NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

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lunedì 29 luglio 2024

In Cilicia. Battaglia di Isso. La forza e la bellezza della semplicità.


 

Prima della battaglia di Isso (Cilicia, novembre 333).

 

Curzio Rufo. I due eserciti. Sul lusso e la mollezza dei Persiani.

Dario intanto contava i suoi soldati in Mesopotamia. Vedendone tanti fu admŏdum laetus (III, 2, 10). 

Non così era stato Serse[1].

 

Negatività dello sfarzo, in guerra e anche in poesia.

L’ateniese Caridemo dice a Dario: verum…et tu forsitan audire nolis, ma devo dirtela ora. Questo esercito splendente di porpora e di oro può essere temibile solo per i tuoi vicini “finitimis potest esse terribilis: nitet purpurā auroque, fulget armis” (III, 2, 12).

 

Breve excursus

Nell’Amphitruo di Plauto i Teleboi che poi vengono sconfitti dai Tebani di Anfitrione “ex oppido-legiones educunt suas nimi ‘ pulchris armis praedĭtas” (Amphitruo, vv. 217-218), tirano fuori dalla fortezza le proprie truppe dotate di armi pur troppo belle.

Tacito ricorda che i veterani trasferiti dalla Siria nell’esercito di Corbulone in Armenia erano ignavi nitidi et quaestuosi (Annales XIII, 35 ), eleganti e avidi di guadagno. Corbulone li congedò.

Nel mondo moderno si può pensare alle uniformi degli ufficiali dell'impero asburgico in disfacimento, i quali"come incomprensibili adoratori di una crudele e remota divinità, di cui essi erano a un tempo anche i variopinti e fastosi animali da sacrificio, andavano su e giù per la città"[2].

Nella parodo dell’ Antigone di Sofocle il coro descrive l’esercito perdente degli Argivi. "travolgendo fuggiasco in rotta/ con morso più acuto/l'esercito dal bianco scudo/ giunto da Argo in completa armatura” vv. 106-109

“Zeus infatti detesta le millanterie/di grossa lingua, e avendoli visti venire avanti con grande flusso/nella tracotanza armata dello strepito dell'oro, con il fuoco scagliato, ributta/chi sulle cime degli spalti/già si lanciava a gridare l'alalà della vittoria" (vv.127-133).

Orazio rifiuta lo sfarzo che, tipicamente è persiano,  nell’Ode I, 38[3]: “ Persicos odi, puer, apparatus…simplici myrto nihil adlabres/sedulus curo” (v. 1 e vv. 5-6), odio, ragazzo, lo sfarzo persiano… non voglio che tu ti affatichi con zelo ad aggiungere alcunché al semplice mirto. E' anche una dichiarazione di poetica siccome "la semplicità del convito è la semplicità dell'arte, che conta molto sulla riduzione dei mezzi espressivi, sull'eliminazione del superfluo e mira ad una classica essenzialità"[4].

Fine excursus

 

Caridemo continua dicendo che la Macedonum acies torva sane et inculta (3, 2, 13) assolutamente feroce e selvaggia, dietro gli scudi e le aste nasconde una forza compatta di guerrieri piantati sul terreno disposti a cuneo: immobiles cuneos et conferta robora virorum.

 

Livio invece vede un difetto in questa staticità della falange: “illa phalanx immobilis” (9,19, 8)

 

 Caridemo: Ipsi phalangem vocant, pedĭtum stabile agmen  (Curzio, 3, 2, 13).

 

Polibio, 18 29  per rendere visibile la compattezza della falange macedone cita Omero (Iliade XIII, 131): scudo premeva (e[reide) scudo, elmo elmo, guerriero guerriero.

Gli uomini sono disposti in 16 file e dalla sesta tengono le sarisse con la punta rivolta verso l’alto in modo che con il loro essere fitte (th`/ puknwvsei) impediscono ai proiettili di cadere sulle linee successive (18, 30, 3).  Polibio apprezza la strategia di Alessandro di cui riconosce  la competenza e la pratica nell’arte militare fin da ragazzo: “th;n ejn toi'~ polemikoi'~ ejmpeirivan kai; tribh;n ejk paidov~” (12, 22, 5).

