L'esame di
Ifigenia all'Antoniano. Contro le sfacciate donne dell'età esibizionista.
L'imbarazzo dopo la recita. La ritirata e il ritorno con la bianca Volkswagen
scoperta. L’amore precario.
La prova si
svolgeva all'incirca come la sera prima. La differenza stava nel pubblico più numeroso e in una
riduzione del testo.
Ifigenia recitò
discretamente. Meglio di tutto le riuscì la scena sul Danubio. Alla fine i
giovani attori furono applauditi a lungo dal pubblico in piedi, del resto composto in
massima parte da amici e parenti. La mia donna guardava gli osannatori. Era
in calzamaglia poiché la rappresentazione si era chiusa con gli svolazzi
dello Zeppelin incarnato da lei che era la callipigia della compagnia.
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Io ero in prima
fila, ma fui ignorato. Quando gli applausi terminarono, Ifigenia si mosse
verso il gruppo dei suoi familiari che erano da un'altra parte. Rimasi al mio
posto: non volevo essere io ad avvicinarmi. Speravo fosse lei a cercarmi con lo
sguardo e a venire da me: non ero nascosto. Avevo anche sperato che, finita
la commedia, si sarebbe cambiata, o avrebbe messo qualcosa sopra la tuta
trasparente; invece si era accostata al pubblico con il seno in evidenza.
Questo mi dava fastidio: non era più per esigenza scenica che andava
mostrando il petto con tutte intere le poppe[1]
. Era vanità, esibizionismo, impudicizia, mancanza di rispetto per il suo
uomo .
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Io la penso così,
forse retrograda- mente. Anche le
sfacciate che mostrano seni e chiappe sulle spiagge non mi sono simpatiche.
Nemmeno eccitanti sono. Una donna fine non lo fa, ed è più attraente.
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I familiari le
dicevano:"brava, bravissima!" Lei sorrideva giulivamente. Io cominciavo
a soffrire. Finalmente si accorse di me e venne a salutarmi. Ma non era
contenta che fossi presente nel momento e nel luogo del suo primo trionfo.
Oramai non le servivo più, ero di troppo.
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"Brava"
dissi.
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"Grazie.
Dov'eri?"
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"Qua, dove
sono ora".
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"Ti sono
piaciuta?"
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"Molto. - Ci
fu un momento di silenzio - Ora che cosa
farai?"
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"Non lo so, -
rispose imbarazzata, volgendosi verso gli altri attori - credo che i miei
compagni vogliano festeggiare in qualche maniera".
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"Ho
capito" borbottai. Avevo capito che io non ci entravo. Ifigenia non
aggiunse parola: mi stava davanti silenziosa e sempre più imbarazzata. Dopo
qualche secondo la salutai: "Bene. Allora ciao. Sei stata brava.
Continua così".
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"Ciao,
grazie".
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Mi mossi verso
l'uscita sperando che mi chiamasse, mi facesse tornare indietro, almeno per
dirmi: "Ci vediamo domani". Invece mi lasciò andare via come se
fossi stato uno spettatore qualunque, o
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un ammiratore di
nessuna importanza, anzi piuttosto importuno.
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Uscii da quell'ambiente che mi soffocava. Entrai nella bianca Volkswagen, la scoprii nella notte d'estate precoce,
ventosa, calda e profumata. Tornai a
casa. Speravo che mi telefonasse. Invece
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niente. Mi spogliai e mi stesi sul grande
letto dei nostri tripudi. Il dolore mi ringhiava nel petto: lo accarezzavo,
lo scrutavo, cercavo di ammansirlo perché non mi dilaniasse.
