lunedì 31 marzo 2014

Decima antologia del mio Twitter



Twitter 30 marzo
La religione serve, se non altro "ad animire la Plebe, a mantenere gli uomini buoni a fare vergognare i rei" (Machiavelli) Anche politicamente meglio  Francesco dei politici.

L'animo di Obama, occupato e bloccato da un retaggio secolare, ha visto nel Colosseo qualche cosa che ha nel DNA : mera omicidia di schiavi. Omicidi subiti e perpetrati per secoli. Satis! Satis!  

Creare con un lavoro raffinato la parvenza della naturalezza è l'ambizione dell'uomo di gusto. Non è tale il becero Sgarbi.

Chi ha conoscenze significative, ne porta traccia e segni nell'aspetto. La testa vuota ha del tutto vuoti anche la faccia e il corpo.

Il tacito consenso di troppi politici, inveterato da lunga consuetudine, ha potenziato la mafia rendendola magna pars dell'economia nazionale

Un popolo senza storia non è redento dal tempo. Altrettanto le persone senza storia. Gente guidata da uno che assimila il Colosseo a un campo di baseball.

Nel mondo corrotto del potere id aequius quod validius (Tacito), la posizione più giusta è quella più forte. L'antitesi è la morale.

Nelle donne c'è sempre qualche cosa di sacro e profetico, anche in quelle atroci, perfino in quelle false.

Nelle donne c'è un legame con la vita che gli uomini guerrafondai tendono a sfilacciare. Se le donne diverranno uguali agli uomini, il genere umano sparirà.


giovanni ghiselli

sabato 29 marzo 2014

Nona antologia del mio Twitter



Il rischio dei politici è quello di essere alterati e travolti dalla violenza del potere vi dominationis convulsi et mutati.

Molte ragazze si identificano con le giovani chiamate a recitare da ministre dello Stato. Queste fanciulle non vanno oltre la parte imparata a memoria

Molti uomini e donne sono attirati dalla selvaggina fresca (recens fera). Ecco perché si esalta la gioventù

Tanti uomini vedono in Renzi un loro simile, o addirittura il loro doppio, sia pur coperto dall'abbigliamento di una loquacità torrenziale

Grillo corifeo di canti fallici vuole indicare l'evasione coribantica dal pantano della gente fangosa. Ma il suo chiasso non indica nuove vie.

Non maneggio simboli e non innalzo ostensori, non vado nemmeno alla messa, il mio culto giornaliero è lo studio. Comunque  Papa Francesco mi piace

Le battute idiote di un capo di Stato in visita di Stato: uno dei pessimi sintomi della decadenza e della carestia culturale

L'incultura è un segno di volgarità dell'anima. Da uno, bianco o nero, che fa battute del genere non comprerei aerei usati, né nuovi

La battuta di Obama è offensiva dells nostra cultura. Putin non è mai sceso tanto in basso

In confronto a Obama, Napolitano è Platone, la Merkel Aristotele

Il Colosseo è più grande di un campo di baseball e i servi italiani di Obama sono i pessimi tra gli schiavi

Se i politici asseconderanno le debolezze della gente, somministrandole  i veleni desiderati, il popolo verrà sottomesso facilmente con i vizi.

Non possiamo più sopportare né i vizi dei politici né i rimedi che loro stessi propongono.

Giovanni Ghiselli
Oggi il blog supererà le 140 mila unità

venerdì 28 marzo 2014

La scuola corrotta nel paese guasto Sedicesimo capitolo. Terza parte



I quattro budini gelati ammolliti con la fiamma bluastra del gas. La telefonata pomeridiana. Di mia volontà, di mia volontà l'ho fatto, non lo negherò. Il bambino caduto nel pozzo. 

