibiade, seduttore e uomo straordinario

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Alcibiade (450 circa- 404)  sedusse donne, uomini e l’intero popolo ateniese per alcuni anni. Suscitò ammirazione e pure paura:  aveva passioni più grandi di quanto consentissero le sue ricchezze, sia per l'allevamento dei cavalli, sia per le altre spese. I più temevano la grandezza dell'eccentricità, dell’anomalia della sua persona - Fobhqevnt~ aujtou` oiJ polloi; to; mevgeqo~ th`~ te kata; to; eJautou` sw`ma paranomiva~ - ci racconta Tucidide[1].
D'Annunzio ricorda questa descrizione di antimediocrità quando in Maia  gli pone la domanda:"E qual gioia/ti parve più fiera?", quindi gli attribuisce la risposta:"La gioia/d'abbattere il limite alzato".
 
Vediamo la morte di questo uomo straordinario
Alcibiade dopo la battaglia di Nozio (406) persa dal suo timoniere Antioco, venne esautorato dagli Ateniesi e andò nell’Ellesponto; dopo Egospotami (404) si ritirò in Frigia. I Trenta tiranni saliti lo temevano ancora e ne chiesero la testa agli Spartani  che avevano vinto la guerra contro la democrazia e favorito il loro insediamento.
Il navarco Lisandro mandò un messaggio a Farnabazo satrapo della Frigia. Questo incaricò dell’uccisione alcuni parenti suoi. Alcibiade ebbe dei sogni premonitori, ma, lo abbiamo imparato da Tacito e ancor più dall'esperienza personale, " quae fato manent , quamvis significata, non vitantur "[2], ciò che spetta al destino, sebbene rivelato non si evita.
Le versioni della sua morte sono due: in ogni caso egli morì con una donna e per fuggire alle fiamme che possono evocare  la sua vita tumultuosa. Chi fosse questa donna, non ha importanza. Fu certo l'ultima di una serie molto lunga comprendente etere, schiave prigioniere di guerra, ragazze di buona famiglia e regine, come la moglie del re spartano Agide, sedotte tutte dalla "genialità della sensualità", dalla "potenza demoniaca della sua sensualità"[3] si può dire di lui come fa Kierkegaard di Don Giovanni, l'erotico che mangia l'esca senza farsi prendere all'amo.
Questa volta però Alcibiade si lasciò prendere; forse perché egli tendeva non solo al piacere  ma anche al potere, e se il primo scopo,con qualche sforzo, poteva ancora raggiungerlo, il secondo oramai gli era sfuggito per sempre.
 
La due brame di potere e di donne erano associate in lui.
 Si vede dall'episodio della moglie del re spartanoAgide, Timea che Alcibiade sedusse mentre il marito era assente per una spedizione militare. Ella rimase in cinta e non lo negò (" Timaivan ga;r th;n  [Agido" gunai'ka tou' basilevw" strateuomevnou kai; ajpodhmou'nto" ou{tw dievfqeiren, wJvste kai; kuvein ejx jAlkibiavdou kai; mh; ajrnei'sqai"), anzi in privato il seduttore chiamava "Alcibiade" il figlio il cui nome ufficiale era Leotichide. Alcibiade soleva dire che lo aveva fatto, non per offendere Agide nè perché vinto dal piacere, ma perché i suoi discendenti regnassero su Sparta:"o{pw" Lakedaimonivwn basileuvswsin oiJ ejx aujtou' gegonovte""(Plutarco, Vita di Alcibiade, 23) Si vede dunque da questo episodio che la "passion predominante" del nostro personaggio era comandare e che il sedurre era strumentale al fine di dominare. Insomma "luxuriosus, dissolutus, libidinosus "(Cornelio Nepote, Liber de excellentibus ducibus exterarum gentium , 1) ma  prima di tutto ambizioso. Di lui in effetti Tucidide scrive, tra l'altro:"kai; mavlista strathgh'saiv te ejpiqumw'n" , VI, 15, e bramando al di sopra di tutto comandare. Il che non toglie che fosse un seduttore di razza.
  
