Presentazione e commento di una relazione tenuta a Budrio
l’8 febbraio 2014 da Marco Macciantelli,
sindaco di San Lazzaro di Savena, durante un incontro sulla “Proclamazione
della Repubblica romana”
Il 9 febbraio 1849 nacque la Repubblica Romana che durò
sino all’inizio del luglio di quello stesso anno, quando le truppe del generale Oudinot, mandate
dal presidente francese Luigi Napoleone Bonaparte, riuscirono a debellare la
resistenza eroica dei suoi promotori e difensori.
Ricorre dunque il 165esimo anniversario di questo episodio
del nostro Risorgimento. Il primo luglio del 1849, nel momento della resa,
l’Assemblea approvò la Costituzione
della Repubblica, lanciando una sfida alle forze soverchianti della repressione
e una promessa-premessa per l’avvenire. Fu il testo costituzionale più
democraticamente avanzato di quel periodo. La Repubblica parlamentare del ’49
era presieduta dal Triumvirato costituito da Giuseppe Mazzini, Aurelio Saffi e
Carlo Armellini. Giuseppe Garibaldi la difese con diecimila volontari
provenienti da varie parti d’Italia e con l’aiuto di molti popolani di Roma.
Macciantelli nota che durante quei mesi “ Roma passò da una
delle condizioni più arretrate d’Europa a terreno di sperimentazione delle idee
democratiche più avanzate”.
Quindi il sindaco ricorda “alcune delle figure che
stabilirono un rapporto diretto tra Bologna e Roma”. Tra queste Macciantelli
mette in rilievo Quirico Filopanti e Carlo Berti Pichat. Il primo nacque a
Budrio nel 1812 e morì a Bologna nel 1894. Si chiamava Giuseppe Barilli, ma
scelse il nome Quirico in omaggio alla Roma antica e il cognome Filopanti,
etimologizzabile con “colui che ama
tutti”, quale nomen omen.
L’8 agosto del 1848 aveva partecipato alla rivolta popolare
che cacciò gli austriaci da Bologna. Una insurrezione da cui trae il nome la
grande piazza di fronte alla Montagnola.
Nel gennaio del ’49, Filopanti fu eletto membro
dell’Assemblea costituente degli Stati romani.
Il relatore ricorda
un nobile atto di questo patriota nel momento della resa:“A Filopanti spetta
anche l’ultimo atto della Repubblica Romana: di fronte al colonnello Lamarre,
entrato nella sala del Campidoglio, dove era insediata ancora la V sezione dell’Assemblea, per imporne lo
scioglimento, Filopanti redige una protesta ufficiale, appellandosi
all’articolo V della Costituzione francese, in cui si respinge (cito) “l’uso
della forza contro la libertà dei popoli”. Filopanti poi insegnò nell’Ateneo
Bolognese quale docente di meccanica, idraulica e astronomia.
Altro personaggio della nostra terra fu Carlo Berti Pichat, nato e morto a Bologna
(1799-1787). Fu politico e agronomo e quando San Lazzaro nel 1828, fu nominata comune, egli ne fu il primo
sindaco (allora si diceva “priore”).
Ma sentiamo le parole del sindaco attuale: “Poi Carlo Berti
Pichat fu proconsole della Repubblica romana a Bologna e a capo del Comune di
Bologna, in qualità di assessore anziano, dal 9 novembre al 23 dicembre 1872. La
sua vita segnò un legame tra la Francia
e l'Italia, tra San Lazzaro e Bologna, tra Bologna e Roma. Partecipò al
Risorgimento, fu senatore del Regno, a dimostrazione della intima relazione,
tra comunità locali e unità d'Italia, tra autorità dello Stato e autonomismo
tipicamente italiano. Insieme, Filopanti e Berti Pichat dimostrano una vissuta
relazione tra dimensione territoriale e idea di nazione, che non è scoperta
recente, ma fondamento della vicenda, politica e civile, del Paese.
Veniamo alle ultime due questioni: Costituzione ed Europa.
Non a caso il titolo di questa mia relazione è: La Repubblica romana tra speranza democratica, giovane
Italia, nuova Europa. La
Repubblica romana, nel 1849, promulgò la Costituzione più evoluta, in
Europa, a quei tempi, una specie di frutto maturo degli ideali democratici
mazziniani.
