Conclusione del commo tra Fedra e la Nutrice vv.232- 266
La nutrice domanda alla pupilla paravfrwn in delirio, quali parole abbia scagliato. L’anziana non conosce la ragione della demenza di Fedra ma forse qualche cosa ha intuito. Del resto è difficile che un vecchio possa capire come l’amore abbia la forza di stravolgere a tal punto una persona.
Magari a lei non è mai successo o ha rimosso il fatto. La morte a Venezia di Thomas Mann ci racconta che anche uno studioso e scrittore serio assai, senescente, dalla vita regolare può perdere la testa e la vita per amore.
La nutrice nota l’ondeggiamento , il fluttuare dei desideri di Fedra: prima voleva andare a caccia, poi domare cavalle.
Queste parole hanno bisogno di molto vaticinio, ossia della mente profonda e ispirata di un vate che capisca quale tra gli dei tira le briglie fuorviando la giovane e sconvolgendole la mente.
E’ sempre il nostro daivmwn, il carattere che ci fa deviare o ci lascia procedere metodicamente.
Fedra alza nuovi lamenti duvsthno~ ejgwv, me disgraziata! Si chiede che cosa abbia fatto e verso dove si sia sviata dal buon senso- poi` pareplavcqhn gnwvmh~ ajgaqh`~; In questi casi si dovrebbe tornare indietro e riprendere la retta via. Talora è necessario attraversare l’inferno per ritrovarla.
Un post
Il mio contributo al 25 aprile
Fedra nell’Ippolito di Euripide lamenta la propria disgrazia- duvsthno~ ejgwv- 239 e ammette di essere impazzita –ejmavnhn- poi aggiunge di essere caduta per l’acciecamento di un dio- e[peson daivmono~ a[th/ -242-
Ma il daivmwn di ciascun uomo è il suo h\qo~, il suo costume, il suo modo di essere– Ce lo ricorda Eraclito: -h\qo~ ajnqrwvpw/ daivmwn- fr. 91 Diano. Insomma il daivmwn è interno, in parte ereditato, in parte derivato dalle esperienze.
Oggi vedo che alcuni figli e nipoti dei fascisti che approvarono il nazismo e l’olocausto del popolo ebraico, giustificano i massacri dei Palestinesi di Gaza ordinati dal governo israeliano e compiuti dall’esercito. E’ questo il carattere, il demone della prepotenza che sta sempre dalla parte di chi la esercita, mai da quella di quanti la subiscono.
A me succede il contrario: sono sempre stato solidale e simpatizzante con le vittime: Troiani, Africani schiavizzati, Nativi americani, Ebrei e Palestinesi via via.
In effetti non mancano figli e nipoti di fascisti che stanno dalla parte delle vittime, perché il carattere, come ho detto sopra, si forma anche e soprattutto con i propri pensieri, i propri gusti, la propria cultura e le esperienze conseguenti.
Bologna 21 aprile 2024 ore 17, 51.
Torniamo alla tragedia Ippolito. Ultimi versi del Commo (vv. 243- 266)
Fedra chiede alla nutrice chiamandola mai`a –mamma, balia- di coprirle il capo- kruvyon kefalhvn 243, poi di tenerlo coperto kruvpte-siccome si vergogna di quanto ha detto.
Inoltre dagli occhi scendono lacrime e lo sguardo è volto a vergogna. Raddrizzare il pensiero dà dolore e l’impazzimento è un male. Ma è meglio morire senza conoscerlo- 243-249 dice la Minoide.
La nutrice copre Fedra e si domanda quando verrà la morte a coprirà il poprio corpo.
“La vita lunga mi insegna molte cose”.
Proprio per questo motivo Solone auspicava di vivere 80 anni invece di morire a 60 anni come si augurava Mimnermo.
Sentiamo che cosa ha imparato questa vecchia: “bisognerebbe in effetti che i mortali stringessero tra loro amicizie misurate- metriva~ filiva~- preferisco tradurre “misurate” a “moderate”. Credo che amori e amicizie debbano essere commisurate all’intesa, all’educazione all’esperienza dei sodali.
