Moderazione di Alessandro. Rifiuto del lusso, del cibo smodato, e della mollezza. Elogio della fatica.
Curzio Rufo prosegue affermando che se Alessandro avesse mantenuto fino all’ultimo la continentia animi 3, 12, 18, sarebbe stato più felice di quanto lo fu imitando i trionfi di Bacco. Prima di lasciarsi ubriacare dai successi egli accolse moderate et prudenter la fortuna che ancora non era straripata nel suo animo: “nondum fortuna se animo eius superfuderat”, 3, 12, 20, mentre ad ultimum magnitudinem eius non cepit, Alessandro non ne contenne la grandezza.
Comunque rispettò regine e principesse prigioniere come se fossero sue sorelle (III, 12, 21).
“Alessandro non volle che fossero trattate come prigioniere, ma come regine. Desiderava che la maestà del sangue reale tronfasse sulla rivalità tra Greci e Barbari. Intravvediamo dopo Isso per la prima volta l’attegiamento che egli contava di assumere più tardi riguardo alla Persia”[1].
Plutarco racconta che Al. ritenendo che fosse più regale vincere se stesso che i nemici (to; kratei'n eJautou' basilikwvteron hJgouvmeno~) non toccò le prigioniere, né conobbe altre donne prima del matrimonio, tranne Barsine (Vita, 21, 7).
Al. affermava che capiva di essere mortale soprattutto perché dormiva o aveva rapporti sessuali (e[lege de; mavlista sunievnai qnhto;~ w]n ejk tou' kaqeuvdein kai; sunousiavzein, Vita, 22, 6), poiché da una sola debolezza di natura derivano fatica e piacere.
Era controllato anche nel cibo. Aveva nominato Ada regina di Caria dopo la presa di Alicarnasso; questa gli aveva mandato cibi e cuochi e Alessandro le rispose non ne aveva bisogno: aveva cuochi migliori datigli dal pedagogo Leonida: pro;~ to; a[riston nuktoporivan, per il pranzo una marcia notturna, pro;~ to; dei'pnon ojligaristivan (Vita, 22, 10) per cena il mangiare scarso.
Cicerone nelle Tusculanae V, 93 scrive che i desideri necessari si possono soddisfare quasi con nulla (satiari posse paene nihilo-divitias enim naturae esse parabiles)
I naturali non è difficile procurarseli né farne a meno.
Quelli non naturali né necessari sono inanes, vuoti e non hanno niente in comune con la necessità né con la natura.
Dario in fuga bevve acqua inquinata da cadaveri e disse di non aver trovato mai bevanda più piacevole: numquam videlicet sitiens biberat (V, 34, 97).
Socrate passeggiava di buona lena (contentius) fino a sera usque ad vesperum e diceva: “ se, quo melius cenaret , obsonare ambulando famem, che per cenare meglio faceva provvista di appetito passeggiando.
Dioniso il vecchio a Sparta disse che quel brodo nero (ius nigrum[2]) non gli era piaciuto.
Il cuoco rispose: “ Minime mirum; condimenta enim defuerunt”
Quae tandem? –inquit ille
Labor in venatu, sudor, cursus ad Eurotam, fames, sitis; his enim rebus Lacedaemoniorum epulae condiuntur”
Quanto al vino, ne era propenso meno di quanto si pensava (h\tton h} edovkei kataferhv~ (Vita, 23): stava a lungo con la coppa in mano ouj pivnwn ma'llon h} lalw'n, non bevendo più che chiacchierando quando aveva molto tempo libero, ma quando doveva agire non lo tratteneva né il vino, né il sonno, né scherzi o feste di nozze, né uno spettacolo, come accadeva ad altri capi militari (23, 2).
Si metteva a tavola tardi ojyev e quando era già sceso il buio- kai; skovtou~ h[dh kataklinovmeno~ 23, 6 poi per il gusto di conversare protraeva a lungo i brindisi. Vero è però che dopo i brindisi si lasciava andare a spacconate ( pro;~ to; kompw'de~, 23, 7) e dava troppo spazio agli adulatori.
Più avanti Plutarco racconta che Al. biasimava il lusso dei suoi amici: p. e. Leonnato che si era fatto portare dall’Egitto la sabbia per la palestra da una carovana di cammelli. Allora disse che vivere nelle mollezze è la cosa più servile, mentre sopportare fatiche è la cosa più regale: “ o{ti doulikwvtaton mevn ejsti to; trufa'n, basilikwvtaton de; to; ponei'n” (Vita, 40, 2).
Si affaticava non solo nelle attività militari ma anche nella caccia, tanto che una volta un messo spartano sopraggiunto mentre abbatteva un grosso leone, gli disse: “kalw'~ g j
j Alevxandre pro;~ to;n levonta hjgwvnisai peri; th'~ basileiva~” (40, 4), hai combattuto bene Al. contro il leone per vedere chi sarebbe rimasto re. Lisippo e Leocare raffigurarono Al. a caccia.
Pindaro nella Nemea III racconta che Achille sterminava leoni, abbatteva cinghiali, e Artemide era piena di stupore, e anche Atena guerriera, perché, senza cani né inganno di reti, uccideva i cervi, più forte anche di loro nella corsa (vv. 44-52).
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Arriano tra l’altro scrisse un Cinegetico sulle orme di quello senofonteo, accentuando però l’aspetto agonistico- cavalleresco che vieta la cattura e l’uccisione dell’animale cacciato
Pesaro 30 luglio 2024 ore 18, 53 giovanni ghiselli
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