sabato 20 maggio 2023

Filosofi lungo l’Oglio. La mia lectio: Osare l’inattuale. II

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I cosiddetti buoni sono i conformisti organici al potere.
 
Sentiamo  Nietzsche
Nietzsche . Ecce homo. Perché io sono un destino 4.
I buoni e i cattivi trasvalutati
In questa sezione Nietzsche ricorda e  cita alcune parole dello Zarathustra (Parte terza, Di antiche tavole e nuove 26) dove i buoni sono identificati con i farisei. I buoni dunque sono i cosiddetti buoni, gli ipocriti, i falsi buoni che spesso uccidono i veri buoni
“Fratelli miei, ci fu uno che un giorno vide nel cuore dei buoni e disse: “sono i farisei” (…) I buoni non possono che essere farisei, essi non hanno scelta! (…) I buoni non possono non crocifiggere colui che inventa per sé la sua virtù! Questa è la verità (…) Colui che crea, essi odiano massimamente: colui che spezza le tavole e gli antichi valori, colui che infrange e che essi chiamano delinquente”.
 Queste parole nello  Zarathustra.
In Ecce homo c’è qualche variazione: “I “buoni” infatti non sono capaci di creare essi sono sempre il principio della fine; essi crocifiggono colui che scrive valori nuovi su tavole nuove, essi immolano a se stessi l’avvenire, crocifiggono ogni valore dell’uomo! E per quanti danni possono fare i calunniatori del mondo: il danno dei buoni è il più dannoso dei danni”.
 
Ordinari e straordinari.
 
Osare l’inattuale, scrivere valori nuovi, è considerato un crimine solo finché questi nuovi valori non diventano attuali.
 
A questo proposito cito Delitto e castigo (1867) di Dostoevskij:
Il giudice istruttore Porfirij  rinfaccia a Raskolnikov  un “articoletto”  intitolato Del delitto se non ricorda male e uscito su “La voce periodica” (Parte III, 5, p. 288)
“Se ben ricordate-dice al giovane- si allude al fatto che al mondo esistono certi individui i quali hanno pieno diritto di compiere ogni specie di iniquità e di delitti, e la legge per loro è come se non fosse mai stata scritta”.
 Razumichin, l’amico che ha accompagnato Raskolnikov,  allora domanda con sgomento: “come, diritto al delitto?”
Il giudice risponde: “No, non proprio questo. Nell’ articolo tutto sta nel fatto che gli uomini si dividono in ordinari e straordinari. Quelli ordinari devono vivere nell’obbedienza e non hanno diritto di violare la legge, appunto perché sono ordinari. Gli straordinari invece  hanno il diritto di compiere delitti di ogni specie e di violare in tutti i modi la legge la legge proprio perché sono straordinari”.
Raskolnikov decide di accettare la sfida e  corregge Porfirij di poco: “Io ho semplicemente formulato l’ipotesi che un uomo straordinario abbia il diritto, non il diritto ufficiale beninteso, di permettere alla propria coscienza di scavalcare certi ostacoli se lo richieda un suo progetto magari salutare per l’umanità. Se alla conoscenza delle scoperte di Keplero o di Newton  si fossero opposte dieci o cento persone, gli inventori avrebbero avuto il diritto o perfino il dovere di eliminare quelle persone per far conoscere quelle scoperte all’umanità. Da questo non deriva che Newton potesse rubare al mercato o uccidere chi voleva. La mia idea era che i legislatori e i fondatori della società umana come Licurgo, Solone, Maometto, Napoleone e via discorrendo, sono stati tutti fino all’ultimo dei delinquenti, già per il fatto che ponendo una nuova legge infrangevano una legge antica venerata dalla società, e non si arrestarono nemmeno davanti al sangue, se il sangue era loro d’aiuto. La maggior parte di questi benefattori e fondatori della società umana furono dei terribili spargitori di sangue. Chi esce dalla comune carreggiata e sa dire qualcosa di nuovo deve essere per forza un criminale.
Porfirij domanda a Raskolnikov se si sia sentito straordinario e capace di scavalcare certi ostacoli; e in tal caso “potreste avere deciso di uccidere o di rubare?”
 E sembrava ammiccare con l’occhio sinistro.
“Anche se l’avessi deciso, non verrei certo a dirvelo”, risponde il ragazzo (p. 297).
Quindi Raskolnikov torna nel suo stambugio il quale “sembrava più un armadio che una stanza” scrive l’autore nella prima pagina del romanzo.
Il ragazzo assassino sta male e pensa di non essere all’altezza dei criminali innovatori: “No, quegli uomini sono di un’altra pasta, non sono fatti così. Un vero distruttore, al quale tutto è lecito, mette a sacco Tolone, compie una strage a Parigi, dimentica l’esercito in Egitto, spreca mezzo milione di uomini nella spedizione di Mosca, se la cava con un gioco di parole a Vilna, e dopo che è morto gli innalzano delle statue, tutto gli è lecito dunque: Uomini così non sono fatti di carne, ma di bronzo . Io volevo solo superare l’ostacolo. Non ho ucciso una persona ma un principio. Il principio l’ho ucciso, ma l’ostacolo non l’ho superato, sono rimasto al di qua. Sono un pidocchio estetizzante e basta”, e scoppiò a ridere.
Ostacolo in greco è provblhma. Il duplice crimine commesso ha dato all’assassino se non altro la coscienza di un problema.
Quindi il ragazzo aggiunse, digrignando i denti: “io stesso, forse, sono peggiore e più sordido del pidocchio che ho ucciso e presentivo perfino che mi sarei detto queste cose dopo avere ucciso.
 
