La mattina seguente dormimmo a lungo. Il
pomeriggio andammo a Marina di Ravenna.
Durante il viaggio le svelai la mia pena dell'ultima settimana nella quale
mi ero sentito trascurato, e confessai anche la sofferenza della sera
prima per il fatto che, finita la commedia, lei non si era rivestita subito e
mi aveva negletto. Del bacio a Felice, il cui pensiero, pur non straziandomi,
mi punzecchiava, non feci parola, poiché in fondo poteva essere giustificato
come esigenza scenica.
Rispose che il mio desiderio di non vederla
girare in mezzo al pubblico con quella calzamaglia trasparente poteva essere legittimo,
ma la preparazione, la recita stessa, e l'immediato doporecita, l'avevano
impegnata tanto, sia nella mente, sia nel fisico, che nemmeno se glielo
avessi chiesto avrebbe potuto stare con me più di così. Su questo punto fui
io a darle ragione, sicché ci trovammo d'accordo. Tanto che, arrivati alla
spiaggia, ci venne voglia di fare l'amore subito, in un luogo qualunque,
purché un poco riparato dagli sguardi altrui. Insomma come ai bei tempi. Ma erano
solo gli ultimi guizzi di una fiamma lontana[1] e
morente.
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Ci chiudemmo in un capanno e ci masturbammo
a vicenda. Mi venne in mente
un'espressione carica di amore e odio di I fratelli Karamazov: "Prima
mi facevano languire soltanto le flessuosità del suo corpo infernale, ma adesso tutta la
sua anima l'ho trasfusa nella mia, e grazie a lei anch'io sono diventato un
uomo!"[2]. Per un poco di tempo
sperai ancora una volta che i nostri orgasmi si sarebbero elevati fino
all'intesa spirituale, alla trasfusione delle anime.
Quando uscimmo di lì, stremati
per la scomoda posizione e l'aria pesante nella quale ci eravamo scambiati un
piacere affannoso, mi domandò:
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"Gianni, perché non facciamo un
bambino?"
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"Quando?"
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"Subito".
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"Perché subito?"
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"Perché io ne ho bisogno subito".
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"Possibile?"
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"Sì, adesso mi sento molto
infelice".
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"Non mi sembra un motivo buono.
Aspettiamo di essere più soddisfatti, o almeno più equilibrati. Potremo farlo
allora. Tu ieri sei stata brava; presto reciterai davvero, a teatro, o al
cinema, e ti sentirai realizzata; io ricomincerò a scrivere. Se ci andrà
bene, saremo contenti di noi e metteremo
al mondo un figlio per renderlo partecipe della felicità nostra".
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Dissi queste parole pieno di sincero
ottimismo, siccome mi inorgogliva il pensiero che Ifigenia volesse un bambino da me.
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Ancora l'amavo nonostante tutti i sillogismi
implacabili della mia povera mente spietata e difettosa. L’amore e la storia
umana del resto non sono riducibili a sillogismi.
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Sentita la mia risposta, Ifigenia si mise a
piangere e continuò a lungo. Quando fu sazia di lacrime, disse: "Non so
tu, gianni, ma io sono molto
disgraziata. Lasciami, se devo rendere tale anche te".
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"No – risposi - finché tu vorrai stare
con me, e non mi mancherai di rispetto, non ti lascerò, poiché ti amo, e sono
convinto che la nostra unione darà altri frutti buoni. Ma da che cosa dipende
questo tuo accesso di dolore?"
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Non seppe o non volle rispondermi.
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Poco dopo, il suo umore migliorò. Siccome
pensavo troppo a me stesso, credetti che avesse dei sensi di colpa nei miei
confronti, forse per un tradimento
recente. Ora credo che pianse poiché temeva, o aveva capito, di non
avere talento. Non sapeva fingere bene, neanche con me.
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Tornammo a casa verso il tramonto. Ifigenia
era luminosa, semplice e fine. Bastava una sua gentilezza, un moto d'affetto
anche sporadico nei miei confronti, perché la vedessi un'altra volta come una
dea. Però era triste.
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Rimasto
solo, pensai al mio dolore della sera prima, al suo del pomeriggio,
alla nube che oscurava da quasi due anni il cielo del nostro rapporto.
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Eppure c'era una volta una ragazza che
faceva brillare le lugubri, lunghissime sere di novembre e dicembre con una
luce più vivida di quella del sole, quando entrava come giovane dea nel mio talamo, togliendosi gli arguti
stivali ancora innevati. Che cosa ci era successo? Quando mi fossi messo a
raccontare la nostra storia, avrei dovuto scolpire immagini splendidissime
con l'aurea, lucida felicità erotica
delle prime stagioni, poi estrarre figure meravigliosamente cupe
dall’orrenda oscurità degli anni seguenti.
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Per capire e fare capire.
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giovanni ghiselli
penso che Ifigenia ti abbia davvero amato. Molto: è che a volte non basta. L'idea di fare un bambino è stupenda ,credo sentisse che tu le sfuggivi sei uno spirito libero e neanche la schiavitù d'amore ti avvince.Gio
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