Arrivai a Bologna verso l'una. Quando fui entrato nella cucina sconvolta, tirai fuori dal congelatore quattro budini di cioccolata, duri e pesanti come mattoni. Li ammorbidii uno per uno con la fiamma bluastra del gas, poi li mangiai con avidità angosciosa rabbrividendo e allegandomi i denti.
La mattina seguente andai a scuola pieno di sonno e di angoscia. Con gli allievi i cui volti mi rinfrancarono un poco, provai la mezza lezione che avevo già preparato per la maturità del fratello di Ifigenia. Doveva essere fatta bene poiché suscitò l'interesse dei agazzini che presero appunti, nonostante la scuola fosse quasi finita; anzi, io non lo sapevo, ma questa fu l'ultima lezione al Binghetti dopo cinque anni: due di liceo, quando lei era supplente ginnasio, e tre di ginnasio quando Ifigenia  faceva qualche supplenza al liceo.
Alle undici, durante l'intervallo, una ragazzina mi domandò: "Professore, vorrei sapere se lei è felice".
"Tu che cosa pensi?" Risposi con un'altra domanda, meravigliato, ma non troppo, dalla sua.
"Io credo di no" fece l'adolescente con leggero imbarazzo.
"E' vero – ammisi - in questo periodo non lo sono. Vivo, come molti credo, in situazioni oscure e contorte, mentre ci sarebbe bisogno di chiarezza e dirittura, prima di tutto morale. Comunque mi rifarò, poiché mi piace la vita, e io stesso non mi dispiaccio del tutto".
Alle due telefonò Ifigenia. Disse: "Ciao Gianni, mi sei mancato, mi manchi. Quando vieni? Vieni presto! Ti aspetto".
Sembrava uno dei nostri messaggi canonici e artificiali, o per lo meno carichi di nervosismo e insicurezza. Non potevo andare presto a Riccione: dovevo preparare le valutazioni da consegnare in segreteria lunedì e completare la lezione per il suo prossimo esame di recitazione. Inoltre volevo andare al campo sportivo per mettere alla prova le mie forze fisiche che sembravano stanche: non riuscivo a correre i 5000 metri in meno di venti minuti. Così, per essere sicuro di avere il tempo necessario a compiere le tre cose che dovevo a me stesso, e anche per dare a lei l'occasione di effettuare le sue con agio, e senza di me, ma soprattutto perché era predestinato ab aeterno che la nostra storia d'amore finisse in malo modo e quella notte, risposi: "Arrivo verso le undici: oggi devo lavorare fino alle nove, se voglio tenermi liberi il sabato e la domenica".
Ifigenia provò a protestare: "Così tardi? Vieni prima, amore: ti ho detto che mi manchi e che ti amo tanto".
"Anche tu mi manchi tanto, ma oggi pomeriggio ho da fare. Così abbiamo tutto il tempo per i nostri impegni. Tu potrai seguire spettacoli e conferenze. Anzi, guarda, per non spezzarti il dopocena, arrivo addirittura verso mezzanotte".

Sapevo bene che in questo modo le davo altre occasioni di fare quello che avrebbe fatto; sapevo che più rimaneva sola, più era esposta al rischio di andare a letto con uno dei personaggi del Grand Hotel i quali le avrebbero chiesto il godimento del suo corpo giovane e bello in cambio di una promessa di introduzione nel mondo dello spettacolo. E sapevo che c'era l'attore famoso, incline a fare tali proposte di scambio alle ragazze avide di notorietà; infine sapevo che lui per lei era una specie di mito fin dall'infanzia. Tutto questo mi era chiaro allora come adesso, e l'avevo messo in conto quando le dissi che sarei arrivato tanto tardi a Riccione. Volevo correre il rischio, e anche farglielo correre. Quoque pronior esset in vitia sua [1].
Del resto la ragazza, se valeva qualche cosa, se voleva entrare in quel mondo con dignità e decoro, a letto con il primo famoso che glielo chiedeva senza conoscerla, non doveva andarci; altrimenti sarebbe diventata una cosa da gettare via subito dopo. Da parte mia non è stata una svista il compimento del nostro destino. Io l'ho voluto. Amor fati è la mia intima natura, non solo quella di Nietzsche[2].
E' stata una scelta, una provocazione intelligente arrivare tardi. Era ora che Ifigenia dopo tanto sesso, commedie, bacini, dopo tanti "mi manchi" e "ti amo", mi desse qualche cosa di autentico, di morale, di veramente suo: impegno, sacrificio, fedeltà, non in astratto, ma quando aveva occasione di romperla con chi la attirava, la lusingava, la emozionava. Ma in realtà mi aveva già dato tutto il meglio di sé, e altro, poveretta, proprio non aveva da offrirmi.
Quel pomeriggio remoto presi una decisione che adesso, dopo tanti anni, prenderei un'altra volta. Non ne sono pentito: "eJkw;n eJkw;n h}marton, oujk ajrnhvsomai[3].