 Poi pensa a Lizaveta e a Sonja, dolci creature. Esce e vede di nuovo l’artigiano che gli ha dato dell’assassino.
Ma sta sognando. Sogna di seguirlo fino alla casa della vecchia, di entrare nell’appartamento di trovarla seduta, di colpirla con la scure facendola ridere.
 
Quando si sveglia vede un uomo entrare nella sua stanza e sedersi. Era un uomo non più giovane, robusto, con una folta barba quasi bianca.
Si presentò come Arkàdij Ivànovič Svidrigàilov un altro fuori dal comune un donnaiolo compulsivo . Sosteneva che nel  libertinaggio c’è qualcosa di costante, di fondato sulla natura, di non soggetto alla fantasia; una specie di scintilla sempre accesa nel sangue, una scintilla che non si spenge con gli anni. Un altro straordinario.
 Più avanti si ucciderà, mentre Raskolnilov finirà in Siberia.
 
Un’altra condanna degli uomini straordinari si trova nelle Baccanti di Euripide
 
Pimo Stasimo
 
ant. B- Il demone figlio di Zeus 417
gioisce delle feste,
e ama Irene che dona benessere,
dea nutrice di figli. 420
Uguale al ricco e a quello di rango inferiore
concede di avere la
 gioia del vino che toglie gli affanni;
e porta odio a chi queste cose non stanno a cuore:
durante la luce e le amabili notti
passare una vita felice,
e saggia tenere la mente e l'anima lontane
dagli uomini straordinari; perissw`n para; fwtw`n
ciò che la massa
più semplice crede e pratica,
questo io vorrei accettare. 432
 
Un a nota personale che può essere saltata
Nel mio piccolo ho attraversato due fasi con il mio essere un insegnante “straordinario”.
 Negli anni dal 1978 al 1988 quando insegnavo con questo metodo comparativo ancora stra-ordinario appunto, un preside  mi retrocesse dal liceo al ginnasio e un altro mi mandò contro due ispettori uno nel 1986, uno nel 1988. I tempi però dalla metà degli anni Ottanta stavano cambiando e questi due chiamati per gettarmi nel lastrico non solo mi assolsero ma anzi mi elogiarono sbugiardando il preside e la sua cricca. Poco dopo ebbi incarichi al Ministero della Pubblica istruzione e alle Università di Bologna, Urbino e Bressanone.
 
Osare la trasvalutazione.
  Nietzsche . Ecce homo. Perché io sono un destino 1.
“Io non sono un uomo, sono dinamite (…) la verità parla in me. Ma la mia verità è tremenda: perché fino a oggi si chiama verità la menzogna Transvalutazione di tutti i valori: questa è la mia formula per l’atto in cui l’umanità prende la decisione suprema su se stessa, un atto che per me è diventato carne e genio (…)Vuole la mia sorte che io debba essere il primo uomo decente, che sappia oppormi a una falsità che si oppone da millenni. Io per primo ho scoperto la verità, proprio perché per primo ho sentito la menzogna come menzogna, la ho fiutata. Il mio genio è nelle mie narici”.
 
Osare la verità.
La verità è tremenda: fa tremare siccome è apocalittica, rivelatrice: ajlhvqeia è non latenza: toglie le maschere e si vede la realtà delle persone quasi tutte e quasi sempre truccate, falsificate: “eripitur persona, manet res" ( Lucrezio, De rerum natura, III, 58), si strappa la maschera, rimane la sostanza.
Cito anche  Seneca il quale sostiene che bisogna togliere la maschera non solo agli esseri umani ma anche alle cose: “Non hominibus tantum sed rebus persona demenda est et reddenda facies sua (Ep. 24, 13).
 
