lunedì 1 maggio 2023

Una riflessione metodologica su apprendimento e insegnamento.


 

Quando non capiamo una materia le ragioni sono due. La prima è che quella materia non ci piace, non colpisce la nostra sfera emotiva siccome non ci appartiene, non ce l'abbiamo dentro. Davvero conoscere è ricordare come ci insegna Platone nel Menone.

Conoscere è ricordare quanto abbiamo già dentro, per motivi pobabilmente genetici o per destino.

 

La seconda ragione è che il docente il quale racconta  la sua materia senza renderla viva e interessante anche per chi non ci è portato, non conosce bene, non ha capito nemmeno lui quello che dovrebbe spiegare e ripete pure lui delle formule imparate a memoria.

 

 A me non piaceva la matematica e dovevo appunto impararla a memoria senza capire quale nesso potesse avere con la mia vita, con la mia sensibilità.

Prendevo comunque buoni voti poiché chi me li dava l'aveva imparata solo a memoria, proprio come me. Se l'avesse capita e amata me l'avrebbe resa magari  meno estranea e antipatica.

 

Nella letteratura invece trovavo la vita, la mia vita, fin da bambino. Quando da adolescente infelice amavo la vita che non mi contraccambiava, leggevo e imparavo subito soprattutto Leopardi riconoscendo me stesso nelle sue poesia; poi  a mano a mano che si ampliavano, rasserenavano e lietificavano le mie esperienze, le riconoscevo raccontate meravigliosamente  in tanti altri autori di poesie e prose. Quindi ho riconosciuto, ampliato e intensificato la mia vita anche attraverso la storia e nella filosofia.

Meno sensibile sono stato alle arti figurative e alla musica priva di parole. Il cinema  invece mi è sempre piaciuto molto e anche l'Opera.

Insomma ho amato e coltivato la parola ricca di pensiero e di sentimento, di logos e di pathos. E ho potenziato questa mia attitudine. La mia vita si è sviluppata non solo attaverso le esperienze di rapporti umani, massime con le donne, ma anche grazie alla letteratura.

Scrivo questo per incoraggiare chi mi legge a non confondere i propri talenti, bensì a individuarli e svilupparli pure a scapito di argomenti e discipline che non piacciono e non possono riuscire bene.

 

Voglio autorizzare questa mia attitudine con  parole di alcuni autori

 

Sentiamo J. L. Borges : "Nel mio testamento, che non ho intenzione di scrivere, consiglierei di leggere molto, ma senza lasciarsi condizionare dalla reputazione degli autori. L'unico modo di leggere è inseguendo una felicità personale. Se un libro vi annoia, fosse pure il Don Chisciotte, accantonatelo: non è stato scritto per voi (…) Non ho insegnato agli studenti la letteratura inglese, che ignoro, ma l'amore per certi autori. O meglio per certe pagine. O meglio, di certe frasi. Ci si innamora di una frase, poi di una pagina, poi di un autore"[1].

 

Un consiglio del genere dà pure Tolstoj: "Se vuoi insegnare qualcosa allo scolaro, ama la tua materia e conoscila, e gli scolari ameranno te e la tua materia e tu potrai educarli; ma se tu sei il primo a non amarla, per quanto li obblighi a studiare, la scienza non eserciterà nessuna azione educativa". Gli studenti, aggiunge il maestro russo, sono i migliori giudici dell'educatore, l'unico test per valutarlo: "E anche qui la salvezza è una sola: la libertà degli scolari di ascoltare o non ascoltare il maestro, di recepire o non recepire la sua azione educativa, cioè essi soli possono decidere se il maestro conosce e ama la sua materia"[2].

Ciascuno dia retta al suo "demone", ossia al proprio destino.

"Il fatalismo turco contiene l'errore fondamentale di contrapporre fra loro l'uomo e il fato come due cose separate…In verità ogni uomo è egli stesso una parte di fato…Tu stesso, povero uomo pauroso, sei la Moira incoercibile che troneggia anche sugli dèi"[3].

 

Ci piacciono le discipline dove riusciamo bene. Dobbiamo impegnarci e specializzarci in queste.

Sentiamo Vittorio Alfieri e Dino Campana.

 

Vittorio Alfieri non era incline alla geometria: “Di quella geometria, di cui io feci il corso intero, cioè spiegati i primi sei libri di Euclide, io non ho neppur mai intesa la quarta proposizione; come neppure la intendo adesso; avendo io sempre avuta la testa assolutamente anti-geometrica” ( Vita, 2, 4).

 

Resta da capire perché  il poeta Dino Campana si iscrisse a Chimica. Piacerebbe pensare che, come il romantico Piercy Shelley, ne sentisse il fascino nascosto. invece fu per sbaglio. Lo confessò lui stesso: “Io studiavo chimica per errore e non ci capivo nulla. Non la capivo affatto. La presi per errore, per consiglio di un mio parente. Io dovevo studiare lettere. Se studiavo lettere potevo vivere….Le lettere erano una cosa più equilibrata…..La chimica non la capivo assolutamente, quindi mi abbandonai al nulla”.

 

 

Bologna primo maggio 2022 ore 20, 08

 giovanni ghiselli

p. s.

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[1] Dall'articolo  di P. Odifreddi Se in cattedra sale un genio in “ Il Sole-24 ore” del 13 gennaio 2002, p. 33.

[2] Educazione e formazione culturale (del 1862), in Quale scuola?  , p. 116.

[3]Nietzsche, Umano troppo umano  II, Il viandante e la sua ombra, 61

(1878).

 

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