La catastrofe che dieci ore più tardi segnerà la fine del nostro rapporto, mi ha inflitto uno dei grandi dolori della mia vita mortale, però nello stesso tempo mi ha messo alla prova, mi ha allenato, ha suscitato e corroborato tutte le mie capacità di resistenza e reazione alle peggiori avversità, mi ha dato l'opportunità di conoscere meglio me stesso, e la spinta definitiva a scrivere questo romanzo con il sacrificio di una grande porzione[4] di questo passaggio rapido qui sulla terra. Se è vero che le difficoltà ripide, impervie, temprano la virtù, come la fatica i muscoli, l’ascesa che sto per raccontare , è una montagna difficile quanto o Stelvio, il Pordoi, il Parnaso nevoso di Sofocle[5], L'Ossa, l'Olimpo e i Pelio dalle foglie agitate di Omero[6], più la bruna montagna del Purgatorio dantesco messi uno sull'altro. E con il vento contrario, ma forte. Più i 5000 metri a piedi, ripetuti dieci volte di seguito, sotto la grandine.
Al fine di superare il senso di frustrazione provato quella notte famosa, ho dovuto decidere di chiudermi in casa per anni tutti interi, per decine di stagioni che portano tutto, e tutto portano via, e scrivere: impiegare ogni energia, la mia cultura, i ricordi, i sentimenti, al servizio del riscatto, della rivalsa costituita da un grande romanzo che mi avrebbe dato una fama perenne: certo più duratura di quella dell'attore gradasso che fra vent'anni sarà morto anche nella memoria dei figli di quanti oggi applaudono le sue esibizioni enfatiche e rumorose. Ma questo intento iniziale non sarebbe bastato da solo a farmi scegliere lustri di sacrifici, di rinunce ai piaceri e alle distrazioni della vita esterna. Ci voleva un altro scopo più alto, più generoso: l'educazione di quanti mi avrebbero letto. Questo l'ho trovato scrivendo. Adesso che l'attore e Ifigenia sono morti, io sono grato a entrambi di quella notte. Talora li ricordo nelle preghiere: “lucem aeternam dona eis Domine”.

Dopo la corsa svigorita, tornai a casa depresso, mi lavai, e, mentre mi asciugavo, accesi il televisore. Sentii che un bambino, Alfredo, era caduto in un pozzo profondo da diverse ore, ma era vivo, anzi parlava e stava bene. I pompieri lo avrebbero tirato fuori presto.
La notizia mi fece una brutta impressione, eppure non dubitai che l'avrebbero salvato come assicurava il giornalista. Sembrava cosa già quasi fatta. Studiai: rilessi le Olintiache per fare più bella la lezione a Ifigenia. Demostene esorta gli Ateniesi a ritrovare lo spirito di sacrificio smarrito. Alle dieci partii per andare da lei: dovevo incontrarla due ore più tardi sulla terrazza del cupo giardino ghiaioso del Grand Hotel.

Giovanni ghiselli

P. S.
Oggi, 28 marzo, alle 18,30 parlerò della tragedia greca nella biblioteca Scandellara di Bologna


[1] Cfr. Livio, Storie, 22, 3. Affinché assecondasse di più i propri difetti. Annibale provoca il console Flaminio, ferox a consulatu priore, già spavaldo dal suo precedente consolato.
[2] F. Nietzsche: “Amor fati, das ist meine innerste Natur”, Ecce homo.
[3] Eschilo, Prometeo incatenato, 265m    di mia volontà, di mia volontà ho trasgredito, non lo negherò. La trasgressione è relativa al comportamento usuale di controllare l'amante per impedire probabili tradimenti o abbandoni. Penso che non ne valga la pena, e comunque non sia possibile: “Lei voleva andare. Ecco perché. Donna. Tanto vale fermare il mare" (J. Joyce, Ulisse, p. 372).
[4] Cfr. Tacito, Agricola, 3: "per quindecim annos, grande mortalis aevi spatium", per quindici anni, grande porzione di una vita mortale.
[5] Cfr. Edipo re, v. 475.
[6] Cfr. Odissea, XI, 315-316.

