NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

Ciclo di incontri alla biblioteca «Ginzburg». Protagonisti della storia antica

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mercoledì 26 marzo 2014

La scuola corrotta nel paese guasto Sedicesimo capitolo. Seconda parte


Gli affaccendati  oziosi. L'annunzio di futuro danno.  Non si deve recalcitrare al destino. La voglia simulata e la preoccupazione reale. L'ingratitudine palese.

Nel giardino semibuio c'erano altre rappresentazioni poco seguite. Tra fiochi fasci di luce andavano e venivano alcune persone. Mi tornò in mente l'affaccendarsi di quelli che bazzicavano il festival del Cinema Nuovo di Pesaro negli anni Sessanta. Chi voleva farsi credere addetto ai lavori, accreditato, inserito, si aggirava fra il Teatro sperimentale dove proiettavano i film, il bar Capobianchi e la sala stampa, sempre tenendo sottobraccio fasci di giornali e riviste specializzate. Costoro si mostravano attivi; ogni tanto si avvicinavano a qualche personaggio e lo salutavano chiamandolo per nome. Il famoso non rispondeva, o rispondeva appena. Ma gli indaffarati oziosi, se ricevevano anche solo un cenno del nume, esultavano, poiché avevano fatto la parte di quelli che conoscono chi conta, e contano a loro volta qualcosa. Negli anni Ottanta questo culto dell'apparenza e dell'intrallazzo stava crescendo in maniera ipertrofica. I più si recavano in tali ambienti non per imparare, ma per curiosare, cercare incontri utili o piacevoli. Ci andavano e ci si fermavano apposta.
Ifigenia, se voleva, poteva riuscire piacevole a uno che le sarebbe stato utile, se avesse ritenuto quel piacere degno di iterazione e meritevole di contraccambio. A me quel mondo appariva senza cuore e senza spirito. Perciò pensavo che la mia donna, giovane e bella com'era, se fosse stata anche disposta a compiacere chi veramente contava, e lo avesse fatto con intelligenza machiavellica, ossia senza morale, ma con la comprensione reale di quanto le conveniva, si sarebbe trovata in vantaggio rispetto alle persone meno dotate di lei, eppure ugualmente bramose di inserirsi in quel giro spietato. Già presoffrivo la fine della nostra storia. Del resto sapevo che i dolori possono essere occasioni per la virtù, e non recalcitravo al destino.

Poco prima di mezzanotte, Ifigenia si ricordò di me: venne a cercarmi, e, come mi vide, si accorse che non ero a mio agio. Avvicinatasi, disse: "Non avere paura. Io ti amo tanto, ma ora devo stare con i miei compagni della scuola di recitazione. Lo capisci, vero?"
"Certo. Anzi adesso torno a Bologna, perché domani devo alzarmi alle sette".
"Non ce l'hai con me, vero Gianni?" Chiese ancora. Poi ripetè: "Non avere paura: io ti amo, ti amo tanto, e voglio stare con te".
“No, non ce l'ho con te creatura - risposi. “Sono solo stanco: è da _______________________________________________________________________________________________________________________________questa mattina presto che sto in piedi. Voglio tornare a casa, andare a dormire. Poi qui in effetti non ho niente da fare. Tu sì.
Restaci e non temere: io mi fido di te, ti amo e ti voglio bene”.
Non volevo darle pretesti per odiarmi. Tuttavia osai rivolgerle una domanda rischiosa, per chi la pone, in circostanze del genere a una donna del genere.
"Domani che cosa farai?"
"La mattina andrò in spiaggia per abbronzarmi, nel pomeriggio tornerò qui per vedere se ci sono lavori interessanti, per ascoltare qualche esperto che fa lezione. A proposito, mi hanno detto che
domani dovrebbe venire a parlare l'attore famoso".
Questa notizia inopinata, tuttavia non mi sgomentò né mi diede fastidio; anzi pensai che il celebre istrione avrebbe portato se non altro una nota di mondana vivacità tra quei giovani  arrivisti e provinciali. E Ifigenia avrebbe avuto qualche cosa da raccontarmi. Ma forse in cuor mio desideravo che sarebbe accaduto quanto doveva accadere. Sentivo che la catastrofe era destino e sapevo che recalcitrare al destino è un errore. La fine tra noi era inevitabile e imminente, ma avvenendo in maniera tragica, non con un piagnisteo, ma con uno scoppio[1], e per mezzo di quell' uomo fatale, preannunciato due anni e mezzo prima, sia da uccelli profetici sia da altri presagi, sarebbe stata anche drammatica o romanzesca, comunque adatta a provocare, per reazione, la nascita dell'opera letteraria che pensavo di dovere a me stesso e all'umanità.
D'altra parte Ifigenia aveva appena affermato che voleva stare con me. E quando aveva voluto piantarmi, il 15 marzo, lo aveva detto direttamente e tosto fatto, lasciandomi solo nello studio che
biancheggiava di luna primaverile.

