Mi ripugna dire: “comprate il mio libro” e non lo dico.
Eppure vorrei che Tre amori a Debrecen venisse letto. L’editrice Pontevecchio che me lo ha pubblicato interamente a spese proprie non ha la forza di farlo mettere in mostra nelle vetrine. Allora ho trovato questa via: tengo conferenze gratuite in una biblioteca che ha richiesto 2 copie del libro e lo darà in prestito. Così il mio capolavoro, o solo buon lavoro che sia, sarà prestato sine pecunia a chi viene ad ascoltarmi e trova belle le mie lezioni. Il libro è ancora più bello.
Ora scrivo perché.
Racconto tre storie d’amore ambientate in tre ferie di luglio e agosto passate con borse di studio in una università ungherese.
C’erano borsisti provenienti da tutta l’Europa democratica e comunista.
Non sono solo racconti di relazioni amorose, sono anche storie politiche degli anni compresi tra il 1966 e il 1974. C’è dentro la cultura dei giovani studenti europei di quegli anni.
Cultura in senso non solo scolastico ma anche antropologico.
La donna domina del romanzo è Helena. La storia di questo amore è dell’estate 1971 quando la solidarietà tra gli umani, l’umanesimo europeo raggiunse il punto più alto della sua parabola ascendente iniziata appunto intorno al 1966 per quanto ricordo.
Quando conobbi Elena le domandai che cosa significasse l’amore per lei. Rispose con calma signorile che voleva dire amore dell’umanità. Fu una delle prime frasi che mi disse.
Aveva lo stile della signora appunto, una domina non superba però, anzi dispensatrice di misericordia e aiuto a chi ne aveva bisogno. Io ne avevo tanto.
Mi fece venire in mente le Madonne di Piero: quella Annunciata di Arezzo e quella incinta di Monterchi in particolare.
Con il passare dei giorni anche Elena seppe di essere incinta.
Elena parlava poco e significava molto, come la Madonna del Vangelo di Luca: “Et mater eius conservabat omnia verba haec in corde suo” ( 2, 51).
Aveva lo stile dell’opera d’arte. Tutto quanto diceva e faceva mi appariva sub specie aeternitatis.
L’unica volta che mi comportai non umanamente con lei, mi scostò da sé dicendo: “io non sono materia”. Questa fu una delle sue ultime frasi. Compresi e la pregai di perdonarmi. Fu misericordiosa e lo fece.
Ecco, per ora mi limito a questo. Ho riferito solo due frasi sommamente educative per il giovane che ero allora.
Frasi che significano l’ordine mentale, la nobiltà morale e la sostanza artistica di questa donna. Farebbero molto bene anche ai ragazzi di oggi.
La storia di Elena è l’episodio più lungo e più bello del libro ma c’è molto altro.
Bologna 3 aprile 2024 ore 17, 33 giovanni ghiselli
p. s.
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Scrivo tanto tutti i giorni, sine pecunia, perché vedo che mi leggete in tanti tutti i giorni.
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