giovedì 27 marzo 2014

Ottava antologia del mio Twitter



Twitter 26 marzo

Tiberio si serviva di formule antiche per nascondere scelleratezze recenti : “Proprium id Tiberio fuit scelera nuper reperta priscis verbis obtegere” ( Tacito, Annales, 4, 19)
Le scelleratezze antiche e recenti compiute da mafia e politica sono ancora coperte dal segreto di Stato

 Tiberio ha finito col sollecitare e promuovere la più spietata applicazione della lex maiestatis: “ Nam legem maiestatis reduxerat ( Tiberio, Annales, I, 72). Anche oggi ci sono personaggi, ambienti e situazioni che la critica non può toccare. 

tam diu paupertas  vincitur [1] è da tanto che, a detta dei politici, la povertà è debellata.

La gente applaude ai funerali per abitudine oramai consolidata, senza alcuna riflessione né motivazione se non quella della scimmia che imita.
Tifano per il defunto, come a una  partita di pallone.

Renzi e Grillo sono colti dall'euforia davanti all'abisso: come il coro in 4 tragedie di Sofocle (Edipo re, Antigone, Aiace, Trachinie)

Con il voto ci saranno la "peripezia" - peripèteia - e il "riconoscimento" – anagnòrisis - della tragedia: allora si aprirà il settimo sigillo

Alle prossime elezioni vedremo quanto consenso hanno le dramatis personae: con il voto eripitur persona, manet res, si strappa la maschera, rimane la sostanza

Sia Renzi sia Grillo hanno reso protagonista il parlare, la loro parola, mentre il fare è solo il servo di scena. Infatti ignoriamo che cosa sanno fare.

Renzi vuole essere rassicurante, come Apollo; Grillo inquietante come Dioniso. Insieme rappresentano la tragedia italiana.

Grillo ha portato sulla scena l'uomo politico rivelandolo come scaltro, intrigante, quale homunculus callidus ossia incallito nella menzogna

Renzi deve guardarsi dalla infinitudine (Unendlichkeit) dei suoi discorsi e delle sue promesse. Il pensier suo, e il nostro,  potrebbe annegare in quella immensità di parole.

Casini e Galletti, il suo palafreniere al governo sono cultori del senso comune. Il senso comune è sempre reazionario

L'insoddisfazione del ferroviere Moretti rappresenta il mostruoso (tò teratòdes) nella tragedia italiana, Landini lo spavenoso (tò foberòn)

La satira di Vauro rovescia i luoghi comuni, come fa la metafora nel linguaggio. Sono bombe atomiche mentali

La presunzione del ferroviere milionario è tragica e pure ridicola per la fiducia nei confronti della propria maschera che nasconde un uomo avido e incapace.
Si parla e straparla di dare più soldi alle famiglie. Nemmeno nominano i singoli che si avviano a diventare la maggioranza. Perfetta imbecillità dei politici
Sulla scuola: gli insegnanti devono conoscere molti libri e non poca vita per essere educatori.
Renzi è un giovanotto variopinto (poikìlos) come l'arcobaleno. Nella poikilìa ci sono i colori, ma c'è anche confusione e indistinzione
Navi treni aerei banche funzionano male e funzioneranno sempre peggio se non si ripristinerà la scuola con l'educazione a verità e giustizia
Caro Renzi, se parli con l'ambizione e senza la carità sei solo os sonans, una bocca che suona e non suona bene
L'adorazione del profitto involgarisce e inferocisce le persone. Chiedono l'utile e rendono la vita sempre più inutile
La democrazia è associata alla diversità. Io sono diverso dai più e non credo a priori che tutti i vecchi siano peggiori di tutti i giovani

Né credo che ogni donna sia migliore di ogni uomo. Ci sono pessime e ottime persone tra i vecchi e le vecchie tra le giovani e i giovani.
Per oggi basta

giovanni ghiselli


[1] Cfr. Tacito, Germania, 37

mercoledì 26 marzo 2014

La scuola corrotta nel paese guasto Sedicesimo capitolo. Seconda parte


Gli affaccendati  oziosi. L'annunzio di futuro danno.  Non si deve recalcitrare al destino. La voglia simulata e la preoccupazione reale. L'ingratitudine palese.