Vale a dire: libertà di culto; laicità dello Stato;
abolizione della pena di morte e della tortura; abolizione della censura;
libertà di opinione; istituzione del matrimonio civile; suffragio universale
maschile (anche se ufficialmente non vietò il voto alle donne); abolizione
della confisca dei beni; abrogazione della norma pontificia che escludeva le
donne e i loro discendenti dalla successione familiare; riforma agraria e
diritto alla casa, tramite requisizione dei beni ecclesiastici; divisione dei
poteri; abolizione della leva obbligatoria… Non a caso la Costituzione della nuova Italia
democratica, uscita dal secondo conflitto mondiale dopo la tragedia dei
totalitarismi, promulgata il 1° gennaio 1948, si richiama ai valori che sono
stati alla base della Repubblica romana”.
Alcuni di questi valori risalgono alla democrazia ateniese
del V secolo a. C.: quello forse fondante è il bene della parresìa, la libertà di parola, senza la quale, il cittadino ha la
bocca schiava, come afferma il protagonista eponimo dello Ione[1]
di Euripide (v. 675).
Analogo concetto si
trova nelle Fenicie[2]
quando Polinice risponde alla madre
sulla cosa più odiosa per l'esule:" e{n
me;n mevgiston, oujk e[cei parrhsivan" (v. 391), una soprattutto,
che non ha libertà di parola.
Infatti, conferma Giocasta, è cosa da schiavo non dire
quello che si pensa.
"La parresìa è l'elemento che il Greco avverte
come ciò che massimamente lo distingue dal barbaro. L'esule soffre della
perdita della parresìa come della mancanza del bene più grande
(Euripide, Fenicie, 391). Inutile ricordare che il valore della parresìa
svolgerà un ruolo decisivo nell'Annuncio neo-testamentario. E dunque entrambe
le componenti della cultura europea vi trovano fondamento"[3].
La nostra democrazia dunque non può abiurare i princìpi che
hanno ispirato le Costituzioni più avanzate in termini di democrazia, cioè
quelli di libertà, di pari opportunità per tutti, di giustizia. Mi rifaccio
spesso agli antichi, ma non senza spirito critico: ripudio infatti il
clientelismo dei Romani antichi, quel rapporto tra patrono e cliente codificato
nelle leggi delle dodici tavole e tuttora vigente nel sistema tipicamente
italico della raccomandazione e nella stessa mafia.
Dò ancora la parola a Macciantelli: “dal secondo dopoguerra,
è andato affermandosi il progetto europeo, col passaggio del Trattato di
Maastricht, nel 1992, e l’unione monetaria con l’Euro dal 1° gennaio del 1999. Ciò
che ancora manca, come sappiamo, è un profilo politico di tutto questo. Come si
dice con una formula: gli Stati Uniti d’Europa”.
Io vedo con chiarezza un profilo culturale, una letteratura
europea, una cultura dell’Europa unita. I topoi
o loci che risalgono alla letteratura
greca, fino a Omero , hanno piena cittadinanza in tutta la letteratura europea.
Questa costituisce un unico corpo del quale latino e il greco sono la corrente
sanguigna, “e come un solo, non già due distinti sistemi di circolazione;
giacché è attraverso Roma che possiamo ritrovare la nostra parentela con la Grecia"[4].
Il sindaco di San Lazzaro ha precisato a proposito del
profilo politico: “Le prossime elezioni per il Parlamento europeo possono
essere un’occasione per sottolineare questa vitale esigenza. Contro i tentativi
di revanche antieuropeista che
coagulano oggi diverse forme non solo di populismo, come si usa dire, ma di
vera e propria rottura del progetto europeo… Con l’ingresso nell’Unione Europea
della Croazia dal 1° luglio dello scorso anno, gli Stati
membri, come si sarebbe detto un tempo, dall’Atlantico agli Urali, sono
diventati 28. Talvolta dimentichiamo che
da quando è iniziato il progetto europeo, non si è più dato un conflitto armato
nel continente, mentre il secolo scorso è stato quello dell’enorme carneficina
di ben due conflitti mondiali provocati dal contrasto franco-tedesco”.
Chi ha una visione abbastanza “panoramica” della cultura
europea non può non sentire la fratellanza spirituale che ci unisce.
La conoscenza della storia è un altro aiuto a uscire dal
provincialismo, una stortura dei valori che deriva dall’applicare all’intera esperienza umana
criteri normativi acquistati in un’area limitata. Questo limite fuorviante
porta a scambiare il contingente con l’essenziale, l’effimero con il durevole.
