sabato 20 maggio 2023

Filosofi lungo l’Oglio. La mia lectio: Osare l’inattuale. I

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Incipit della mia lectio
Osare l’inattuale del 30 giugno
alla XVIII edizione del Festival dei Filosofi lungol’Oglio


Attuali e inattuali. L’osare richiede audacia
  
Nietzsche conclude la Prefazione alla seconda delle Considerazioni inattuali Sull’utilità e il danno della storia per la vita (1874) con queste parole. “Solo in quanto sono allievo di epoche passate, specie della greca, giungo a esperienze così inattuali su di me come figlio dell’epoca odierna. Ma questo devo potermelo concedere già per professione, come filologo classico: non saprei infatti quale senso avrebbe mai la filologia classica nel nostro tempo, se non quello di agire in modo inattuale-ossia contro il tempo, e in tal modo sul tempo e, speriamolo, a favore di un tempo venturo”.
Scrittori grandi ma inattuali in quanto memori del passato e anticipatori del futuro corrono il rischio di non venire riconosciuti né conosciuti da vivi e diventare autori postumi.
Leopardi nella sua ultima canzone, La ginestra (1836) scrive che non adulerà il “secol superbo e sciocco” che pargoleggia con insensatezza infantile: “non io-con tal vergogna scenderò sotterra; ma il disprezzo piuttosto che si serra-di te nel petto mio-mostrato avrò quanto si possa aperto:-ben ch’io sappia che obblio-preme chi troppo all’età propria increbbe (v. 52 e vv. 63-69)  
 
Essere inattuale richiede audacia.
Osare l’inattuale può comportare l’esclusione da vari ambiti.
In greco l’audacia è hJ tovlma che  il più delle volte ha un significato negativo.
 
Per esempio nel primo stasimo dell'Antigone:" a[poli" o{tw/  to; mh; kalo;n-xuvnesti tovlma" cavrin" (vv. 370-371), bandito dalla città è quello con il quale /coesiste il brutto morale, per l’audacia.
Tale tovlma non trattiene l'uomo al di qua del limite, che  deve rimanere insuperato per quel senso della misura che è caratteristico dei Greci.
 
Eppure l’esclusione di Antigone è dovuta a un atto di pietas, a una trasgressione santa-o{sia panourghvsas j, v. 74- come la ragazza definisce la propria insubordinazione al decreto spietato di Creonte.
 
Osa l’inattuale il laudator temporis acti ma anche chi vuole innovare.
Inattuale è tutto quanto non è conformismo, non è di moda.
 
Nel commento di Heidegger “il creatore il quale avanza nell'inespresso e irrompe nel non pensato, e che a forza ottiene il non-accaduto e fa apparire il non-veduto sta costantemente nel rischio (tovlma, v. 371) . Nell'arrischiarsi a dominare l'essere, deve altresì abbandonarsi al flusso del non-essente, mh; kalovn, alla distruzione, all'instabilità, all'indocilità, al disordine"[1].
Heidegger dunque associa l’audacia al rischio dell’innovatore.
 
In questa tragedia di Sofocle la mite Ismene consiglia la sorella di non compiere  atti straordinari, poiché è un agire che non ha alcun senso: “perissa; pravssein oujk e[cei nou'n oujdevna” ( Antigone, v. 68).
 
Anche il Coro, pur compatendo la ragazza martire, le fa notare l’eccessività del suo agire:"Avanzando verso l'estremità dell'ardire (proba`s j  ejp j e[scaton qravsou~),/hai urtato, contro l'eccelso trono della Giustizia,/creatura, con grave caduta,/ del resto sconti una colpa del padre" (Antigone,  vv. 853-856).
  
Audacia e talento. Bisogna evitare il  caos dei mostri
 
L’audacia per manifestarsi e ottenere il risultato che desidera deve essere associata al talento  e questo a sua volta richiede audacia se non vuole rimanere  inespresso nell’indolenza contagiosa delle paludi.
 
Čechov e Nietzsche  
Nello Zio Vanja di Čechov (prima il 26 ottobre 1900) Elena Andreevna una bella giovane donna, una ragazza di 27 anni sposata con un vecchio professore in pensione malato e rancoroso che la annoia o la affligge, parla con Sonja la nipote di Vanja, una ragazza brutta e infelice, figlia della defunta sorella di Vanja  che era stata la prima moglie del professore
Elena dunque associa l’audacia al talento: “E sai che cosa vuol dire talento? Vuol dire audacia, libertà, grandezza di vedute” (Atto secondo).
 
 Nell’atto terzo Elena esecra un luogo depresso dal conformismo di chi non ha audacia né talento: “In questa noia disperante, quando invece di uomini vagano solo macchie grigie, senti solo discorsi volgari, non sanno altro che mangiare, bere e dormire, ogni tanto capita lui, diverso dagli altri bello, interessante, affascinante, come quando in mezzo alle tenebre sorge la luna chiara. E allora vorresti cedere al fascino di un uomo simile, dimenticarti”.
 
