I quattro budini gelati ammolliti con la
fiamma bluastra del gas. La telefonata pomeridiana. Di mia volontà, di mia
volontà l'ho fatto, non lo negherò. Il bambino caduto nel pozzo.
Arrivai a Bologna
verso l'una. Quando fui entrato nella cucina sconvolta, tirai fuori dal
congelatore quattro budini di cioccolata, duri e pesanti come mattoni. Li
ammorbidii uno per uno con la fiamma bluastra del gas, poi li mangiai con
avidità angosciosa rabbrividendo e allegandomi i denti.
La mattina
seguente andai a scuola pieno di sonno e di angoscia. Con gli allievi i cui
volti mi rinfrancarono un poco, provai la mezza lezione che avevo già
preparato per la maturità del fratello di Ifigenia. Doveva essere fatta bene
poiché suscitò l'interesse dei agazzini che presero appunti, nonostante la
scuola fosse quasi finita; anzi, io non lo sapevo, ma questa fu l'ultima
lezione al Binghetti dopo cinque anni: due di liceo, quando lei era supplente
ginnasio, e tre di ginnasio quando Ifigenia
faceva qualche supplenza al liceo.
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Alle undici,
durante l'intervallo, una ragazzina mi domandò: "Professore, vorrei
sapere se lei è felice".
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"Tu che cosa
pensi?" Risposi con un'altra domanda, meravigliato, ma non troppo, dalla
sua.
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"Io credo di
no" fece l'adolescente con leggero imbarazzo.
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"E' vero – ammisi
- in questo periodo non lo sono. Vivo, come molti credo, in situazioni oscure
e contorte, mentre ci sarebbe bisogno di chiarezza e dirittura, prima di
tutto morale. Comunque mi rifarò, poiché mi piace la vita, e io stesso non mi
dispiaccio del tutto".
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Alle due telefonò
Ifigenia. Disse: "Ciao Gianni, mi sei mancato, mi manchi. Quando vieni?
Vieni presto! Ti aspetto".
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Sembrava uno dei
nostri messaggi canonici e artificiali, o per lo meno carichi di nervosismo e
insicurezza. Non potevo andare presto a Riccione: dovevo preparare le
valutazioni da consegnare in segreteria lunedì e completare la lezione per il
suo prossimo esame di recitazione. Inoltre volevo andare al campo sportivo
per mettere alla prova le mie forze fisiche che sembravano stanche: non
riuscivo a correre i 5000 metri in meno di venti minuti. Così, per essere
sicuro di avere il tempo necessario a compiere le tre cose che dovevo a me
stesso, e anche per dare a lei l'occasione di effettuare le sue con agio, e
senza di me, ma soprattutto perché era predestinato ab aeterno che la
nostra storia d'amore finisse in malo modo e quella notte, risposi: "Arrivo
verso le undici: oggi devo lavorare fino alle nove, se voglio tenermi liberi
il sabato e la domenica".
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Ifigenia provò a
protestare: "Così tardi? Vieni prima, amore: ti ho detto che mi manchi e
che ti amo tanto".
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"Anche tu mi
manchi tanto, ma oggi pomeriggio ho da fare. Così abbiamo tutto il tempo per
i nostri impegni. Tu potrai seguire spettacoli e conferenze. Anzi, guarda,
per non spezzarti il dopocena, arrivo addirittura verso mezzanotte".
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Sapevo bene che
in questo modo le davo altre occasioni di fare quello che avrebbe fatto;
sapevo che più rimaneva sola, più era esposta al rischio di andare a letto
con uno dei personaggi del Grand Hotel i quali le avrebbero chiesto il
godimento del suo corpo giovane e bello in cambio di una promessa di
introduzione nel mondo dello spettacolo.
E sapevo che c'era l'attore famoso, incline a fare tali proposte di scambio
alle ragazze avide di notorietà; infine sapevo che lui per lei era una
specie di mito fin dall'infanzia. Tutto
questo mi era chiaro allora come adesso, e l'avevo messo in conto
quando le dissi che sarei arrivato tanto tardi a Riccione. Volevo correre il
rischio, e anche farglielo correre. Quoque pronior esset in vitia sua [1].
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Del resto la
ragazza, se valeva qualche cosa, se voleva entrare in quel mondo con dignità
e decoro, a letto con il primo famoso che glielo chiedeva senza conoscerla,
non doveva andarci; altrimenti sarebbe diventata una cosa da gettare via
subito dopo. Da parte mia non è stata una svista il compimento del nostro
destino. Io l'ho voluto. Amor fati è la mia intima natura, non solo
quella di Nietzsche[2].