Macciantelli ricorda la
seconda delle Considerazioni inattuali
di Nietzsche: Sull’utilità e il danno
della storia per la vita (1874).
Ebbene, l’utilità della storia, come della cultura in genere,
sta nel potenziamento della natura di chi la studia; il danno consiste nel
rimasticare e ruminare le nozioni senza capirle, senza applicarle alla vita:
“Osserva il gregge che ti pascola innanzi: esso non sa cosa sia ieri, cosa
oggi, salta intorno, mangia, riposa, digerisce, torna a saltare, e così
dall’alba al tramonto e di giorno in giorno, legato brevemente con il suo
piacere e dolore, attaccato cioè al piuolo dell'istante…solo per la forza di
usare il passato per la vita e di trasformare la storia passata in storia
presente, l'uomo diventa uomo"[5].
Non tutti i bambini diventano persone mature. Lo vediamo con
i nostri occhi E lo afferma Cicerone nell'Orator [6]:
"Nescire autem quid ante quam natus sis acciderit, id est semper esse
puerum. Quid enim est aetas hominis, nisi eă memoriā rerum veterum cum
superiorum aetate contexitur?" (120), del resto non sapere che cosa
sia accaduto prima che tu sia nato equivale ad essere sempre un ragazzo. Che
cosa è infatti la vita di un uomo, se non la si allaccia con la vita di quelli
venuti prima, attraverso la memoria storica?
Restare bambini, dal punto
di vista del pensiero, non è cosa buona.
Leopardi trova che nella sua età prevalgano queste
“creature”, giovani e anziane,
infantilmente insensate: "Amico mio, questo secolo è un secolo di
ragazzi, e i pochissimi uomini che rimangono, si debbono andare a nascondere
per vergogna, come quello che camminava diritto in paese di zoppi. E questi
buoni ragazzi vogliono fare in ogni cosa quello che negli altri tempi hanno
fatto gli uomini, e farlo appunto da ragazzi, senza altre fatiche
preparatorie"[8]
Concludo citando le ultime parole della relazione del sindaco
di San Lazzaro di Savena: “La
Repubblica Romana, nel processo risorgimentale italiano,
nella prospettiva della nuova Europa, si è rivelata non solo “utile”, ma
indispensabile, per la vita del nostro Paese e per gli insegnamenti che tuttora
ci offre. L’augurio è che, anche grazie ad iniziative come quella di stasera,
capaci di rendere attuali quelle pagine della nostra storia, cresca
ulteriormente la coscienza del suo valore”.
giovanni ghiselli
[2]Rappresentata poco tempo dopo lo Ione. Tratta
la guerra dei Sette contro Tebe.
[3] M. Cacciari, Geofilosofia dell'Europa, p. 21
n. 2.
[4] In T. S.
Eliot, Opere, p. 975.
[5] F. Nietzsche, Sull'utilità e il danno della storia
per la vita, in Considerazioni
inattuali II, p. 83 e p. 87.
[8]
Dialogo di Tristano e di un amico
(1832). E’ una delle Operette morali delle quali l’autore
scrive:"Così a scuotere la mia povera patria, e secolo, io mi troverò
avere impiegato le armi del ridicolo ne'
dialoghi e novelle Lucianee ch'io vo preparando"(Zibaldone , 1394).
non vedo fratellanza spirituale che leghi i popoli della unione europea ,dato che la U.E.discrimina tra paesi virtuosi e paesi cosidetti pigs e non esita a punire questi ultimi ,in particolare la Grecia,con sanzioni che creano una carneficina sociale,economica,moraledi un popolo antico.Pertanto è ignobile e falso tacciare di populismo chi critica questo progettd europeo che non rispetta e tantomeno valorizza le peculiarità dei popoli che lo compongono ,nonsi occupa della loro cultura,della loro storia della loro lingua,ma ha a cuore solamente una moneta unica che deve far quadrare conti voluti da biechi poteri forti che inducono i paesi "virtuosi"a farsi strumenti ciechi d'occhiuta rovina"Il vero populismo è quindi l;approvazione della prevaricazione e dell,ingiustizia ""Solo per la forza di usare il passato per la vita e di trasformare la storia passata in storia presente ,l/uomo diventa uomo!|"Nietzsche Considerazioni inattuali mi chiedo dove è finita la memoria storica ?cosa è diventato l!uomo? Margherita
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