Nel giardino semibuio c'erano altre rappresentazioni poco seguite. Tra fiochi fasci di luce andavano e venivano alcune persone. Mi tornò in mente l'affaccendarsi di quelli che bazzicavano il festival del Cinema Nuovo di Pesaro negli anni Sessanta. Chi voleva farsi credere addetto ai lavori, accreditato, inserito, si aggirava fra il Teatro sperimentale dove proiettavano i film, il bar Capobianchi e la sala stampa, sempre tenendo sottobraccio fasci di giornali e riviste specializzate. Costoro si mostravano attivi; ogni tanto si avvicinavano a qualche personaggio e lo salutavano chiamandolo per nome. Il famoso non rispondeva, o rispondeva appena. Ma gli indaffarati oziosi, se ricevevano anche solo un cenno del nume, esultavano, poiché avevano fatto la parte di quelli che conoscono chi conta, e contano a loro volta qualcosa. Negli anni Ottanta questo culto dell'apparenza e dell'intrallazzo stava crescendo in maniera ipertrofica. I più si recavano in tali ambienti non per imparare, ma per curiosare, cercare incontri utili o piacevoli. Ci andavano e ci si fermavano apposta.
Ifigenia, se voleva, poteva riuscire piacevole a uno che le sarebbe stato utile, se avesse ritenuto quel piacere degno di iterazione e meritevole di contraccambio. A me quel mondo appariva senza cuore e senza spirito. Perciò pensavo che la mia donna, giovane e bella com'era, se fosse stata anche disposta a compiacere chi veramente contava, e lo avesse fatto con intelligenza machiavellica, ossia senza morale, ma con la comprensione reale di quanto le conveniva, si sarebbe trovata in vantaggio rispetto alle persone meno dotate di lei, eppure ugualmente bramose di inserirsi in quel giro spietato. Già presoffrivo la fine della nostra storia. Del resto sapevo che i dolori possono essere occasioni per la virtù, e non recalcitravo al destino.

Poco prima di mezzanotte, Ifigenia si ricordò di me: venne a cercarmi, e, come mi vide, si accorse che non ero a mio agio. Avvicinatasi, disse: "Non avere paura. Io ti amo tanto, ma ora devo stare con i miei compagni della scuola di recitazione. Lo capisci, vero?"
"Certo. Anzi adesso torno a Bologna, perché domani devo alzarmi alle sette".
"Non ce l'hai con me, vero Gianni?" Chiese ancora. Poi ripetè: "Non avere paura: io ti amo, ti amo tanto, e voglio stare con te".
“No, non ce l'ho con te creatura - risposi. “Sono solo stanco: è da _______________________________________________________________________________________________________________________________questa mattina presto che sto in piedi. Voglio tornare a casa, andare a dormire. Poi qui in effetti non ho niente da fare. Tu sì.
Restaci e non temere: io mi fido di te, ti amo e ti voglio bene”.
Non volevo darle pretesti per odiarmi. Tuttavia osai rivolgerle una domanda rischiosa, per chi la pone, in circostanze del genere a una donna del genere.
"Domani che cosa farai?"
"La mattina andrò in spiaggia per abbronzarmi, nel pomeriggio tornerò qui per vedere se ci sono lavori interessanti, per ascoltare qualche esperto che fa lezione. A proposito, mi hanno detto che
domani dovrebbe venire a parlare l'attore famoso".
Questa notizia inopinata, tuttavia non mi sgomentò né mi diede fastidio; anzi pensai che il celebre istrione avrebbe portato se non altro una nota di mondana vivacità tra quei giovani  arrivisti e provinciali. E Ifigenia avrebbe avuto qualche cosa da raccontarmi. Ma forse in cuor mio desideravo che sarebbe accaduto quanto doveva accadere. Sentivo che la catastrofe era destino e sapevo che recalcitrare al destino è un errore. La fine tra noi era inevitabile e imminente, ma avvenendo in maniera tragica, non con un piagnisteo, ma con uno scoppio[1], e per mezzo di quell' uomo fatale, preannunciato due anni e mezzo prima, sia da uccelli profetici sia da altri presagi, sarebbe stata anche drammatica o romanzesca, comunque adatta a provocare, per reazione, la nascita dell'opera letteraria che pensavo di dovere a me stesso e all'umanità.
D'altra parte Ifigenia aveva appena affermato che voleva stare con me. E quando aveva voluto piantarmi, il 15 marzo, lo aveva detto direttamente e tosto fatto, lasciandomi solo nello studio che
biancheggiava di luna primaverile.