Osare la parresia.
 
La prima trasvalutazione necessaria è la rivalutazione della parola, quella libera ed elegante, che ha subito una svalutazione abissale in questi decenni.
 
Nel programma del festival dei Filosofi lungo l’Oglio leggo che coraggio ottimo è quello che osa servirsi di un linguaggio parresiaco e che pratichi un’ecologia della parola.  
Questa è cultura e religione.
Il prologo del Vangelo di Giovanni  identifica l’ajrchv con il lovgo~ "  jEn ajrch'/  h\n oJ lovgo", kai; oJ lovgo~ h\n pro;" to;n qeovn, kai; qeo;" h\n oJ lovgo". ou|to" h\n ejn ajrch'/ pro;" to;n qeovn. pavnta di' aujtou' ejgevneto, kai; cwri;" aujtou' ejgevneto oujdevn. In principio erat Verbum, et Verbum erat apud Deum et Deus erat Verbum. Hoc erat in principio apud Deum. Omnia per ipsum facta sunt, et sine ipso factum est nihil (1, 1-3), in principio c'era la Parola e la Parola era con  Dio e la Parola era Dio. Questa era in principio con Dio. Tutto fu fatto tramite lei e senza lei nulla fu fatto.
 
 
La parresia è il nucleo della democrazia ed è inattuale. Dove manca la libertà di parola scompare la libertà tout court.
Parrhsiva dovrebbe essere scelta come parola chiave e considerata a partire dallo Ione[1] di Euripide dove il protagonista esprime il desiderio di ereditare da una madre ateniese questa facoltà, recandosi ad Atene, poiché lo straniero che piomba in quella città, anche se a parole diventa cittadino, ha schiava la bocca senza la libertà di parola ("tov ge stovma-dou'lon pevpatai[2] koujk e[cei parrhsivan", vv. 674-675).
 Analogo concetto si trova nelle Fenicie[3] quando  Polinice risponde alla madre sulla cosa più odiosa per l'esule:" e{n me;n mevgiston, oujk e[cei parrhsivan" (v. 391), una soprattutto, che non ha libertà di parola.
Infatti, conferma Giocasta, è cosa da schiavo non dire quello che si pensa.
  
Parlare male fa male all’anima 
Mi sono chiesto più di una volta qual è la ragione per cui Massimo Troisi ha avuto diversi premi ed è tuttora ricordato come un bravo o addirittura un grande attore.
Con tutto il rispetto dovuto a  un giovane morto ante diem, a me non è mai piaciuto perché non capivo quello che diceva. Ora che questo parlare senza farsi comprendere è diffuso al cinema e in televisione credo che il borbottare incomprensibile il farfugliare, irrispettoso di chi ascolta e offensivo della nostra lingua madre, venga consigliato e raccomandato dal potere cui fa comodo che la gente non capisca. Una volta chi presentava i telegiornali doveva studiare dizione: dire per esempio chièsa, non chiésa o giubilèo, non giubiléo. Ora parlare con chiarezza e magari con eleganza è inattuale.
Molti idiotismi sono comunque  comprensibili, ma  oggi si arriva a nascondere il significato di quanto si farfuglia emettendo versi male articolati che sembrano emessi dalla gola di un papero o di un cercopiteco piuttosto che di un uomo.
Il nostro doppiaggio dei film girati in altre lingue fino a una decina di anni fa era esemplare per la dizione e la recitazione: ora è in buona parte incomprensibile perché le parole, magari belle del testo, vengono sputate o ruttate invece che scandite e pronunciate umanamente. Questa oramai è la regola. Che non solo è tollerata o imposta dal potere, ma va benissimo agli ignoranti e maleducati i quali, autorizzati a non farsi capire,  possono nascondere il loro vuoto culturale e mentale.   
 
Concludo questo argomento citando alcune parole d’oro che il personaggio Socrate del dialogo platonico Fedone dice al personaggio Critone :" euj ga;r i[sqia[riste Krivtwn, to; mh; kalw'" levgein ouj movnon eij" aujto; tou'to plhmmelev"[4], ajlla; kai; kakovn ti ejmpoiei' tai'" yucai'"" (115 e), sappi bene…ottimo Critone che il parlare non bene non è solo una stonatura in sé, ma mette anche del male nelle anime.

Bologna 20 maggio 2023 ore 11, 52

p. s.
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[1] Del 411 a. C.
[2] Forma poetica equivalente a kevkthtai.
[3]Rappresentata poco tempo dopo lo Ione. Tratta la guerra dei Sette contro Tebe.
[4] Aggettivo formato da plhvn e mevlo~, contro il tono, contro il metro.

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