giovedì 18 maggio 2023

La priorità della parola. Osare l’inattuale nell’insegnamento

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Certamente la gestione e l'esposizione del greco e del latino non deve essere fredda, da erudito senza anima
.
"La cultura, secondo noi, rappresenta l'insieme di tutti gli elementi che contribuiscono alla crescita dell'individuo, che gli forniscono una più ampia concezione del mondo, che gli danno nuove conoscenze. Tutto produce cultura: i giochi infantili, le sofferenze, le punizioni dei genitori, i libri, il lavoro, lo studio libero e lo studio imposto, l'arte, la scienza, la vita[1]".
 "La cultura comincia proprio dal punto in cui sa trattare ciò che è vivo come qualcosa di vivo"[2].  
E' bene che l'insegnante sia diverso dai dotti dello Zaratustra  di Nietzsche: i quali "siedono freddi nell'ombra fredda: in tutto non vogliono essere che spettatori, e si guardano bene dal mettersi seduti dove il sole arde i gradini... aspettano e guardano a bocca spalancata i pensieri che altri hanno pensato...Essi hanno occhi freddi ed asciutti, davanti a loro ogni uccello giace spennato"[3].
Di fronte al genio, cioè ad un essere che crea o che dà alla luce…il dotto, l’uomo medio della scienza, ha sempre qualcosa della vecchia zitella: in quanto, come quest’ultima, non ha la minima idea di queste due funzioni umane, che sono le più preziose…il suo occhio assomiglia allora ad un lago liscio e odioso, la cui onda non si increspa a nessun entusiasmo, a nessuna simpatia. Ma le cose peggiori di cui un dotto è capace, gli provengono dall’istinto della mediocrità, propria della sua razza; da quel gesuitismo della mediocrità che incosciamente lavora alla demolizione dell’uomo eccezionale e tende a spezzare ogni arco teso o, meglio ancora, ad allentarne la tensione.”[4].
 
A tale tipo di studioso, estraneo al mito e alla vita, "l'eterno affamato, il "critico" senza piacere e senza forza, l'uomo alessandrino, che è in fondo un bibliotecario e un emendatore, e si accieca miseramente sulla polvere dei libri e degli errori di stampa"[5] alludeva già Petronio contrapponendolo proprio ai grandi tragici:" cum Sophocles aut Euripides invenerunt verba quibus deberent loqui, nondum umbraticus doctor ingenia deleverat "[6] quando Sofocle e Euripide trovarono le parole con le quali dovevano parlare, non c'era ancora un erudito cresciuto nell'ombra a scempiare gli ingegni.
 
Anche Quintiliano vuole escludere l'ombra, la solitudine e la muffa dall'educazione del ragazzo che sarà un buon  oratore:"Ante omnia futurus orator, cui in maxima celebritate et in media rei publicae luce vivendum est, adsuescat iam a tenero non reformidare homines neque illa solitaria et velut umbratica vita pallescere. Excitanda mens est et adtollenda semper est, quae in eiusmodi secretis aut languescit et quendam velut in opaco situm ducit, aut contra tumescit inani persuasione; necesse est enim nimium tribuat sibi, qui se nemini comparat "[7] , prima di tutto il futuro oratore che deve vivere frequentando moltissime persone, e in mezzo alla luce della politica, si abitui  fin da ragazzo a non temere gli uomini e a non impallidire in quella vita solitaria e come umbratile. Va tenuta sveglia e sempre innalzata la mente che in solitudini di tal fatta o si infiacchisce e nella tenebra prende un certo puzzo di muffa, o al contrario si gonfia di vuoti convincimenti: è infatti inevitabile che attribuisca troppo a se stesso chi non si confronta con nessuno.         
 
 Forse pensava a uno studioso estraneo alla vita anche Tacito raccontando la caduta in disgrazia di Seneca  che, per apparire innocuo a Nerone cui era venuto in gran sospetto, gli ricorda i propri "studia...in umbra educata "[8], studi coltivati nell'ombra.
Già Agrippina del resto in un momento di antipatia per il precettore del principe appena salito al trono accusa l' exul Seneca di aspirare al dominio del mondo con la sua professoria lingua , un linguaggio da pedante, in combutta con l'altro cattivo maestro il "debilis Burrus…trunca scilicet manu " (Annales , XIII, 14) il minorato Burro dalla mano mozza evidentemente.   
 