 Lo storico di Megalopoli viceversa biasima  Callistene  che nel raccontare la battaglia di Isso dimostra incompetenza e l’incapacità di distinguere il possibile dall’impossibile (12, 22, 6).

  

Fedeltà dell’esercito macedone al re.

Burckhardt sostiene che l’incomprensione della potenza di Filippo II di Macedonia da parte dei Greci dipende anche dalla loro perduta capacità di concepire rapporti di fedeltà: “Ma il fior fiore nobiliare dell’esercito, il cosiddetto a[ghma, una divisione, un corpo d’armata che era insieme una specie di rappresentanza popolare presso il re, costituiva per il monarca stesso un appoggio quale nessun tiranno greco ebbe mai. Tutto ciò non riuscirono a comprendere per lo più i Greci, che consideravano Filippo come un barbaro, il suo regno come una eterogenea mescolanza di tribù in precario equilibrio, e il suo popolo come un popolo di schiavi. Nel loro paese la fedeltà era divenuta l’oggetto più raro; come avrebbero potuto comprendere una questione di sentimento come il lealismo dei Macedoni verso il loro sovrano?”[5].

Cfr. Lisandro e la pelle della volpe in Plutarco e Machiavelli

 

 

 

 Parla ancora Caridemo a Dario. I soldati di Al.  eseguono tutto quanto viene loro comandato: “adhuc illa disciplina paupertate magistrā , stetit” (III, 2, 15), si è mantenuta sin qui alla scuola della povertà. Dormono dove capita e mai una notte intera, mangiano quello che trovano[6] .

Dario dovrebbe procurarsi dei mercenari greci. Il re dei Persiani aveva un carattere mite e umano ma la fortuna favorevole lo aveva guastato[7].

Caridemo gli dice: “ Tu quidem licentiā regni tam subito mutatus documentum eris posteris, homines, cum permisere fortunae, etiam naturam dediscere (III, 2, 18)   

Datrio era veritatis impatiens, 3, 2, 17, intollerante della verità e fece condurre al supplizio Caridemo. Il re persiano entra nella tipicità del tiranno dunque, come aveva previsto Otane molto tempo prima. Caridemo morì maledicendo Dario: tu, deformato dalla sfrenatezza del potere   sarai  tale esempio per i posteri: che gli uomini, quando si sono affidati alla fortuna, disimparano anche la natura. E’ la cattiva educazione della buona fortuna.

In III 3 Curzio Rufo descrive l’esercito persiano. Il nerbo dell’esercito era costituito dagli Immortales, diecimila cavalieri che si distinguevano subito per opulenza barbarica: avevano aureos torques, collane d’oro, vestem auro distinctam, vesti ricamate d’oro e manicatas tunicas gemmis etiam adornatas, 3, 3, 13, tuniche con lunghe maniche pure adornate di gemme. Troppo lusso.

 

Per Seneca  è auspicabile la via di mezzo:"non splendeat toga, ne sordeat quidem" (Epist., 5, 3), non brilli la toga, ma neppure sia sudicia.

  

Cicerone consiglia una semplicità elegante al suo gentiluomo quando pone le basi del galateo nel De officiis [8]  ": quae sunt recta et simplicia laudantur. Formae autem dignitas coloris bonitate tuenda est, color exercitationibus corporis. Adhibenda praeterea munditia est non odiosa nec exquisita nimis, tantum quae fugiat agrestem et inhumanam neglegentiam. Eadem ratio est habenda vestitus, in quo, sicut in plerisque rebus, mediocritas optima est  " ( I, 130), viene lodata la naturalezza e la semplicità. Ora la dignità dell'aspetto deve essere conservata mediante il bel colore dell'incarnato, il colore con gli esercizi fisici. Inoltre deve essere impiegata un'eleganza non sfacciata né troppo ricercata, basta che eviti la trascuratezza contadinesca e incivile. Lo stesso criterio si deve adottare nel vestire dove, come nella maggior parte delle cose, la via di mezzo è la migliore.