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Pensavo: "E'
andata come avevo previsto. Appena si è sentita un'attrice, si è sbarazzata di
me. Tornerà nel suo luto antico da dove l'avevo
estratta per elevarla al mio linguaggio, alla mia logica, al
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mio stile. Questa sera si sente una diva,
poveraccia! E' solo una tanghera, come quando l'ho conosciuta. Volgare di anima,
di comportamento, di tutto! Sebbene mi abbia scimmiottato
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per quasi tre
anni, è rimasta quello che era: fatta per la confusione, il fumo,
l'inconcludenza. Ricordo una volta che mi telefonò da via Rizzoli. Andai a
prenderla. Era con altre della sua razza mentale: facevano chiasso sul
marciapiede. Io l'ho tirata fuori di lì. Ora ci torna".
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Ero steso sopra
il lenzuolo, in mutande; stavo per piangere, ma non volli lasciarmi andare
così. Non era ancora giunto il momento della catastrofe. Decisi di alzarmi,
rivestirmi e tornare nel suo covo di belva per porle delle domande, farla
parlare, ascoltarla.
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Anche se non fosse
stata sincera, qualche cosa mi avrebbe insegnato. Arrivai all'Antoniano che
era circa l'una. Gli aspiranti attori erano scesi in uno stanzone
sotterraneo: festeggiavano il compimento del lavoro annuale e aspettavano i
voti: avevano l'aria di attendere una promozione generale. Parlavano, o
ridevano, mangiavano e bevevano vino. Vicino alle pareti c'erano lunghi tavoli
coperti di bottiglie e vassoi con frammenti di pasta fritta. I giovani
stavano in piedi nel mezzo della sala con frittelle e bicchieri in mano. Su
piccole pozze multicolori sparse dovunque, galleggiavano pezzetti di focacce
che formavano minuscoli arcobaleni dai colori unti. Segno di pace scivolosa e
precaria, oppure, piuttosto, di confusione totale.
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Appena mi ebbe notato,
Ifigenia mi corse incontro e fece: "Ciao amore, stavo per
telefonarti".
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"Per dirmi che cosa?"
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"Che mi
mancavi tanto. Sono contenta che tu sia tornato".
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Si era ricordata
che in autunno la attendeva un altro esame, non meno serio, e che per
superarlo aveva ancora bisogno di me che passavo il tempo a studiare
soprattutto per lei.
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"Meno
male" pensai, e tirai un sospiro di sollievo, ma senza darlo a vedere. Dissi:"Sono
venuto per domandarti se ti serve un passaggio fino a casa, o se hai bisogno
di me in altro modo".
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"In ogni modo,
io ho bisogno di te, gianni, amore, omni
modo. Stai qua mentre attendo il giudizio", rispose, e mi baciò.
Aveva capito di essere stata troppo dura, troppo precipitosa rispetto al
compimento, vicino ma non immediato della nostra vicenda e delle parti che vi
recitava: amante dall’affetto intermittente, Musa non sempre benevola,
allieva incostante.
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Parlammo della sua prova. Confessò che Felice-Alfred, durante la scena del bacio, le aveva messo la lingua
dentro la bocca. La cosa mi spiacque ma non glielo dissi. Né le parlai dello strazio
di poco prima. Aspettava il verdetto della commissione e ne aveva paura.
Arrivò verso le tre: era stata promossa con ventuno trentesimi.
Dopo, andammo a
casa mia e facemmo l'amore assai bene. Ricordai che nel maggio precedente,
quando pure ne ero disamorato, la sera odorosa che la vidi recitare la parte
di Nora in Casa di bambola, provai un'attrazione forte, rinnovata,
tanto palese che quando eravamo a letto disse: "Questa sera mi ami molto,
quanto una volta; però adesso mi tratti come una tua pari. Ne sono felice.
Vedrai che non ti deluderò".
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Forse, vedendola
sul palcoscenico, mi eccitava il pensiero che gli altri uomini presenti in
sala l'avevano desiderata, ma lei faceva l'amore solo con me.
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giovanni ghiselli
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[1] Cfr.
Dante, Purgatorio, XXIII, vv. 100-102: "Nel qual sarà in pergamo interdetto/alle
sfacciate donne fiorentine/l'andar mostrando con le poppe il petto".
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