Battaglin di
Marostica vince il giro ciclistico
d’Italia. La lezione bolsa sui pastori frolli e agghindati di Teocrito.
Il luna park. Le strette fessure mongoliche. Le ingiurie e il pianto. Il
carnefice e la vittima.
Il sette giugno è
l'ultimo giorno nel quale scrissi qualche riga di appunti prima della
catastrofe conclusiva. Era domenica. Ero stanco. Terminava il giro d'Italia,
vinto da Giovanni Battaglin di Marostica.
Ricordai Carmignano di Brenta e la gara mancata con il campione. Rimpiangevo
il vigore e le illusioni dei venticinque anni. Sentivo un vuoto interno dove
temevo di inabissarmi.
Dovevo
incoraggiarmi dicendomi che presto di lì sarebbero venuti fuori valori più
forti di quell' amore che stava cadendo. Finita la trasmissione sull'ultima
tappa, telefonai a Ifigenia.
"Cosa pensi
che potremo fare in futuro noi due?" le chiesi.
"Riguardo al futuro
remoto, non so cosa dirti; - rispose - ora io penso a preparare l'esame per
uscire da quel letamaio. Dopo vedremo. Cosa ci prepara il destino, non
possiamo saperlo. Questa sera intanto vengo da te per farmi spiegare
Teocrito. Dovrò recitare la parte di Gorgò nelle Siracusane"
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"Ho capito.
Ti aspetto alle otto" conclusi. Voleva sfruttarmi. Le feci una lezione
lunga ma bolsa. I pastori del poeta bucolico sono agghindati. La mia lezione
fu fiacca, ma Ifigenia la trovò ben fatta e utile molto. A me in ogni caso
non era piaciuta, e questo aumentò il mio nervosismo, incupì il senso di
frustrazione dovuto al fatto che volevo l’amore di una ragazza refrattaria, un'allieva
che non mi riconosceva più come maestro, nonostante prendesse appunti quando
parlavo di letteratura e trovasse preziose per le sue prove le mie laboriose
lezioni. Ma per la vita aspirava a ben altro maestro: a un attore, a un
regista, a un produttore ricco e famoso. Pensai che quando in Grecia Sofocle
scriveva l’Aiace, i primi
legislatori di Roma codificavano il clientelismo, padre di tutte le mafie[1].
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Ifigenia cercava
contatti con maschi importanti, e io per vincere il sentimento di essere identico
al nulla, siccome, nonostante tutto, amavo quella ragazza, dovevo procurarmi
fama e successo maggiori di quelli degli uomini che ella agognava, come fa
con il cibo un cane affamato, e non trova pace finché non lo morde . L'unica
strada a me pervia per arrivare a recuperarla, era scrivere, ma, per
cominciare, dovevo districarmi dall'imbrigliamento penoso in cui mi trovavo.
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Ora so che in quei
giorni lontani mi stavo adoperando, incosciamente ma energicamente, per
provocare la grande catastrofe redimibile solo con un lavoro grande e
meraviglioso.
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Mancava meno di
una settimana.
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Dopo la lezione
moscia dunque, le domandai che cosa volesse fare.
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"Andiamo al
luna park" propose.
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"Va
bene" acconsentii, ma controvoglia: temevo che avrebbe bambineggiato
insopportabilmente. Infatti pargoleggiò senza misura e scatenò la mia
insofferenza.
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Arrivati là,
cercai di fare buon viso e di adattarmi ai suoi gusti. Per quasi due ore
riuscii a scherzare, a simulare allegria, a fingere di stare volentieri in quel
luogo. Lo odiavo fin da bambino: ci ho sempre visto qualche cosa di triste,
falso e volgare. Quella sera ero depresso; un poco alla volta divenni
esasperato.
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Prima di
riportarla a casa la umiliai vomitandole addosso tutto il risentimento
accumulato in mesi di sottomissione. Nei due anni e mezzo del nostro stare
insieme, tante volte il suo infantilismo non mi era spiaciuto, ma la notte
del sette giugno ne ebbi il voltastomaco: probabilmente era destino poiché la
litigata che ne seguì prepara e prefigura la catastrofe della notte compresa fra
il 12 e il 13.