 

Plutarco sostiene appunto  che Al.  non prese le ampie brache (ajnaxurivda~)  né la sopravveste persiana (oujde; kavndun) né il copricapo persiano (oujde; tiavran) ma scelse una via di mezzo tra la foggia dei Persiani e dei Medi: più modesta di quella persiana, più imponente di quella dei Medi (45, 2). Comunque luphro;n me;n  h\n toi'~ Makedovsi to; qevama, per i Macedoni quella vista era dolorosa poiché il loro re aveva rinnegato la cultura macedone. Glielo concedevano pensando alle sue enormi virtù.

 

 

 

Poi c’erano quindicimila cugini del re. Una turba muliebriter propemŏdum culta, luxu magis quam decōris armis conspicua erat (III, 3, 14), moltitudine abbigliata quasi donnescamente, più notevole per il lusso che per le armi belle. Il cultus regis naturalmente era il più lussuoso a partire dalla purpurea tunica 3, 3, 17, intessuta d’argento nel mezzo.

 

La porpora evoca il sangue e la morte. La via coperta di porpora (porfurostrwvto" povro" )  stesa davanti al re vincitore nell'Agamennone di Eschilo (v. 910) "non è affatto, come egli immagina, la consacrazione quasi troppo alta della sua gloria, ma un modo di consegnarlo alle potenze infere, di votarlo senza remissione alla morte, questa morte "rossa" che viene a lui nella stessa "sontuosa stoffa" preparata da Clitennestra per prenderlo in trappola come in una rete"[9]. Nell'Iliade al guerriero Ipsenore mentre muore, colpito dalla daga del tessalo Eurìpilo, arriva sugli occhi porfuvreo" qavnato" (V, 83), purpurea  morte .

 

Curzio Rufo insiste sull'effemminatezza di questi uomini coperti d'oro: Dario aveva appesa una scimitarra (acinǎces) che era inserita in un fodero di gemme,  ad una cintura d'oro della quale era muliebriter cinctus. (3, 3, 18) Seguivano madre (Sisigambi), moglie, figli e regiae pellĭces trecentae et sexaginta, 360 concubine del re anch'esse regalmente vestite (3, 3, 24). Ben diverso erano l'aspetto dei Macedoni : dispar facies erat: (3, 3, 26) i cavalli e gli uomini splendevano di bronzo e di ferro, non auro non discolōri veste, di divise variopinta.

 

Il variopinto evoca la confusione, il difficile a comprendersi. Il macchiato, il chiazzato viene indicato come bruttura stilistica dal classicismo di Petronio: lo stile deve risaltare non per gli orpelli ma per una sua bella naturalezza:" grandis et, ut ita dicam, pudīca oratio non est maculosa nec turgida, sed naturali pulchritudine exsurgit " ( Satyricon, 2, 6), l'orazione grande e, per così dire, pura, non è chiazzata né enfatica ma si eleva per bellezza naturale. L'orazione insomma deve essere non truccata e non artefatta, come non deve esserlo la donna[10], tanto meno un uomo.

L'essere variopinto è un difetto anche per le costituzioni: Platone biasima la mancanza di serietà della democrazia, una politeiva piacevole, anarchica e variopinta (hJdei'a kai; a[narco" kai; poikivlh, Repubblica 558c) che non si dà pensiero delle abitudini morali da cui proviene chi entra alla politica ma lo onora purché dica di essere amico del popolo.

Bettini connette la poikiliva ai molti colori dell'arcobaleno[11] il quale è un intreccio inestricabile e confuso, come l'incesto, e come l'enigma.

"Anche altrove riscontriamo questo significato di poikivlo" come "oscuro", "enigmatico", "incomprensibile"[12]. Cito solo Aristofane Eq. 196, dove lo schiavo dice al salsicciaio che l'oracolo si esprime poikivlw" pw" kai; sofw'" h//jnigmevnw": letteralmente "per enigmi variegati e sapienti". Quel che segue, di fatto, è un vero e proprio enigma, naturalmente in esametri.

