domenica 21 maggio 2023

Filosofi lungo l’Oglio. La mia lectio: Osare l’inattuale. V. La parte emotiva, quando prevale, spinge al rischio di osare la propria diversità

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La parte emotiva, quando prevale, spinge al rischio di osare la propria diversità
Teognide, Euripide, Sofocle, Tucidide,  Ovidio, Tacito, Pascoli, Nietzsche, Kafka
 
Osare l’inattuale, l’illecito, l’inaudito è talvolta reso inevitabile dalla passione, la parte emotiva -qumov~-  che prevale sui propositi razionali-bouleuvmata- come afferma la Medea di Euripide
 
E capisco- kai; manqavnw- quale abominio sto per compiere,
ma più forte dei miei proponimenti è la passione
qumo;~ de; kreivsswn tw`n ejmw`n bouleumavtwn-
 che è causa dei mali più grandi per i mortali (vv. 1078-1080).
La consapevolezza  kai; manqavnw- dunque non basta a prevalere sullo qumov~.
 
 Anche la Medea di Ovidio alla fine della sua Epistula Iasoni  dichiara:"Quo feret ira sequar. Facti fortasse pigebit " (Heroides , XII, 211), andrò dove mi porterà la collera. Forse mi pentirò del misfatto.
 Teognide stabiliva una graduatoria tra qumov" e novo" affermando che quello la cui mente non è più forte della passione (w'/tini mh; qumou' krevsswn novo") , si trova sempre nelle disgrazie e in gravi difficoltà (Silloge, vv. 631-632).
 
 Messalina
 Messalina, l'imperatrice moglie di Claudio, oramai volta alla noia per la facilità degli adultèri, si lasciava andare a dissolutezze inaudite  secondo Tacito :"iam facilitate adulteriorum in fastidium versa ad incognitas libidines profluebat "  
L'incognita ed estrema libido di Messalina fu quella di osare prendere come marito  l'amante  Silio, e non a Claudio morto. L'uomo la incalzava (urgebat) con l'argomento che "flagitiis manifestis subsidium ab audacia petendum ", negli scandali scoppiati bisogna chiedere soccorso all'audacia (Annales , XI, 26) .
 
L'osare calcolato.
Non sempre l'osare è inconciliabile con il calcolare.
Sentiamo Tucidide sul rapporto osare tolma`n-calcolare ejklogivzesqai-
 
Tucidide II, 40, 3.
“Difatti ci distinguiamo diaferovntwς e[comen anche in questo: che siamo gli stessi a osare tolma`n e a fare calcoli ejklogivzesqai molto precisi sulle azioni che vogliamo intraprendere;  riguardo a questo argomento  l’ignoranza negli altri provoca temerarietà, il calcolo esitazione. Ma fortissimi d’animo a buon diritto si devono giudicare quelli che conoscono assai lucidamente gli aspetti terribili e quelli piacevoli, né per questo  si tirano indietro dai pericoli”.
 Parole che fanno parte del logos epitafios attribuito a Pericle.
 
L’ogoglio della propria diversità.
Il massimo stratego ateniese manifesta l’orgoglio dell’essere diversi.
L’affermazione della propria diversità è un osare che comporta spesso dei rischi. Molti non osano manifestare l’originalità di cui sono dotati.
  
Similmente Antigone cui Creonte domanda :"E tu non ti vergogni se la pensi in maniera diversa da questi?-tw`nde cwri;~ eij fronei`";- E la ragazza risponde: “No perché non è per niente vergognoso onorare quelli nati dalle stesse viscere”( Sofocle, Antigone, vv. 510-511).
 
“Ma ecco, non bisogna essere come gli altri”. suggerisce Alioscia Karamazov allo studente Kolia. “Continuate, dunque, a essere diverso dagli altri;  anche se doveste rimanere solo, continuate lo stesso”. (F. Dostoevskij, I fratelli Karamazov,  Parte quarta, libro X, capitolo 6
Nel capitolo 5 Kolia aveva detto: “le lingue classiche come si insegnano da noi sono pura follia. (…) Le lingue classiche, se volete che vi dica tutta la mia opinione, non sono che una misura di polizia, ecco l’unica ragione del loro insegnamento. Esse sono state introdotte nell’insegnamento per rintuzzare e spegnere ogni potere dell’intelligenza”.
 
Questa è un’eresia per un filologo. Forse per il fatto che sono un letterato piuttosto che un filologo, concordo sul fatto  che l’insegnamento del greco e del latino non deve fermarsi ai tecnicismi delle lingue. Grammatica, sintassi e metrica sono necessarie ma non ci si deve fermare lì.  L’ho sempre detto e messo in pratica contro la maggioranza dei colleghi per diversi anni.
Del resto non me lo sono inventato di sana pianta.
Lo scrisse anche Giovanni Pascoli nel 1893
"Pascoli, invitato a stendere una relazione sulle cause dello scarso rendimento degli alunni agli esami di licenza liceale, così si esprimeva:"Si legge poco, e poco genialmente, soffocando la sentenza dello scrittore sotto la grammatica, la metrica, la linguistica…Anche nei licei, in qualche liceo, per lo meno, la grammatica si stende come un'ombra sui fiori immortali del pensiero antico e li aduggia. Il giovane esce, come può, dal liceo e getta i libri: Virgilio, Orazio, Livio, Tacito! de' quali ogni linea, si può dire, nascondeva un laccio grammaticale e costò uno sforzo e provocò uno sbadiglio"[1].
Inoltre: "I più volenterosi si svogliano, si annoiano, s'intorpidiscono…;…e i grandi scrittori non hanno ancora mostrato al giovane stanco pur un lampo del loro divino sorriso"[2].
  