La notte dell'11 giugno invece disse: "Ti telefono domani alle due. Ci mettiamo d'accordo sull'ora. Tu verrai qua, prenderemo una camera, faremo l'amore tante volte, dormiremo un poco, e dopo domani andremo a Pesaro. Domenica sera torneremo a Bologna, e lunedì mi farai lezione su Demostene. Va bene?"
"Sì creatura, faremo l'amore, andremo al mare di Pesaro, poi ti farò lezione su Demostene e i tre generi dell'oratoria", risposi.
" Davvero ti va il mio programma?" ripeté con un ammiccamento che voleva simulare la voglia erotica  e dissimulare la preoccupazione reale: quella che suo fratello non  superasse l'esame di maturità classica cui era stato ammesso con grande stento in una scuola privata.
"Sì, certo" ribadii, ma poi, non volendo nascondere tutta la diffidenza insorta davanti al desiderio troppo ostentato di stare con me, aggiunsi: "A me va benissimo; tu piuttosto non fare complimenti: domani, se vedi o prevedi di avere qualche impegno che non mi riguarda, dimmelo chiaramente al telefono. Capirò: io quando ho del lavoro da fare, non ammetto distrazioni. Non mi sentirò offeso se dirai di non avere tempo per me. Invece mi spiacerebbe venire qua per niente. Tanto più che domani pomeriggio dovrò preparare lo scrutinio".
"Va bene - fece -, restiamo d'accordo così". Poi aggiunse: "Ti dispiace se non ti accompagno alla macchina? I miei amici mi aspettano".
La bianca Volkwagen era parcheggiata sul lungomare davanti al Grand Hotel, a cento metri dal luogo dove stavamo parlando. Questo egoismo ingrato, volgare, mi disturbò, e glielo dissi: "Se
hai fretta vai pure, ma non mi sembra cosa ben fatta, né di buon gusto, visto che ti ho portata qui da Bologna, non accompagnarmi all'auto parcheggiata a due passi. Mi dispiace rinfacciartelo, ma tu mi costringi".
"Hai ragione, scusa" rispose, contrariata a sua volta, e mi seguì fino all'automobile, di malavoglia. Non vedeva l'ora che mi togliessi dai piedi. A quel punto anche io volevo restare solo per non vedere più la faccia, divenuta odiosa, della spudorata egoista con la quale avevo vissuto l'amore più grande della mia vita.
Mentre mi seguiva con riluttanza, Ifigenia aveva il volto teso, cupo, e nello stesso tempo acceso da un'ira che mandava bagliori sinistri; come se le si riverberasse in faccia il fosco bagliore di un fuoco infernale, violento, distruttivo e inarrestabile. L'aveva contrariata assai essere stata scoperta e sgridata subito dopo la commedia di benevolenza recitata da cane. Insomma era un pessimo segno per la sua capacità e carriera di attrice. Ci salutammo senza dire altro.

giovanni ghiselli

P. S
Venerdì 28 marzo, alle 18, 30 terrò una conferenza sui Significati della tragedia greca nella biblioteca Scandellara di Bologna


[1] "Not with a bang but a whimper", T. S. Eliot, The hollow man, ultimo verso

1 commento:

  1. la fine di un grande amore è sempre struggente e non può avvenire sottovoce , mi piace molto come percorri lo sviluppo psicologico della storia....se non diventavi il migliore dei grecisti potevi essere un grande psicanalista...ti ammiro molto..Gio..

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