Nelle Trachinie (v. 412) Lichas si lamenta col messaggero:" tiv pote poikivla" e[cei" ; " perché sei così enigmatico?". E più avanti, al v. 1121, Eracle dirà a Hyllos oujde;n xunivhmi w|n suv poikivllei" pavlai " non capisco niente di tutti questi enigmi che tu mi vai facendo". L'azione di "colorare"  "rendere variegato" qualcosa, coincide dunque, di fatto, con il renderlo enigmatico, di difficile comprensione. Si comprende bene, perciò, che uno degli epiteti di Odisseo[13] sia proprio poikilomhvvvth" "dai pensieri variegati". Si potrebbe dunque concludere che per i Greci ciò che è variegato, poikivlo" , si presenta automaticamente come enigmatico, di difficile interpretazione…Anche per il mavnti" insomma, lo specialista dell'esegesi simbolica, la poikiliva dell'arcobaleno non può che significare la sua stessa struttura: confusione, imprevedibilità, indistinzione"[14].

 

I soldati di Alessandro costituivano una schiera attenta non solo ai segni ma anche ai cenni del comandante “agmen…intentum ad ducis non signum modo sed etiam nutum”(3, 3, 26).

 Al. in effetti per i suoi soldati era una specie di numen.

 Alessandro marcia verso la Cilicia mentre il satrapo faceva terra bruciata ritirandosi “sterile ac nudum solum, quod tueri nequībat, relicturus” (3, 4, 3), deciso a lasciare sterile e nudo il suolo che non poteva difendere. E’ simbolico quel suolo reso sterile dal capo incapace (cfr. Edipo re) che avrebbe dovuto difendere le porte della Cilicia. Alessandro invece capiva bene qual era la propria fortuna: in mezzo alle gole chiamate Pylae ammetteva che avrebbe potuto essere schiacciato perfino dai sassi (obrui potuisse vel saxis confitebatur 3, 4, 11), se qualcuno glieli avesse fatti rotolare dall’alto.

 

 Al. giunse a Tarso, la capitale della Cilicia. Et tunc aestas erat (del 333) e il re accaldato volle fare un bagno nel fiume Cidno. Si spogliò fiero di mostrare ai suoi levi ac parabili cultu corporis se esse contentum (III, 5, 2) che si accontentava di una cura del corpo semplice e facilmente procurabile

 

 

E’ lo stile alto della sui neglegentia (noncuranza di sé, sprezzatura). E’ lo stile di Petronio. Così l’ elegantiae arbiter , maestro di buon gusto alla corte di Nerone, viene descritto da Tacito :" Ac dicta factaque eius quanto solutiora et quandam sui neglegentiam praeferentia, tanto gratius  in speciem simplicitatis accipiebantur"  (Annales , XVI, 18), le sue parole e i suoi atti quanto più erano liberi e manifestavano una certa noncuranza di sé, tanto più piacevolmente erano presi come segno di semplicità.

Questo aspetto dell’eleganza trova una corrispondenza nel dandy baudelairiano:"il dandismo non è, come molte persone poco riflessive vogliono credere, un diletto eccessivo della toeletta e dell'eleganza materiale. Queste cose non sono per il perfetto dandy che un simbolo della superiorità aristocratica del suo spirito. Così, ai suoi occhi, desiderosi sopra tutto di distinzione , la perfezione della toeletta consiste nella massima semplicità, che è, in realtà, il miglior modo di distinguersi"[15]

 

Questo atteggiamento di Al. anticipa in rebus ipsis le teorie di  Epicuro e di Seneca che in questo sono simili: “ magnae divitiae sunt lege naturae composita paupertas. Lex autem illa naturae scis quos nobis terminos statuat? Non esurire, non sitire, non algēre…parabile est quod natura desiderat et adpositum. Ad supervacua sudatur…ad manum est quod sat est ” (Ep. 4, 10 e 11), grande ricchezza è l'aver poco senza disordine e conforme alla legge di natura. E quella famosa legge di natura sai quali limiti ponga per noi? Non avere fame, non avere sete, non avere freddo….è facile a procurarsi quello di cui la natura sente la mancanza ed è posto accanto a noi. Si suda per il superfluo…è a portata di mano quello che basta.