Il coro di donne corinzie nel Secondo Stasimo della Medea di Euripide auspica un amore commisurato alle possibilità
Prima strofe (vv. 627-635)
Gli Amori che oltrepassano l'eccesso- a[gan ejlqovnte~- non procurano
buona reputazione né virtù agli uomini: ma se Cipride
giungesse
nella giusta misura a[li~ , nessun'altra dea sarebbe così gradevole.
Non scagliare mai, o signora, contro di me dal tuo arco d'oro
il tuo dardo inevitabile dopo averlo intinto nel desiderio.
Euripide suggerisce la moderazione anche in politica-cfr. la teoria della classe media nelle Supplici e nell’Oreste.
Torniamo all’Ippolito
La nutrice di Fedra dunque sostiene che le amicizie non devono arrivare all’estremo midollo dell’anima e che gli affetti del cuore devono essere facili a sciogliersi –eu[luta-256 in modo da potere respingerli e intensificare.
Sembrano paole favorevoli al divorzio. A Roma era facile, la Medea di Euripide dice che le separazioni ajpallagaivv ( Medea, v. 236): non portano buona reputazione alle donne.
Pure Antifonte sofista annovera le separazioni tra le difficoltà del connubio:"calepai; me;n ejkpompaiv"[1]
Sentiamo ancora la nutrice: “Ora io mi tormento per questa qui e che una vita soffra per due è un peso grave- calepo;n bavro~- (Ippolito, 259.
Dicono che le dedizioni rigorose danneggino più che dare piacere e piuttosto muovano guerra alla salute. Così io approvo il troppo meno del nulla di troppo- h[sson tou` mhde;n a[gan-265- e i saggi saranno d’accordo con me.
Est modus in rebus
In fondo la differenza tra Caos e Cosmo è data dall’apparire della misura.
“In principio, fu Voragine. I Greci la chiamarono Chaos. Che cosa è Voragine? E’ un vuoto, un vuoto oscuro. Dove niente può essere distinto” (J. P. Vernant, L’Universo, gli dèi, gli uomini, p. 9).
La formulazione più chiara e sintetica del valore della misura è quella del Solone di Plutarco. Quando Creso, il pacchiano re barbaro gli fece vedere i suoi smisurati tesori e gli chiese se conoscesse qualcuno più felice di lui, nominò personaggi non famosi e non ricchi, ma "belli e buoni". Allora Creso lo giudicò strambo (ajllovkoto") e zotico (a[groiko"), tuttavia volle domandargli se lo mettesse in qualche modo nel novero degli uomini felici. Il legislatore ateniese quindi rispose: "Ai Greci, o re dei Lidi, il dio ha dato di essere misurati (metrivw" e[cein e[dwken oJ qeov"), e per questa misuratezza ci tocca una saggezza non arrogante ma popolare, non regale né splendida "[2].
Più o meno lo stesso dice Solone personaggio della Storia di Erodoto.
Lo storiografo e Sofocle, in quanto seguaci della religione delfica del “nulla di troppo”, condannano spesso la dismisura. Plutarco fu sacerdote delfico.
Diamo la formula del Secondo Stasimo dell'Antigone:" Sia nel tempo prossimo sia nel futuro/come nel passato avrà vigore/ questa legge: nulla di smisurato/ si insinua nella vita dei mortali senza rovina (ejkto;" a[ta")" (vv. 611-614).
Anche il "sacrilego" Euripide considera santo questo valore:"ajcalivnwn stomavtwn-ajnovmou t j ajfrosuvna"-to; tevlo" dustuciva", cantano le Menadi nel primo Stasimo ( Baccanti, vv. 387-389), di bocche senza freno, di stoltezza senza misura, il termine è sventura.
Nietzsche mette in rilievo il valore della misura nella sfera dell'apollineo:"Apollo, come divinità etica, esige dai suoi la misura e, per poterla osservare, la conoscenza di sé. E così, accanto alla necessità estetica della bellezza, si fa valere l'esigenza del "conosci te stesso" e del "non troppo", mentre l'esaltazione di sé e l'eccesso furono considerati i veri demoni ostili della sfera non apollinea, dell'età titanica, e del mondo extraapollineo, cioè del mondo barbarico"[3].
.Bologna 21 aprile 2024 ore 20, 21 giovanni ghiselli
p. s
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