Alcibiade aveva sempre cercato il potere e la bellezza la quale è associata all’arte e al sesso. Arte del potere in questo casio.
Plutarco dunque racconta che, secondo alcuni, i sicari diedero fuoco alla casa dove egli abitava con l'etera Timandra. Alcibiade si lanciò fuori e gli assassini, non osando avvicinarsi, lo colpirono vilmente da lontano, finché la vittima designata cadde.
 Timandra, nei limiti delle sue possibilità, gli diede onorevole sepoltura. In questa versione c'è una donna, una cortigiana che si occupa delle esequie del seduttore.
Nell'altro racconto scritto dal biografo di Cheronea sulla fine di Alcibiade, la seduzione di una ragazza è la causa della morte di questo don Giovanni antico. "Sua passion predominante", si ricorderà il libretto di Da Ponte, "è la giovin principiante" (Don Giovanni, I, 5.9)
 
 Un collegamento con il Don Giovanni , e con Le nozze di Figaro , ugualmente di Mozart-Da Ponte, viene fatto anche per Andrea Sperelli:"Egli aveva in sé qualche cosa di Don Giovanni e di Cherubino: sapeva essere l'uomo di una notte erculea e l'amante timido, candido, quasi verginale.( Il piacere , p. 19)
 
Assurdo è il matrimonio per ogni uomo che ama molto le donne; ancora peggiore e meno che assurdo, ridicolo, è il fidanzamento: amanti tante, moglie nessuna, promessa sposa tanto meno è il loro motto.  
Sentiamo Kierkegaard: “Di tutte le cose ridicole è dunque un fidanzamento la più ridicola. Il matrimonio può avere un senso che comunque al seduttore risulta fastidioso. Il fidanzamento non è cane né pesce e sta all’amore come l’uniforme del bidello sta alla cattedra professorale” ( Diario del seduttore, 3 agosto)
Ebbene il figlio di Clinia avrebbe sedotto una ragazza di buona famiglia e i fratelli di lei, non sopportando l'offesa, diedero fuoco alla casa e lo uccisero mentre ne saltava fuori attraverso il fuoco ("dia; tou' puro;" ejxallovmenon", Plutarco, Vita di Alcibiade ,  39, 9).
Queste fiamme mi danno l'occasione per un'ultima citazione di Baudelaire:"il carattere della bellezza del dandy consiste soprattutto in quell'aria fredda che gli viene dalla ferma risoluzione di non commuoversi; si direbbe un fuoco latente che si lascia indovinare, che potrebbe ma non vuole divampare"[4].
Alla fine della Vita di Alcibiade però divampa.
Il  don Giovanni del melodramma, nell’esodo dell'opera, scompare nel fuoco:"Da quel tremore insolito.../Sento...assalir...gli spiriti.../Donde escono que' vortici/ di foco pien d'orror!...Cresce il fuoco, compariscono diverse furie, s'impossessano di Don Giovanni, e seco lui sprofondano"[5]. Quella exacerbatio cerebri  di cui parla S. Kierkegaard nel Diario del seduttore [6], o piuttosto quel fuoco interno, prima di spegnersi, fuoriesce, divampa e uccide l'uomo.
Cornelio Nepote ci informa che allora egli aveva circa quarant'anni ("Alcibiades circiter quadraginta natus diem obiit supremum "[7]), ma nel 404 doveva averne qualcuno di più. Stava comunque declinando quella sua giovinezza e follia che sembrava essere oltre i limiti naturali"(hJ ejmh; neovth" kai; a[noia para; fuvsin dokou'sa ei\nai"[8] ) vantata da lui stesso di fronte al popolo prima della spedizione in Sicilia. Alcibiade aveva fatto "della giovinezza il proprio cavallo di battaglia"[9].  Viene da pensare che un personaggio come questo, il giovane  leone[10] allevato in casa dell'altro leone[11] che aveva fatto di Atene la scuola dell'Ellade[12], non potesse sopravvivere né alla potenza di Atene né alla propria giovinezza.
 
