sabato 13 aprile 2024

Nuovi post

Presento post insieme i post  che il computer non mi ha pubblicato in questi ultimi giorni

 

L’umanesimo quale amore per la natura

Teocrito 315-260

 I codici conservano 30 carmi di Teocrito con il nome di eijduvllia, in esametri,  più il carme figurato Su'rigx, zampogna, e 22 epigrammi presenti anche nell'Antologia Palatina.

Alcuni sono propriamente bucolici, altri di ambientazione urbana, altri encomiastici (per Tolomeo Filadelfo e la moglie Arsinoe, per Ierone II di Siracusa

Sono prevalentemente in dialetto dorico. Il metro è l’esametro

E’ la poesia bucolica che ha procurato la fama a Teocrito.

 

Vediamo il   VII idillio chiamato Le Talisie.

Qaluvsia festa delle primizie e della mietitura-qaluv~ abbondante, fiorente, qavllw fiorisco.

Simichìda  l’io narrante il Trovatore-alter ego di Teocrito-    incontra il capraio Licìda che aveva un gevlw~ un sorriso sulle labbra e gli chiede dove vada in quell’ora meridiana aJnika dh; kai;  sau'ro~ ejn aiJmasiai`si kaqeuvdei , 22- la lucertola dorme nei muriccioli di pietra.

Teocrito nacque a Siracusa (cfr. idillio XVIII, La conocchia) e questi muretti di pietre sovrapposte senz’altro nella zona si trovano ancora. La natura Di Teocrito è estiva e mediterranea .

 

Il motivo della lucertola verrà ripreso da Virgilio che presenta una natura meno assolata e luminosa. La  Bucolica I  racconta l’esproprio di un contadino in favore di un veterano della guerra civile , mentre la proprietà di Virgilio viene  salvata da Ottaviano.

L’ultimo verso (83)  descrive il calare del sole sulla campagna e sulla tristezza dell’ espropriato: “maioresque cadunt altis de montibus umbrae”.

 

L’amore è  tormentoso

Nella Bucolica II  il pastore Coridone ama il bell'Alessi. Formosum pastor Corydon ardebat Alexin , 1. Non è contraccambiato e ne soffre

O crudelis Alexi, nihil mea carmina curas?

Nil nostri miserere? Mori me denique coges (7).

Coridone non ha tregua:

Viceversa le greggi e le lucertole possono riposare

Nunc etiam pecudes umbras et frigoria captant

 Nunc viridīs etiam occultant spineta lacertos (9) ora i rovi spinosi nascondono anche le verdi lucertole.

 

Torniamo al VII idillio di Teocrito

 Simichìda e  Licìda, il capraio, vanno insieme alla festa rurale della mietitura  e si propongono di cantare insieme i canti dei pastori:"boukoliasdwvmesqa"(35-36). –boukoliavzw-

 

Licida propone una canzoncina (meluvdrion, 50) che rivela l'aspirazione a un carme di dimensioni modeste e un'affinità con la poetica di Callimaco (310-235) : la vittima sacrificale sia pure opima, ma la poesia e la Musa devono essere snelle e raffinate.

E infatti quando per la prima volta misi la tavoletta sulle mie ginocchia, mi disse Apollo Licio:

"bisogna, poeta, la vittima nutrire il più possibile

grassa, ma la Musa, o caro, deve essere fine;

inoltre anche questo io ti prescrivo: di calcare le strade

che i carri non battono, di non spingere il cocchio sulle stesse orme degli altri né su una strada larga, ma per sentieri

non calpestati, anche se ti spingerai per una via piuttosto stretta" (Aitia- 21-28) .

 

 Di nuovo le Talisie: il canto di Licida comincia con un protreptikovn per l'amato (canto esortativo) e continua con una serenata d'amore omosessuale.

 

Simichida-Teocrito dice che può reggere il confronto con Licìda che pure è il miglior suonatore di zampogna tra pastori e mietitori.

 Anche io sono una sonora bocca delle Muse (kai; ga;r ejgw; Moi'san kapuro;n stovma, v. 37).

Mi considerano ottimo cantore, ma se contendo con i poeti Asclepiade e Filita, sono come la rana con i grilli. Mentre Simichida diceva così però rideva.

Allora Licida disse: ti do il mio bastone poiché sei un virgulto di Zeus tutto forgiato sulla verità. Io odio l’architetto che vuole costruire una casa alta come l’Oromedonte e i cucùli delle Muse che fanno cucù (kokkuvzonte~, 48) affannandosi invano di imitare l’aedo di Chio cioè Omero.