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E' stata una
scelta, una provocazione intelligente arrivare tardi. Era ora che Ifigenia
dopo tanto sesso, commedie, bacini, dopo tanti "mi manchi" e
"ti amo", mi desse qualche cosa di autentico, di morale, di
veramente suo: impegno, sacrificio, fedeltà, non in astratto, ma quando aveva
occasione di romperla con chi la attirava,
la lusingava, la emozionava. Ma in realtà mi aveva già dato tutto il meglio
di sé, e altro, poveretta, proprio non aveva da offrirmi.
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Quel pomeriggio
remoto presi una decisione che adesso, dopo tanti anni, prenderei un'altra
volta. Non ne sono pentito: "eJkw;n eJkw;n
h}marton, oujk ajrnhvsomai”[3].
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La catastrofe che
dieci ore più tardi segnerà la fine del nostro rapporto, mi ha inflitto uno
dei grandi dolori della mia vita mortale, però nello stesso tempo mi ha messo
alla prova, mi ha allenato, ha suscitato e corroborato tutte le mie capacità
di resistenza e reazione alle peggiori avversità, mi ha dato l'opportunità di
conoscere meglio me stesso, e la spinta definitiva a scrivere questo romanzo
con il sacrificio di una grande porzione[4]
di questo passaggio rapido qui sulla terra. Se è vero che le difficoltà
ripide, impervie, temprano la virtù, come la fatica i muscoli, l’ascesa che sto
per raccontare , è una montagna difficile quanto o Stelvio, il Pordoi, il
Parnaso nevoso di Sofocle[5],
L'Ossa, l'Olimpo e i Pelio dalle foglie agitate di Omero[6],
più la bruna montagna del Purgatorio dantesco messi uno sull'altro. E con il vento
contrario, ma forte. Più i 5000
metri a piedi, ripetuti dieci volte di seguito, sotto
la grandine.
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Al fine di
superare il senso di frustrazione provato quella notte famosa, ho dovuto
decidere di chiudermi in casa per anni tutti interi, per decine di stagioni
che portano tutto, e tutto portano via, e scrivere: impiegare ogni energia,
la mia cultura, i ricordi, i sentimenti, al servizio del riscatto, della
rivalsa costituita da un grande romanzo che mi avrebbe dato una fama perenne:
certo più duratura di quella dell'attore gradasso che fra vent'anni sarà
morto anche nella memoria dei figli di quanti oggi applaudono le sue
esibizioni enfatiche
e rumorose. Ma questo intento iniziale non sarebbe bastato da solo a farmi
scegliere lustri di sacrifici, di rinunce ai piaceri e alle distrazioni della
vita esterna. Ci voleva un altro scopo più alto, più generoso: l'educazione
di quanti mi avrebbero letto. Questo l'ho trovato scrivendo. Adesso che
l'attore e Ifigenia sono morti, io sono grato a entrambi di quella notte.
Talora li ricordo nelle preghiere: “lucem
aeternam dona eis Domine”.
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Dopo la corsa
svigorita, tornai a casa depresso, mi lavai, e, mentre mi asciugavo, accesi
il televisore. Sentii che un bambino, Alfredo, era caduto in un pozzo
profondo da diverse ore, ma era vivo, anzi parlava e stava bene. I pompieri
lo avrebbero tirato fuori presto.
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La notizia mi fece
una brutta impressione, eppure non dubitai che l'avrebbero salvato come
assicurava il giornalista. Sembrava cosa già quasi fatta. Studiai: rilessi le
Olintiache per fare più bella la lezione a Ifigenia. Demostene esorta
gli Ateniesi a ritrovare lo spirito di sacrificio smarrito. Alle dieci partii
per andare da lei: dovevo incontrarla due ore più tardi sulla terrazza del
cupo giardino ghiaioso del Grand Hotel.
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Giovanni ghiselli
P. S.
Oggi, 28 marzo, alle 18,30 parlerò della tragedia greca
nella biblioteca Scandellara di Bologna
[1] Cfr.
Livio, Storie, 22, 3. Affinché assecondasse di più i propri difetti.
Annibale provoca il console Flaminio, ferox a consulatu priore, già
spavaldo dal suo precedente consolato.
[2] F.
Nietzsche: “Amor fati, das ist meine innerste Natur”, Ecce homo.
[3] Eschilo, Prometeo incatenato, 265m di mia volontà,
di mia volontà ho trasgredito, non lo negherò. La trasgressione è relativa al
comportamento usuale di controllare l'amante per impedire probabili
tradimenti o abbandoni. Penso che non ne valga la pena, e comunque non sia
possibile: “Lei voleva andare. Ecco perché. Donna. Tanto vale fermare il
mare" (J. Joyce, Ulisse, p. 372).
[4] Cfr.
Tacito, Agricola, 3: "per
quindecim annos, grande mortalis aevi spatium", per quindici anni,
grande porzione di una vita mortale.
[5] Cfr.
Edipo re, v. 475.
[6] Cfr.
Odissea, XI, 315-316.
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