 In Epicuro mh; peinh'n, mh; diyh'n, mh; rJigou'n (fr. 200 Usener). E Lucrezio: “divitiae grandes homini sunt vivere parce” (De rerum natura, 5, 1118).  

 

Alessandro prese freddo, si sentì male e sembrava in fin di vita. Il suo rammarico era non la morte ma l’oscurità della morte. Ai medici chiese non tam mortis quam belli remedium, un rimedio non tanto alla morte quanto all’assenza dalla battaglia (Curzio, III, 5, 13). Mori strenue quam tarde convalescere mihi melius est.

La ricerca ostinata della gloria è un topos dell’epica qui ricorrente.  ogni volta-racconta Plutarco- che veniva annunciato che Filippo aveva preso una città famosa o aveva vinto una battaglia celebrata, Al. non era affatto raggiante nell'udirlo, ma ai coetanei diceva; “ragazzi, il padre mio si prenderà tutto, e a me non lascerà nessuna impresa grande e splendida da compiere con voi" (Vita, 5, 4).

Si ricordi come anche Cesare sentisse questa brama di gloria imitando Al. (Plutarco, Vita di Cesare, 11, 6).

 

Il medico di fiducia era Filippo, pure amico di Al., ma da Parmenione, fidissimus purpuratorum, 3, 6, 4,  il più fido dei suoi dignitari porporati[16]

il re ricevette una lettera che lo avvertiva che Filippo era stato corrotto.  Qualunque cosa poteva sopportare Al. più facilmente che l’indugio: “omnia quippe facilius quam moram perpeti poterat” (3, 6, 3).

Forse sentiva che non aveva molto tempo. Quindi pensava : “at satius est alieno me mori scelere quam metu nostro” (3, 6, 6).

Indugio e paura non si addicono all’eroe.

Cfr. Seneca Oedipus 850: “Veritas odit moras” dice Edipo per spingere Forbante a parlare in fretta. Forbante è il pastore incaricato da Laio di sopprimere Edipo.

 

Plutarco racconta che fu uno spettacolo mirabile e teatrale (w[ste qaumasth;n kai; qeatrikh;n th;n o[yin ei\nai): uno leggeva e l’altro beveva, poi si guardarono in viso: Al. con fiducia, Filippo con spavento e ira per la calunnia (Vita, 19, 7).

 

Al. come Achille non sopportava l’inerzia: “consumava il cuore suo-rimanendo lì fermo, rimpiangeva-poqeveske-  l’urlo e la guerra” (Iliade, 1, 491-492). Plutarco cita queste parole di Omero, relative ad Achille che sedeva irato presso le navi, nella Vita di Pirro (13).

 

 

 Anche Pirro, re dell’Epiro, bramava l’azione e rispose alla chiamata dei Tarantini contro i Romani (280 a. C.). Alla sua corte viveva Cinea che era stato allievo di Demostene ed era molto stimato dal re stesso per la sua eloquenza. L’oratore gli domandò quali piani avesse, e Pirro rispose che voleva conquistare prima l’Italia, poi la Sicilia, poi la Libia e Cartagine. “E quando avrai conquistato tutto il mondo?” chiese Cinea cosa faremo? Pirro rispose  ridendo che si sarebbero riposati, e se la sarebbero spassata ubriacandosi e parlando tra loro. Allora Cinea obiettò: “ perché non lo facciamo subito? Che cosa ci manca?” Ma questa replica infastidì Pirro (Plutarco, Vita di Pirro, 14).

 

Cfr. viceversa Oblomov il quale “aveva compiuto i trent’anni e non aveva fatto un sol passo avanti in nessuna direzione e stava sempre al margine della sua arena, allo stesso punto in cui si trovava dieci anni prima”[17].

