martedì 23 aprile 2024

Ifigenia CXLII. La festa sulla terrazza. Giulia e Silvia.


 

 

La sera del primo di agosto c’era una festa sulla terrazza del casinetto di fianco allo stadio. Si beveva e si ballava. C’erano tutti i miei conoscenti e amici di quell’anno 1979 e pure quelli rimasti vivi degli anni passati. C’era anche la bella slava Giulia in forma splendente: i suoi occhi azzurri e i capelli biondi, radiosi, facevano venire in mente il mare di Grecia illuminato dal sole. Mi punse vaghezza di farle la corte e di piacerle poiché Ifigenia continuava a non scrivere infliggendomi una ferita ogni giorno, quando, dopo la scuola, andavo a vedere se c’era posta per me. Una piaga, un’ulcera che mi bruciava dentro e fuori. Sempre più incurabile diveniva.

 La posta c’era  solo per altri. Il vulnus si cronicizzava diventando ulcus che imputridiva e uccideva l’amore.

 Pensai dunque che potevo prepararmi il terreno della ritirata con una corte talmente ben fatta da  consentirmi di prendere una vendetta allegra se colei continuava a negarmi il conforto di qualche riga. Un farmaco necessario oramai.

C’era pure Silvia Virág che mi corteggiava apertamente e mi gratificava  dicendo che le piacevo siccome ero molto diverso dagli altri. Le sorrisi e la ringraziai, ma prima di darle una risposta mi chiesi se la stravaganza fosse davvero un’ottima cosa. Allora non avevo le idèe chiare su questo. Ora rispondo che essere soli e diversi non è bene e non è pienamente umano se è vero che siamo animali politici e linguistici, ma quando il prossimo nostro si spoliticizza e diviene brutale o vegetale, quando  si riduce a un branco di profittatori e parassiti, allora stare da soli a leggere, riflettere, scrivere è la maniera per salvare quanto rimane della propria identità umana e politica lavorando per “Gli uomini dell’avvenire: “essi saranno la mitezza e la forza”, ha scritto in una cara poesia,  József Attila .

“Saranno sempre in attesa di ospite imprevisto : anche per lui prepareranno il desco e gli apriranno il cuore”.

A Silvia dissi che non mi spiaceva essere differente dagli altri, anche se tale difformità mi era costata solitudini lunghe e difficili. Il corso estivo di Debrecen, aggiunsi però, è sempre stato un ambiente strano e consolatorio per me, siccome frequentato da studiosi di materie umanistiche provenienti da quasi tutte le Università europèe, un posto bello dove si potevano trovare persone inclini al pensiero e curiose di imparare; viceversa  frequentare la gente usuale diseducata dalla pubblicità e dalla propaganda, infarcita di luoghi comuni, ascoltare banalità e menzogne, significava perdere tempo, il bene più prezioso di questa breve esistenza. Di qui la mia solitudine cronica e la mia diversità da anacoreta desideroso di imparare.

“Tuttavia non dispero che un giorno, forse in seguito a qualche catastrofe espiatoria e catartica, o all’opera di un demiurgo geniale, rinasca un ethos politico tra la gente comune, che dalle rovine del ’68 e magari dai testi della Grecia classica, risorga un popolo capace di pensare e sentire umanamente; allora la preparazione che sto costruendo in me stesso, con anni di lavoro solitario, forse potrò impiegarla in favore delle donne e degli uomini tornati umani”.

“Dovresti scrivere-disse la ragazza tedesca mal maritata con l’ ungherese Virág e separata da lui pur mantenendone il cognome che significa fiore .

“Ci penserò. Lo farò di sicuro quando avrò qualcosa di preciso da dire se allora avrò a arricchito il mio linguaggio, trovato uno stile mio e ne sentirò la necessità”, risposi a Silvia, un’altra possibile vendetta allegra.

 

Bologna 23 aprile 2024 ore 16, 37 giovanni ghiselli.

p. s.

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