Passiamo dal Seneca personaggio di Tacito all’autore Seneca  il quale viceversa disapprova un approccio devitalizzante ai testi classici: nel De brevitate vitae  il filosofo sconsiglia di accorciare la vita perdendo tempo in occupazioni che non giovano allo spirito:"Graecorum iste morbus fuit quaerere quem numerum Ulixes remigum habuisset, prior scripta esset Ilias an Odyssia, praeterea an eiusdem esset auctoris, alia deinceps huius notae, quae sive contineas nihil tacitam conscientiam iuvant, sive proferas non doctior videaris sed molestior " ( 13) questa fu una malattia dei Greci, cercare quale numero di rematori avesse avuto Ulisse, se sia stata scritta prima l'Iliade  o l'Odissea, inoltre se siano del medesimo autore, e successivamente altre notizie di questo tipo, nozioni che se le tieni per te non giovano per niente al puro fatto di saperle, se le tiri fuori, non sembri più dotto ma più pedante.
 
Di certo gli studenti proveranno simpatia per tali parole che possono essere rafforzate con queste di Mefistofele a Faust :" E che vita è questa che consiste nell'annoiare sè e i giovani?"[9].
Quanti di noi lo fanno? Non dimentichiamo mai che annoiare è il crimine degli imbecilli. Sentiamo ancora i ricordi di Fellini studente:"La scoperta, la conoscenza del mondo pagano che si acquisisce a scuola, ad esempio, è di tipo catastale, nomenclativo, favorisce con quel mondo un rapporto fatto di diffidenza, di noia, di disinteresse, al massimo di una curiosità casermesca, abietta, un po' razzistica, comunque di cosa che non ti riguarda"[10].
 
La chiave è proprio questa: far capire e sentire ai giovani che quel "mondo pagano" li riguarda, che gli autori hanno scritto per loro, che raccontano di loro..
Certamente l'attenzione degli studenti ha un prezzo molto alto, quello della nostra preparazione, e il loro consenso non va cercato a tutti i costi.
In un altro libro il regista riminese racconta di un insegnante impreparato che si riempiva di ridicolo:" Il professore era comicissimo quando pretendeva che dei mascalzoni di sedici anni fossero presi da entusiasmo perché lui declamava con la sua vocina l'unico verso rimasto di un poeta:"Bevo appoggiato sulla lancia"[11]; e io allora mi facevo promotore di ilarità sgangherate inventando tutta una serie di frammenti che andavamo sfacciatamente a riproporgli"[12].
Tolstoj definiva simili insegnanti "una di quelle creature spiritualmente distorte"[13].
La scuola anche secondo Nietzsche, tende a reprimere l'originalità e a privilegiare la mediocrità, comunque:"L'aspetto veramente autonomo…ossia appunto l'aspetto individuale, viene biasimato, ed è respinto dall'insegnante a favore di un contegno dignitoso, mediocre e privo di originalità. La piatta mediocrità, per contro, ottiene lodi, elargite a malincuore: la mediocrità infatti suole annoiare parecchio l'insegnante, e con buone ragioni"[14].   
Procedo rimanendo su queste conferenze del giovane[15] Nietzsche che polemizza contro i filologi freddi, senza anima:"Può accadere che uno di questi filologi scriva versi, sapendo consultare il Lessico [16] di Esichio.. Vi sono infine coloro che promettono di risolvere una questione come quella omerica, prendendo lo spunto dalle preposizioni, e credono di tirar su la verità dal pozzo, servendosi di ajnav e di katav. Tutti poi, secondo le più diverse tendenze, scavano e frugano il terreno greco con una tale irrequietezza, con una tale imperizia sgraziata, che un serio amico dell'antichità deve davvero impensierirsene"[17].
A  proposito della dicotomia cultura-vita si può ricordare un iperbolico proposito del Manifesto del Futurismo di Marinetti:" vogliamo liberare questo paese dalla sua fetida cancrena di professori, d'archeologi, di ciceroni e d'antiquari".
 