 

Eppure anche l’antieroe Oblomov si dà animo: ha il sentimento della propria unicità, della propria diversità dagli altri in meglio: quando il servo Zachàr gli dice :"io pensavo che gli altri non sono peggio di noi e cambiano casa..", l'abulico padrone gli risponde irato:"Gli altri non sono peggio-ripetè con orrore-Ilià Ilìc'- . Ecco cosa sei arrivato a dire! Adesso lo so che sono per te un qualunque altro !...Un altro, quello che intendi tu, è un miserabile maledetto, rozzo, un uomo maleducato, che vive poveramente in una soffitta sudicia, capace di dormire all’aria aperta su un mucchio di stracci. Che cosa può succedere a un uomo simile? Niente. Divora patate e aringhe. La miseria lo sbatte qua e là ed egli corre per quanto è lungo il giorno….Che cosa è un altro?- continuò Oblomov.- Un altro è un uomo che si pulisce le scarpe da sé; anche se qualche volta ha l’aria di un signore, non lo è, non sa che cosa sia un servitore, non ha nessuno da mandar fuori, fa un salto lui a prendere quel che gli serve; mette egli stesso la legna nella stufa, qualche volta spolvera perfino   (pp. 124 sgg.).

 

 Era una calunnia sul medico: Alessandro guarì con grande gioia dei suoi soldati che lo amavano per questi motivi: “exercitatio corporis inter ipsos, cultus habitusque paulum a privato abhorrens, militaris vigor” (3, 6, 19), erano doti naturali o acquisite con cui li aveva conquistati. E’ la terapia del rovesciamento che arriva fino all’abito. Contribuivano i successi, che lo facevano apparire quale un prediletto della fortuna e aetas quoque, vix tantis matura rebus. Poi Alessandro passò a Soli[18], sempre in Cilicia. Ringraziando gli dèi della guarigione, per ludum atque otium, ostendit quantā fiduciā Barbaros sperneret (III, 7, 3).

 

Pesaro 29 luglio 2024 ore 18, 32 giovanni ghiselli

 

p. s.

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[1] Serse, invadendo la Grecia, vide l'Ellesponto coperto dalle navi e dapprima si disse beato (oJ  Xevrxh" eJwuto;n ejmakavrise, Erodoto VII, 45), ma subito dopo scoppiò a piangere (meta; de; tou'to ejdavkruse) al pensiero di quanto è breve la vita umana. Allora Artabano, lo zio paterno, lo consolò dicendogli che, essendo la vita travagliata, la morte è il rifugio preferibile per l'uomo ("ou{tw" oJ me;n qavnato" mocqhrh'" ejouvsh" th'" zovh", katafugh; aiJretwtavth tw'/ ajnqrwvpw/ gevgone", VII, 46). Sapienza silenica.

[2]Joseph Roth, La marcia di Radetzky , pp.115 e 125).  marzol

 

[3] Composta di due strofe saffiche. I primi tre libri delle Odi di Orazio furono pubblicati nel 23 a. C.

[4] A. La Penna (a cura di) Orazio, Le Opere, Antologia, p. 268.

[5] Jacob Burckhardt, Storia della civiltà greca (1902), vol. II, p. 623.

[6] Cfr. I Cavalieri di Aristofane: il coro nella Parabasi dice che i cavalli h[sqion de; tou;" pagouvrou" ajnti; poiva" mhdikh'", v. 606, invece dell’erba medica mangiavano i granchi.

[7] Come succederà ad Alessandro qui prefigurato.

[8] Del 44 a. C.

[9] J. P. Vernant, Mito e tragedia nell'antica Grecia, p. 91.

[10] Si può pensare alla storia di Eracle al bivio riportata dai Memorabili di Senofonte (II, 1, 21-34)

[11] Lo troveremo più avanti (vv. 314 sgg.)

[12] Cfr. Herod. 7, 11; Plat. symp. 182 b; Soph. Oed. Col. 761 sg., Phil. 130; etc.    

[13] Il 11, 482; Od. 3, 163; 13, 293.

[14] M. Bettini, L'arcobaleno, l'incesto e l'enigma a proposito dell'Oedipus di Seneca, "Dioniso", 1983,  p. 142.

[15]Baudelaire (1821-1867) Curiosità estetiche  (uscite postume nel 1869).

[16] Anche in questo caso la porpora è segno di morte.

[17] Oblomov. P. 85.

[18] Da cui solecismo. Soli rivendicava origini argive ma parlavano un greco sgrammaticato. Cfr. Manzoni: “solecismi pedestri” I pomessi sposi, introduzione. soloikosmov~,

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