La notte dell'11 giugno invece disse: "Ti telefono domani alle due. Ci mettiamo d'accordo sull'ora. Tu verrai qua, prenderemo una camera, faremo l'amore tante volte, dormiremo un poco, e dopo domani andremo a Pesaro. Domenica sera torneremo a Bologna, e lunedì mi farai lezione su Demostene. Va bene?"
"Sì creatura, faremo l'amore, andremo al mare di Pesaro, poi ti farò lezione su Demostene e i tre generi dell'oratoria", risposi.
" Davvero ti va il mio programma?" ripeté con un ammiccamento che voleva simulare la voglia erotica  e dissimulare la preoccupazione reale: quella che suo fratello non  superasse l'esame di maturità classica cui era stato ammesso con grande stento in una scuola privata.
"Sì, certo" ribadii, ma poi, non volendo nascondere tutta la diffidenza insorta davanti al desiderio troppo ostentato di stare con me, aggiunsi: "A me va benissimo; tu piuttosto non fare complimenti: domani, se vedi o prevedi di avere qualche impegno che non mi riguarda, dimmelo chiaramente al telefono. Capirò: io quando ho del lavoro da fare, non ammetto distrazioni. Non mi sentirò offeso se dirai di non avere tempo per me. Invece mi spiacerebbe venire qua per niente. Tanto più che domani pomeriggio dovrò preparare lo scrutinio".
"Va bene - fece -, restiamo d'accordo così". Poi aggiunse: "Ti dispiace se non ti accompagno alla macchina? I miei amici mi aspettano".
La bianca Volkwagen era parcheggiata sul lungomare davanti al Grand Hotel, a cento metri dal luogo dove stavamo parlando. Questo egoismo ingrato, volgare, mi disturbò, e glielo dissi: "Se
hai fretta vai pure, ma non mi sembra cosa ben fatta, né di buon gusto, visto che ti ho portata qui da Bologna, non accompagnarmi all'auto parcheggiata a due passi. Mi dispiace rinfacciartelo, ma tu mi costringi".
"Hai ragione, scusa" rispose, contrariata a sua volta, e mi seguì fino all'automobile, di malavoglia. Non vedeva l'ora che mi togliessi dai piedi. A quel punto anche io volevo restare solo per non vedere più la faccia, divenuta odiosa, della spudorata egoista con la quale avevo vissuto l'amore più grande della mia vita.
Mentre mi seguiva con riluttanza, Ifigenia aveva il volto teso, cupo, e nello stesso tempo acceso da un'ira che mandava bagliori sinistri; come se le si riverberasse in faccia il fosco bagliore di un fuoco infernale, violento, distruttivo e inarrestabile. L'aveva contrariata assai essere stata scoperta e sgridata subito dopo la commedia di benevolenza recitata da cane. Insomma era un pessimo segno per la sua capacità e carriera di attrice. Ci salutammo senza dire altro.

giovanni ghiselli

P. S
Venerdì 28 marzo, alle 18, 30 terrò una conferenza sui Significati della tragedia greca nella biblioteca Scandellara di Bologna


[1] "Not with a bang but a whimper", T. S. Eliot, The hollow man, ultimo verso

La gita “scolastica” a Eger. Prima parte. Silvia e i disegni di una bambina.

  Sabato 4 agosto andammo   tutti a Eger, famosa per avere respinto un assalto dei Turchi e per i suoi vini: l’ Egri bikavér , il sangue ...