La nutrice chiude la seconda scena del primo episodio con 16 trimetri giambici
La nutrice – mamma- spinge Fedra a confidarsi dicendole che se la sua malattia è uno dei mali indicibili- ti tw`n ajporrhvtwn kakw`n- 293 eccoci qui noi donne pronte a rimediare-forse pensa a qualche male segreto e vergognoso come essere incinta di un ganzo-; se invece l’accidente si può rendere noto ai maschi, parla perché questa faccenda sia rivelata ai medici.
Tuttora si dice, o almeno anni fa ho sentito dire-affari di donne.- magari con riferimento alle mestruazioni come se fossero innominabili.
Fedra comunque continua a tacere e la nutrice la sgrida chiamandola tevknon 297 figlia come se fosse una bambina che fa i capricci-oujk ejcrh`n siga`n- non avresti dovuto tacere già prima, e ora non puoi tacere: devi confutarmi se dico male, oppure convenire con le mie parole se sono dette bene. 298-299
Ma Fedra non risponde e rimane immobile: “di’ qualche cosa, guarda di qua- Oh me sventurata”, implora l’anziana.
Anche Medea viene descritta dalla nutrice come donna ostinatamente chiusa nel dolore
“E Medea, l'infelice donna oltraggiata,
rinfaccia con grida i giuramenti, reclama il sommo impegno
della mano destra, e chiama gli dèi a testimoni
di quale contraccambio ella riceva da Giasone.
E giace senza cibo- kei`tai d j a[sito~- , abbandonato il corpo alle sofferenze,
struggendo tutto il tempo in lacrime
da quando si è accorta di ricevere torto dal marito,
senza sollevare lo sguardo né staccare il volto
da terra; e, come rupe, o marina
onda wJ~ de; pevtro~ h] qalavssio~ kluvdwn , ascolta gli amici consigliata,
tranne quando, girato il bianchissimo collo,
rivolta a se stessa, rimpiange il padre suo
e la terra e la casa che tradì nel venir via
con un uomo che ora la tiene in dispregio (Euripide, Medea, 20- 33)
Nell'Edipo a Colono , Sofocle paragona il vecchio cieco, l' indomito punitore di se stesso, a una scogliera boreale che, battuta dalle onde invernali da ogni lato, viene incalzata senza tregua:"pavntoqen bovreio" w{" ti" ajkta;-kumatoplh;x ceimeriva klonei'tai"(vv.1240-1241).
Come la rupe anche l’onda (kluvdwn, Medea, v. 29) significa insensibilità[1]; ebbene l’immagine dell’ Edipo a Colono , al pari di questa della Medea , significano il colmo delle sventure e della resistenza.
Torniamo all’Ippolito.
Quindi la nutrice si rivolge alle coreute in cerca di aiuto
“Inutilmente, o donne, soffriamo queste pene
Siamo lontane quanto prima: né infatti allora
Si lasciava intenerire dalle mie parole costei né ora dà retta” (301-303)
Poi si rivolge di nuovo a Fedra:
“Ma sappi tuttavia: di fronte a questa situazione sii pure più crudele
del mare- se morrai tradendo i tuoi
figli che non avranno gran parte del palazzo paterno,
pensa alla signora equestre, l’Amazone (Ippolita la madre del protagonista),
che ha generato un padrone per i tuoi figli
un bastardo che pensa alla legittimità. Tu lo conosci bene
Ippolito- 304- 310
Il v. 310 è diviso in tre parti: la nutrice ha detto Ippolito, Fedra dice Ahimé e la nutrice le domanda: “Queste parole ti toccano?”
Il mare crudele fa pensare a Esiodo che scrive è tremendo morire tra le onde: deino;n d j ejsti; qanei'n meta; kuvmasin", Opere e giorni, 687.
O anche a Verga che fa dire a Mena "il mare è amaro ripeteva ed il marinaio muore in mare"( I Malavoglia p. 98).
Ma si potrebbe tradurre e forse meglio con inflessibile e allora si puà pensare a Svevo: in Senilità “l’abito letterario” fa vedere a Emilio Brentani nel moto delle onde il correlativo oggettivo della “impassibilità del proprio destino. Non v’era colpa, per quanto ci fosse tanto danno.” Capitolo XII.
Bologna 23 aprile 2024 ore 19, 24 giovanni ghiselli
p. s.
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[1] Cfr. Andromaca, vv. 537-538: Menelao dice al figlio di Andromaca che lo supplica: “una rupe marina (aJlivan pevtran) o un’onda (h] ku'ma) tu supplichi con le tue preghiere. Significa, ovviamente, un supplicare vano. E’ il solito “odioso” Menelao di Euripide
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