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Volle che ci
guardassimo riflessi negli specchi deformanti. Apparivamo smisuratamente
grassi, o magri, o lunghi, o corti. Volle che girassimo con l'autoscontro: ci
sbatacchiavano da tutte le parti; Ifigenia rideva. Io non capivo perché. Poi
volle girare seduta in una grande, lentissima ruota; poi volle salire e
scendere rapidamente su e giù per le montagne russe, e rideva sempre; poi
volle pescare oche di plastica con un
anello appeso ad un filo attaccato a una canna; poi volle tirare palle
di pezza su dei barattoli vuoti sperando di vincere non so che cosa; poi,
sebbene fosse passata la mezzanotte, e il giorno
dopo io avessi lezione alle otto, volle replicare diverse di quelle scemenze,
mentre oramai doveva vedersi che ne avevo la nausea, come l'avevo del suo
ridere idiota.
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Prima di
aggredirla, la guardai in faccia. Aveva gli occhi piccoli piccoli e
lacrimosi, quasi due strette fessure mongoliche, e grossi denti che uscivano
fuori dal labbro superiore rialzato, un poco
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peloso. E rideva,
rideva sempre. I capelli neri erano avviticchiati e appiccicati alla faccia
scura e sudata. Sembrava uno di quei bambini disgraziati che si agitano impotenti sulle sedie a
rotelle dove li tengono legati perché non si facciano a pezzi da soli.
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A un tratto le
chiesi di smettere di fare la scema: era l'una di notte e io non ne potevo
più. Poi dissi dell'altro. Poche parole cattive[2].
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Divenne seria e
si mise a piangere. Seguitò fino a casa sua. Ne provai dolore, compassione,
rimorso: le chiesi scusa. Ma Ifigenia, miserevole e implacabile, continuava a
piangere. Le spiegai che non ne potevo più di essere sfruttato con protervia,
senza riconoscenza, senza nessun sentimento buono, né alcuna collaborazione a
quanto facevo. Non rispose. Le chiesi di essermi meno figlia e più compagna,
di aiutarmi attivamente a creare qualche
cosa di grande e bello, poiché con lei che mi stava vicino senza
collaborare non ce l'avrei fatta mai.
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Rispose solo: "Ho
capito".
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Quindi uscì dalla bianca Volkswagen ed entrò in casa sua. In questa scena forse io sembro il carnefice e Ifigenia la
vittima.
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[1] Il rapporto
utilitaristico, fatto di raccomandazione e di favori reciproci, tra
patrono e cliente era già istituzionalizzato nelle leggi delle
XII tavole redatte nel 451 a. C.: “Patronus
si clienti fraudem fecerit, sacer esto”, il patrono, se ha ordito una frode al
cliente, sia maledetto, prescrivevano “Il rapporto clientelare si configura
come un’organizzazione mafiosa che garantisce l’omertà, e il successo dei
disonesti” ha scritto l’illustre
latinista Luciano Perelli in un libro intitolato La corruzione politica nell’antica Roma. La I Bucolica di Virgilio è la storia di una raccomandazione.
[2] Cfr. Catullo, Carmi,11,
vv. 15-16: "pauca nuntiate meae
puellae/non bona dicta", riferite alla mia ragazza poche parole non
buone.
Quando i sentimenti cambiano, le cose che prima fanno innamorare dopo divengono in proporzione più antipatiche e odiose-Può un amore durare tutta la vita senza la fredda determinazione di mantenerlo vivo ? E perché ci accorgiamo che l'amore finisce solo quando è troppo tardi ? Ma si può guarire un amore malato che sta morendo? Leggendo viene il dubbio se tu volevi scientemente perdere l'amore provocandone la fine ,oppure se sei stato vittima di un destino fatale....sembra incredibile che due persone che si sono tanto amate arrivino a scarnificarsi a vicenda, eppure è la regola....ci devo pensare .Ciao Gio
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