NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

Ciclo di incontri alla biblioteca «Ginzburg». Protagonisti della storia antica

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venerdì 14 marzo 2014

La scuola corrotta nel paese guasto Quattordicesimo capitolo. Terza parte



La mattina seguente dormimmo a lungo. Il pomeriggio andammo a Marina di Ravenna.  Durante il viaggio le svelai la mia pena dell'ultima settimana  nella quale  mi ero  sentito  trascurato, e  confessai anche la sofferenza della sera prima per il fatto che, finita la commedia, lei non si era rivestita subito e mi aveva negletto. Del bacio a Felice, il cui pensiero, pur non straziandomi, mi punzecchiava, non feci parola, poiché in fondo poteva essere giustificato come esigenza scenica.
Rispose che il mio desiderio di non vederla girare in mezzo al pubblico con quella calzamaglia trasparente poteva essere legittimo, ma la preparazione, la recita stessa, e l'immediato doporecita, l'avevano impegnata tanto, sia nella mente, sia nel fisico, che nemmeno se glielo avessi chiesto avrebbe potuto stare con me più di così. Su questo punto fui io a darle ragione, sicché ci trovammo d'accordo. Tanto che, arrivati alla spiaggia, ci venne voglia di fare l'amore subito, in un luogo qualunque, purché un poco riparato dagli sguardi altrui. Insomma come ai bei tempi. Ma erano solo gli ultimi guizzi di una fiamma lontana[1] e morente.
Ci chiudemmo in un capanno e ci masturbammo a vicenda. Mi  venne in mente un'espressione carica di amore e odio di I fratelli Karamazov: "Prima mi facevano languire soltanto le flessuosità del suo corpo infernale, ma adesso tutta la sua anima l'ho trasfusa nella mia, e grazie a lei anch'io sono diventato un uomo!"[2]. Per un poco di tempo sperai ancora una volta che i nostri orgasmi si sarebbero elevati fino all'intesa spirituale, alla trasfusione delle anime. 

Quando uscimmo di lì, stremati per la scomoda posizione e l'aria pesante nella quale ci eravamo scambiati un piacere affannoso, mi domandò:
"Gianni, perché non facciamo un bambino?"
"Quando?"
"Subito".
"Perché subito?"
"Perché io ne ho bisogno subito".
"Possibile?"
"Sì, adesso mi sento molto infelice".
"Non mi sembra un motivo buono. Aspettiamo di essere più soddisfatti, o almeno più equilibrati. Potremo farlo allora. Tu ieri sei stata brava; presto reciterai davvero, a teatro, o al cinema, e ti sentirai realizzata; io ricomincerò a scrivere. Se ci andrà bene,  saremo contenti di noi e metteremo al mondo un figlio per renderlo partecipe della felicità nostra".
Dissi queste parole pieno di sincero ottimismo, siccome mi inorgogliva il pensiero che Ifigenia volesse un  bambino da me.

Ancora l'amavo nonostante tutti i sillogismi implacabili della mia povera mente spietata e difettosa. L’amore e la storia umana del resto non sono riducibili a sillogismi.
Sentita la mia risposta, Ifigenia si mise a piangere e continuò a lungo. Quando fu sazia di lacrime, disse: "Non so tu, gianni, ma io sono molto  disgraziata. Lasciami, se devo rendere tale anche te".
"No – risposi - finché tu vorrai stare con me, e non mi mancherai di rispetto, non ti lascerò, poiché ti amo, e sono convinto che la nostra unione darà altri frutti buoni. Ma da che cosa dipende questo tuo accesso di dolore?"
Non seppe o non volle rispondermi.
Poco dopo, il suo umore migliorò. Siccome pensavo troppo a me stesso, credetti che avesse dei sensi di colpa nei miei confronti, forse per un tradimento recente. Ora credo che pianse poiché temeva, o aveva capito, di non avere talento. Non sapeva fingere bene, neanche con me.
Tornammo a casa verso il tramonto. Ifigenia era luminosa, semplice e fine. Bastava una sua gentilezza, un moto d'affetto anche sporadico nei miei confronti, perché la vedessi un'altra volta come una dea. Però era triste.
Rimasto solo, pensai al mio dolore della sera prima, al suo del pomeriggio, alla nube che oscurava da quasi due anni il cielo del nostro rapporto.
Eppure c'era una volta una ragazza che faceva brillare le lugubri, lunghissime sere di novembre e dicembre con una luce più vivida di quella del sole, quando entrava come giovane  dea nel mio talamo, togliendosi gli arguti stivali ancora innevati. Che cosa ci era successo? Quando mi fossi messo a raccontare la nostra storia, avrei dovuto scolpire immagini splendidissime con l'aurea, lucida felicità erotica delle prime stagioni, poi estrarre figure meravigliosamente cupe dall’orrenda oscurità degli anni seguenti.
Per capire e fare capire.

giovanni ghiselli


[1] Cfr. Foscolo, Notizia intorno a Didimo Chierico: "Dissi che teneva chiuse le sue passioni; e quel poco che ne traspariva, pareva calore di fiamma lontana". 
[2] Trad. it. Bietti, Milano, 1968, p.709.

1 commento:

  1. penso che Ifigenia ti abbia davvero amato. Molto: è che a volte non basta. L'idea di fare un bambino è stupenda ,credo sentisse che tu le sfuggivi sei uno spirito libero e neanche la schiavitù d'amore ti avvince.Gio

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