"Della nostra esistenza dobbiamo rispondere a noi stessi, di conseguenza vogliamo agire come i reali timonieri di essa e non permettere che assomigli ad una casualità priva di pensiero. Essa richiede una certa temerità e un certo azzardo (…) E' così provinciale obbligarsi a delle opinioni che, qualche centinaio di metri più in là già cessano di obbligare. Oriente e Occidente sono tratti di gesso che qualcuno disegna davanti ai nostri occhi per beffarsi della nostra pavidità (  …) Al mondo vi è un'unica via che nessuno oltre a te può fare: dove porta? Non domandare, seguila"[3].
 
Il paraklausivquron inverso.
 Nel Processo  di Kafka ce n'è un paraklausivquron, il lamento dell’innamorato  davanti alla porta chiusa dell’amata che non vuole aprirla, tanto particolare da essere inverso: è infatti un'attesa ansiosa e querula davanti a una porta aperta proprio per colui che attende senza avere il coraggio di entrare. E' la parabola che il cappellano delle carceri  racconta a K. nel Duomo :"Davanti alla legge c'è un guardiano. A lui viene un uomo di campagna e chiede di entrare nella legge. Ma il guardiano dice che ora non gli può concedere di entrare. L'uomo riflette e chiede se almeno potrà entrare più tardi. "Può darsi" risponde il guardiano, "ma per ora no". Siccome la porta che conduce alla legge è aperta come sempre e il custode si fa da parte, l'uomo si china per dare un'occhiata, dalla porta, nell'interno. Quando se ne accorge, il guardiano si mette a ridere:"Se ne hai tanta voglia, prova pure a entrare nonostante la mia proibizione. Bada, però: io sono potente, e sono soltanto l'infimo dei guardiani. Davanti a ogni sala sta un guardiano, uno più potente dell'altro. Già la vista del terzo non riesco a sopportarla nemmeno io". L'uomo di campagna non aspettava tali difficoltà; la legge, pensa, dovrebbe pur essere accessibile a tutti e sempre, ma a guardar bene il guardiano avvolto nel cappotto di pelliccia, il suo lungo naso a punta, la lunga barba tartara, nera e rada, decide di attendere piuttosto finché non abbia ottenuto il permesso di entrare. Il guardiano gli dà uno sgabello e lo fa sedere di fianco alla porta. Là rimane seduto per giorni e anni. Fa numerosi tentativi per passare e stanca il guardiano con le sue richieste. Il guardiano istituisce più volte brevi interrogatori, gli chiede notizie della sua patria e di molte altre cose, ma sono domande prive di interesse come le fanno i gran signori, e alla fine gli ripete sempre che non lo può far entrare. L'uomo, che per il viaggio si è provveduto di molte cose, dà fondo a tutto per quanto prezioso sia, tentando di corrompere il guardiano. Questi accetta ogni cosa, ma osserva:"Lo accetto soltanto perché tu non creda di aver trascurato qualcosa". Durante tutti quegli anni l'uomo osserva il guardiano quasi senza interruzione. Dimentica gli altri guardiani e solo il primo gli sembra l'unico ostacolo all'ingresso nella legge. Egli maledice il caso disgraziato, nei primi anni ad alta voce, poi quando invecchia si limita a brontolare tra sé. Rimbambisce e, siccome studiando per anni il guardiano, conosce ormai anche le pulci nel suo  bavero di pelliccia, implora anche queste di aiutarlo e di far cambiare opinione al guardiano. Infine il lume degli occhi gli si indebolisce ed egli non sa se veramente fa più buio intorno a lui o se soltanto gli occhi lo ingannano. Ma ancora distingue nell'oscurità uno splendore che erompe inestinguibile dalla porta della legge. Ormai non vive più a lungo. Prima di morire, tutte le esperienze di quel tempo si condensano nella sua testa in una domanda che finora non ha rivolto al guardiano. Gli fa un cenno poiché non può più ergere il corpo che si sta irrigidendo. Il guardiano è costretto a piegarsi profondamente verso di lui, poiché la differenza di statura è mutata molto a sfavore dell'uomo di campagna. "Che cosa vuoi sapere ancora?" chiede il guardiano, "sei insaziabile". L'uomo risponde:"Tutti tendono verso la legge, come mai in tutti questi anni nessun altro ha chiesto di entrare?". Il guardiano si rende conto che l'uomo è giunto alla fine e per farsi intendere ancora da quelle orecchie che stanno per diventare insensibili, grida:"Nessun altro poteva entrare qui perché questo ingresso era destinato soltanto a te. Ora vado a chiuderlo"[4].
 
 
Bologna 21 maggio 2023 ore 9, 53 
giovanni ghiselli

p. s.
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[1]  A. Giordano Rampioni, Manuale per l'insegnamento del latino nella scuola del 2000. Dalla didattica alla didassi, Pàtron, Bologna, 1999.
p. 49.
[2] G. Pascoli, Prose, vol. I, Milano 1956 (2 ed.), p. 592. Da un rapporto al Ministro della Pubblica Istruzione del 1893.
[3] F. Nietzsche, Considerazioni inattuali III (1874), Schopenhauer come educatore,  1. 
[4]F. Kafka, Il processo  , IX capitolo,  pp. 220-221.

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