Parla del medico Astrov che è diverso dai più ma non si è realizzato, non è diventato quello che era, siccome il clima culturale di un paese contagia tutti i suoi abitanti.
 
Sonja che è innamorata di Astrov gli dice: “la prego, la supplico, non beva più.
E Astrov: “Perché?”
“Perché non è degno di lei! Lei è fine, ha una voce così dolce…Anzi le dirò , lei è bello-bello più di tutti quelli che conosco. Perché vuol essere uno dei tanti che si ubriacano e giocano a carte? Non lo faccia, la supplico. Lei dice sempre che la gente non crea ma distrugge quel che ha avuto dal cielo. Perché allora, perché vuol distruggere se stesso?”.
Il dottore risponde: “Il mio tempo è passato ormai, per me è tardi…Sono invecchiato, ho lavorato troppo, mi sono abbrutito, e ormai non sento che potrei legarmi a nessuno…L’unica cosa che ancora mi tocca è la bellezza” (atto secondo)
La bellezza in questo ambiente è incarnata da Elena. Nemmeno questa donna si è realizzata. Anche la bellezza ha bisogno di osare con audacia per valorizzarsi,
 Nell’atto IV Astrov e la bella donna si salutano corteggiandosi a vicenda ma senza altro che parole. Elena parte con il marito e Astrov le dice: “Ci avete contagiati tutti con la vostra indolenza”.
Le debolezze e le malattie morali contengono un virus che contagia dunque.
A questo punto posso e devo citare Nietzsche: ““Chi lotta coi mostri deve guardarsi dal diventare un mostro anche lui. E se tu guarderai a lungo in un abisso, anche l’abisso vorrà guardare te”[2].
Per salvarsi dai nostri bisogna avere l’audacia di evitarli.
A questo poposito voglio citare un autore greco e uno latino
Si pensi alla Deianira di Sofocle e a quella di Ovidio.
Nelle Trachinie  di Sofocle, Deianira è la moglie infelice, sposa dell'infedele Eracle. Finirà suicida
Sin da ragazza, quando abitava con il padre, ebbe una dolorosissima paura delle nozze (v. 7-8). Infatti ricorda: "Mnhsth;r ga;r  h\n moi potamov",  jAcelw'/on levgw" (v. 9), il mio pretendente era un fiume, dico l'Acheloo. Insomma era corteggiata da un mostro.
 "Deianira appartiene ancora, in qualche modo, al regno dei mostri: è stata richiesta in sposa da uno di essi, desiderata da un altro[3], che l'ha toccata, che si confida con lei e ne fa una sua complice. E nella lotta contro Acheloo, Eracle ha fattezze ferine. Da questo bestiario, che ha conservato in sé come orrore e come fremito, Deianira non potrà uscire"[4].
La lotta da cui Eracle esce vincente è un fragore di mani, di archi di corna taurine insieme confuse (Sofocle, Trachinie , vv. 517-518).
 
La Deianira delle Heroides[5] di Ovidio,  lontana da Eracle occupato a inseguire  terribili fiere,  è ossessionata dal pensiero dei mostri con i quali il marito deve lottare: "inter serpentes aprosque avidosque leones/iactor et haesuros terna per ora canes " (IX, 39-40), mi aggiro tra serpenti e cinghiali e leoni bramosi, e cani[6] pronti ad attaccarsi con tre bocche.
 Senza contare gli amori con le straniere: "peregrinos addis amores" (v. 49).
 
In conclusione: è necessario allontanarsi dal caos dei mostri 
Si può pensare al film I vitelloni (1953) di Fellini e alla fuga da Rimini dell’attore alter ego del regista , Franco Interlenghi allora.
 

Bologna 20 maggio 2022 ore 10, 51
giovanni ghiselli.

p. s.
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[1] Introduzione alla metafisica ,  Capitolo IV, La limitazionr dell’essere, p. 168.
[2] Di là dal bene e dal male , Aforismi e interludi, 146.
[3] Il centauro Nesso, acre e bimembre.
[4]U. Albini, Interpretazioni teatrali , Le Monnier, Firenze, 1972, p. 59.
[5]Sono  lettere d'amore. in distici elegiaci,di donne amanti di eroi, e altre  lettere di uomini a donne del mito con le risposte. Il primo gruppo ( epistole I-XV) uscì secondo alcuni attorno al 15 a. C. ,  fra la prima (20a. C.) e la seconda edizione degli Amores  (1 a. C.). Altri abbassano la data fino al 5 a. C.  Il secondo gruppo di epistole doppie ( XVI-XXI) fu composto poco prima dell'esilio (tra il 4 e l'8 d. C.). Il metro è il distico elegiaco.
[6]Come Cerbero, il cane di Ades, dal ringhio metallico.

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