Queste nostre materie dunque vanno vissute nel sole e calate nella prassi. "Dove afferrarti, infinita natura? E voi, mammelle, dove? Voi fonti di ogni vita, da cui pendono il cielo e la terra, voi, cui tende questo arido petto, sgorgate, dissetate, e io devo languire invano?" si domanda Faust in crisi di identità:" Ho il titolo di Maestro, anzi di Dottore, e saran dieci anni che, con giri e rigiri, sto menando per il naso i miei scolari e vedo che non ci è dato saper nulla…"[18]. 
Insomma il ragazzo deve trovare il riscontro delle lingue classiche in rebus ipsis ; gli si può fare intendere il  valore pratico, oltre che estetico, della parola attraverso l'espressione di Tucidide ta; e[rga tw'n pracqevntwn (I, 22, 2). "La mentalità greca arcaica-scrive Canfora- pone sullo stesso piano la parola e l'azione. Tale modo di concepire la parola come "fatto" è vivo anche nella tradizione storiografica, che rivela, anche in questo, la propria matrice epica. Vi è un assai noto passo di Tucidide, dove lo storico, nel descrivere il proprio lavoro e la materia trattata, adopera un'espressione quasi intraducibile: ta; e[rga tw'n pracqevntwn (I 22 2). Si dovrebbe tradurre "i fatti dei fatti", che in italiano non dà senso...Lì vi è invece una distinzione: la categoria generale degli "eventi" (ta; pracqevnta) comprende sia le "azioni" (e[rga) che le "parole" (lovgoi), delle quali si è appena detto nel periodo precedente[19]...La  parola infatti-scriverà secoli dopo Diodoro[20]- la parola retoricamente organizzata, è l'elemento che distingue gli inciviliti dai selvatici, i Greci dai barbari"[21].  
  
Ivano Dionigi  nel De rerum natura di Lucrezio accerta una "coincidenza di terminologia grammaticale e terminologia atomistica" e presume una "probabile mutuazione della seconda dalla prima" per cui "i fatti verbali vanno ritenuti prioritari non solo nell'esegesi filologica ma anche nella critica letteraria lucreziana a causa della omologia e connaturalità di lingua e realtà. E' come se il detto catoniano fosse invertito: verba tene, res sequetur "[22].
Ribaltare il motto di Catone il Vecchio Rem tene, verba sequentur (fr. 15 Jordan), tieni in pugno l'argomento, le parole seguiranno, significa affermare in qualche modo la priorità dei verba .
  
Osare l’inattuale nell’insegnamento
La parola è più duratura dell'azione:"Da un punto di vista biosociale l'uomo è davvero un mammifero dalla vita breve, programmato per l'estinzione come ogni altra specie. Ma l'uomo è un animale linguistico, ed è questa singola caratteristica, più di ogni altra, a rendere sopportabile e feconda la nostra condizione effimera"[23].
Noi antichisti dobbiamo chiarire che nel parlare italiano la facoltà verbale offerta dall'italiano antico, ossia dal latino, e pure dal greco, è superiore a quella che può provenire dallo studio di qualsiasi altra disciplina
e che il potenziamento dei lovgoi è anche rafforzamento degli e[rga .
 La sapientia , sostiene Seneca " res tradit, non verba "[24] insegna ad agire, non solo a parlare. Però è il pensare e il parlare che prepara l’agire non inconsulto
E in un'altra Epistula:"Sic ista ediscamus ut quae fuerint verba sint opera " (108, 35), cerchiamo di apprendere la filosofia in modo che quelle che furono parole diventino azioni.
Ma perché le parole diventino azioni è necessario conoscere bene le parole e impiegarle strategicamente ossia renderle funzionali al successo finale.
Infatti le azione si preparano con il lovgo~,  la parola ricca di pensiero.  
 Quando i giovani capiscono questo, e lo constatano, diventano più disponibili a faticare per impossessarsi della parola capace di potenziare l’azione. Noi ragazzi del ‘44 quarant'anni fa nei licei ci impegnavamo a studiare per non essere bocciati, se non per altro; questi ragazzi, che non hanno quasi più lo spauracchio della bocciatura, contro l'infingardaggine, possono essere motivati a imparare le lettere con l'incentivo della forza della parola, utile in tutti i campi, compreso quello centralissimo di Eros:"Non formosus erat, sed erat facundus Ulixes/et tamen aequoreas torsit amore deas "[25]. Nei versi precedenti Ovidio consiglia di imparare bene il latino e il greco, per potenziare lo spirito e controbilanciare l'inevitabile decadimento fisico della vecchiaia:"Iam molire animum qui duret, et adstrue formae:/solus ad extremos permanet ille rogos./Nec levis ingenuas pectus coluisse per artes/cura sit et linguas edidicisse duas " ( Ars amatoria , II, vv. 119-122), oramai prepara il tuo spirito a durare e aggiungilo all'aspetto: solo quello rimane sino al rogo finale. E non sia leggero l'impegno di coltivare l’anima attraverso le arti liberali e di imparare bene le due lingue. Il latino e il greco ovviamente.
 