Lord Henry avrebbe potuto rivolgere anche a lui, nei momenti d'oro ricordati da Tucidide, le parole dette a Dorian Gray nel romanzo di Oscar Wilde:"Sì, gli dèi furono benigni con voi, Gray. Ma gli dèi, dopo breve tempo rivogliono i loro doni. Avete soltanto pochi anni da vivere veramente. Quando la vostra gioventù se ne sarà andata, avrete perduto anche la vostra bellezza, e vi renderete conto d'un tratto che non ci sono più vittorie per voi, o che dovete accontentarvi di quelle banali vittorie che la memoria del vostro passato renderà più amare delle sconfitte. Ogni mese che passa vi avvicina a qualche cosa di orrendo. Il tempo è geloso di voi, e si accanisce sui vostri colori di giglio e di rosa. Le vostre tinte appassiranno, le guance si faranno cave, si appannerà il vostro sguardo. Soffrirete tremendamente...Godete della vostra giovinezza finché la possedete! Non sprecate il tesoro dei vostri giorni ascoltando la gente noiosa, cercando di consolare i predestinati all'insuccesso, donando la vostra vita agli incolti, ai mediocri, ai volgari...Vivete! Vivete la meravigliosa vita che è in voi! Nulla deve andar perduto per voi. Cercate continuamente nuove sensazioni. Non abbiate paura di nulla...Un nuovo edonismo! Di questo ha bisogno il nostro secolo. Potreste esserne il simbolo visibile. Nulla è vietato alla vostra persona. Il mondo è vostro, per una stagione...Perché la vostra gioventù durerà un tempo così breve-così breve! Gli umili fiori di prato avvizziscono, ma rifioriranno ancora. Quest'altro giugno l'acacia sarà d'oro, come è ora...Ma noi non torniamo mai alla nostra giovinezza. L'onda di gioia che pulsa in noi a vent'anni, si fa tarda. Le membra non ci ubbidiscono più, i sensi si consumano. Diventiamo ripugnanti fantocci, perseguitati dal ricordo delle passioni di cui abbiamo avuto timore e delle squisite tentazioni alle quali non avemmo il coraggio di cedere. Gioventù! Gioventù! Non c'è nulla al mondo che valga la giovinezza!"[13].
 Probabilmente fu per non sopravvivere agli ultimi bagliori della sua giovinezza, per non arrivare all'età del Casanova di Arthur Schnitzler il quale "a cinquantatre anni, quando "il fulgore interiore ed esteriore andava lentamente spegnendosi" era "spinto a vagare per il mondo non più dal giovanile piacere dell'avventura, ma dall'inquietudine dell'avanzante vecchiaia"[14] che Alcibiade volle morire  in quell'ultimo fuoco, lanciato per l'ultima volta dall' Eros fulminatore[15] che si era fatto incidere sullo scudo invece degli stemmi gentilizi.

 
Bologna 31 maggio 2023 ore 10, 58 
giovanni ghiselli


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[1]VI, 15, 4.
[2]Historiae , I, 18.
[3]S. Kierkegaard, Enten-Eller , Tomo Primo, , trad. it. Adelphi, Milano, 1976, p. 172.
[4]Baudelaire, op. cit., p. 1152.
[5]Don Giovanni  di Mozart-Da Ponte, II, 19.
[6] Trad. it., Rizzoli, Milano, 1974, p. 22.
[7]Alcibiades , 10, 6.
[8]Tucidide, VI, 17.
[9] J. de Romilly, Alcibiade , p. 23.
[10]Cfr. Aristofane, Rane , 1423.
[11]Pericle, di cui Plutarco (Vita di Pericle , 3) racconta che la madre Agariste, prossima a partorirlo, sognò di generare un leone.
[12]Tucidide, II, 41.
[13]O. Wilde, Il ritratto di Dorian Gray , in Wilde Opere , trad. it. Mondadori, Milano, 1982, p. 32.
[14]Arthur Schnitzer, Il ritorno di Casanova , trad. it., Bompiani, Milano, 1982, pp. 1-2.
[15] Plutarco,  Vita di Alcibiade , 16.

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