Dopo il magister dell'Ars Amatoria sentiamo un prete , un grandissimo prete cristiano, un prete sublime: Don Milani insegnava che "bisogna sfiorare tutte le materie un po' alla meglio per arricchirsi la parola. Essere dilettanti in tutto e specialisti nell'arte della parola "[26].
 
Viene in mente un accostamento, pure un poco paradossale del priore di Barbina maestro di figli dei poveri, con Isocrate, il principe della retorica nell'Atene del IV secolo e l'educatore dei prìncipi:" scedo;n a{panta ta; di j hJmw'n memhcanhmevna lovgo" hJmi'n ejstin oJ sugkataskeuavsa" "(Nicocle, 6), quasi tutto quanto è stato costruito da noi è stata la parola a organizzarlo.
 Infatti:"to; ga;r levgein wJ" dei' tou' fronei'n eu\ mevgiston shmei'on poiouvmeqa, kai; lovgo" ajlhqh;" kai; novmimo" kai; divkaio" yuch'" ajgaqh'" kai; pisth'" ei[dwlovn ejstin " ( 7)  il parlare come si deve lo consideriamo segno massimo del saper pensare, e un discorso veritiero, legittimo e giusto è l'immagine di un'anima buona e leale.
"Sicché il Logos, nel suo doppio significato di parola e di pensiero, diventa per Isocrate il "symbolon ", il contrassegno della paideusis "[27].
Il ragazzo che ha studiato bene, con buoni insegnanti, possiede, prima di tutto, una facoltà di eloquio superiore a chi non ha fatto studi altrettanto buoni e ben guidati. Quella del linguaggio è la facoltà che ci qualifica come umani: siamo"animali politici, certo, ma proprio perché e in quanto animali linguistici"[28]. 
Insomma l'uso egregio della parola è la sapienza più alta quella che avvalora tutti i saperi, e questi senza tale preziosa sofiva  sono come degli zero non preceduti da un numero: " il molto sapere è un grave male, per chiunque non è padrone/della lingua (poluidreivh calepo;n kakovn, o{sti" ajkartei' -glwvssh" ) : è proprio come per un bambino avere un coltello"[29].
Nel primo stasimo delle Baccanti di Euripide il coro delle Menadi sintetizza in tre parole la vanità del sapere privo di sapienza "to; sofo;n  d  j ouj  sofiva" ( v. 395), il sapere non è sapienza.
E’ il correlativo culturale dell’avvertimento politico dato da Tiresia al re di Tebe ostile a Dioniso:
“Via Penteo, da’ retta a me:
non presumere che il potere abbia potenza sugli uomini”. (mh; to; kravto" au[cei duvnamin ajnqrwvpoi" e[cein- vv. 309  310).
 
Di più: la perdita della padronanza della lingua è uno dei sintomi del tracollo mentale: così nell'ode di Saffo[30] tradotta da Catullo, così nella ripresa eschilea[31] del Prometeo incatenato dove la fanciulla-giovenca Io, descrivendo un suo doloroso accesso di furore, dice di essere glwvssh" ajkrathv" (v. 884), non più padrona della sua lingua. 
 
Per sostenere questa priorità e supremazia della parola nella strategia intesa al raggiungimento del risultato che ci sta a cuore, si deve osare l’inattuale quando la moda corrente è la sconciatura delle parole spesso approssimative o errate e pure pronunciate male, e bisogna osare financo l’opposizione al potere quando il capo del governo proclama che il vero liceo è l’istituto agrario.
 
Io per essere ancora più inattuale sostengo che il greco e il latino andrebbero insegnati in tutte le scuole. Studiati in maniera intelligente, certo, non limitando l’insegnamento ai tecnicismi linguistici come ho visto fare a molti docenti, miei professori e colleghi. Dunque non sono un laudator temporis acti me puero; auspico piuttosto la ripresa del greco e del latino come lingue basi della nostra e i buoni libri degli ottimi autori come portatori di una cultura che potenzi la natura. Nel liceo classico del quale vorrei, inattualnente, la crescita per la valorizzazione degli ingegni  e della buona educazione, brani di autori greci latini italiani e inglesi (o francesi, o tedeschi) andrebbero letti in lingua nel triennio conclusivo.
 
 

Bologna 18 maggio 2023 ore 18, 50
giovanni ghiselli

p. s.
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[1] L. Tolstoj, Educazione e formazione culturale in Lev Tolstoj, Quale scuola? , p. 77.
[2] F. Nietzsche, Sull'avvenire delle nostre scuole, p. 43.
[3]Così parlò Zaratustra , trad. it. Adelphi, Milano, 1976, p. 151 e p. 352.
[4] Nietzsche, Di là dal bene e dal male, Noi dotti.
[5]Nietzsche, La nascita della tragedia ,  trad. it. Adelphi, Milano, 1977, p. 123.
[6]Satyricon, 2. E’ l’io narrante Encolpio che parla.
[7] Institutio oratoria I, 2, 18.
[8]Tacito, Annales , XIV, 53.
[9] Goethe, Faust , Prima parte, in Goethe, Opere , trad. it. Sansoni, Firenze, 1970,  p. 22.
[10] F. Fellini, Fare un film, p. 101.
[11] Si tratta di una parte del pentametro del  fr. 2D. di Archiloco costituito da un distico elegiaco. Non è "l'unico verso rimasto" del poeta.
[12] F. Fellini, intervista sul cinema, p. 136.
[13] Op. cit., p. 85.
[14] F. Nietzsche, Sull'avvenire delle nostre scuole, p. 46.
[15] Le scrisse ventottenne, nel 1872, quando era professore a Basilea.
[16]Del V secolo d. C. , pervenutoci parzialmente.
[17]Sull'avvenire delle nostre scuole  , trad. it. Adelphi, Milano, 1975, p. 71.
[18] Goethe, Faust , Prima parte, Notte, p.8.
[19] I lovgoi dunque vengono prima delle azioni, le preparano.
[20] 90-27-
[21]L. Canfora, L'agorà: il discorso suasorio in Lo spazio letterario della Grecia antica , I, 1, p. 385.
[22] I. Dionigi,  Lucrezio, Le parole e le cose , p.37.
[23] G. Steiner, Errata. Una vita sotto esame , p. 105.
[24]Seneca, Epistole a Lucilio , 88, 32.
[25] Ovidio,  Ars Amatoria , II, 123-124. Bello non era ma bravo a parlare Ulisse e pure fece struggere d'amore le dee del mare. Sono versi non per caso citati da Kierkegaard nel Diario del seduttore .
[26]Lettera a una professoressa  , p. 95.
[27] W. Jaeger, Paideia 3, p.134.
[28] F. Frasnedi op. cit., p. 67.
[29] Callimaco, Aitia, fr.75 Pf, vv. 8-9.  
[30] Fr. 2 D., v 9, glw'ssa <m j  >e[age,  la lingua mi rimane spezzata; lingua sed torpet  (51, 9), si paralizza la lingua. Più avanti vedremo entrambi i testi.
[31] Imitata da Callimaco come si vede: non ut lateat imitatio sed ut pateat .

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