Di nuovo la poetica della brevità del carme

 

Quindi Simichida canta altri amori omosessuali

Ha fatto starnutire gli Amori. Arato arde fin nelle ossa per amore di un ragazzo. Il poeta chiede a Pan di compiacere Arato. Se Pan non lo farà, sia maledetto.

Dunque gli Amori simili a pomi rosseggianti devono colpire con le frecce l’amabile Filino che non ha pietà di Arato. Filino è bello ma è già più maturo di un pomo e le donne dicono: ahimé, Filino, il tuo bel fiore cade (to; toi kalo;n a[nqo~ ajporrei') 121. Smettiamo di stare davanti alla porta chiusa di Filino. A noi stia a cuore la tranquillità (ajsuciva). E’ l’ideale del saggio teorizzato dai filosofi ellenistici portato nel campo dell’amore.

 

Finito il canto, Simichida-Teocrito riceve l’investitura: Licida gli diede lagwbovlon il bastone per colpire le lepri, come dono ospitale da parte delle Muse.

Quindi Simichida va alla fattoria di Frasidamo dove si sdraia con altri.

 

Sul capo stormivano ai[geiroi  pioppi neri  e ptelevai, olmi. Risuonava l’acqua sacra che sgorgava dall’antro delle ninfe;  sui rami ombrosi  le cicale bruciate dal sole- aijqalivwne~ tevttige~- frinivano senza riposo  e un gracidio gorgogliava da lontano (thlovqen) nelle fitte spine dei rovi ( 139-140)

 

Cfr. Leopardi: “allora-che, tacito, seduto in verde zolla,-delle sere io solea passar gran parte-mirando il cielo, ed ascoltando il canto-della rana rimota alla campagna![1].

Cfr. anche D’Annunzio: “La figlia dell’aria[2]-è muta; ma la figlia-del limo lontana,-la rana-canta nell’ombra più fonda-chi sa dove, chi sa dove!”[3].

 

Cantavano allodole e cardellini e[stene trugwvn, gemeva la tortora, volteggiavano intorno alle fonti veloci le api- xouqai; mevlissai 143.  

Dappertutto un profumo di pingue raccolto, dappertutto un profumo di frutti durante tutto l’anno

o[cnai, pere, ai nostri piedi, ai nostri fianchi ma'la le mele rotolavano in gran quantità e rami carichi di susine si piegavano fino a terra (144-146).

 

Cfr. Odissea VII, 120-121 il giardino della reggia di Arete: o[gcnh ejp j o[gcnh/ ghravskei, mh'lon d j ejpi; mhvlw/- aujta;r ejpi; stafulh'/ stafulhv, su'kon d j ejpi; suvkw/”. Pera su pera, mela su mela, grappolo su grappolo fico su fico.

Ogni albero fruttificava ejpethvsio~ 118 in ogni stagione

Cfr. Tasso, Gerusalemme liberata, XVI, 11: “Nel tronco istesso e tra l’istessa foglia-sovra il nascente fico invecchia il fico”. E’ il giardino di Armida.

 

Poi il canto del vino. Simichida chiede alle ninfe Castalidi (della Castalia di Delfi) che abitano i gioghi del Parnaso se quel vino è lo stesso che Eracle offrì a Chirone nell’antro roccioso di Folo. Oppure quello che fece danzare Polifemo, il pastore dell’Anàpo, un fiume della Sicilia, presso Siracusa cfr. Tucidide VI, 96, 3.

E’ il vino ismarico, ricordato da Archiloco, quello che Màrone di Ismaro, sacerdote di Apollo, donò a Odisseo (Odissea, IX, 40)     

 

Snell. La Cultura Greca E Le Origini Del Pensiero Europeo.

 XVI L'Arcadia.

Quello di Teocrito non è  un mondo  patetico come quello di Virgilio ma ironico-realistico. Teocrito rappresenta questi pastori in forma scherzosa. Lo scherzo deriva dalla consapevole dissonanza tra l'elemento popolare e quello letterario raffinato

Virgilio presenta un Teocrito rifatto in termini sentimentali e nello stesso tempo dà maggiore importanza all'elemento storico (cfr. la I Bucolica).  Teocrito si limita a descrivere la munificenza del Filadelfo.

La più matura delle sue poesie è le Talisie con la gara poetica tra Licìda e Simichìda (Teocrito). Ci sono riferimenti colti, per cui i canti sono apprezzabili solo da chi possiede una solida cultura letteraria. Rimane comunque il sentimento della natura con le cicale che, ebbre di sole, strillano nel denso fogliame a non finire.

 

Il mito della natura, scrive Pasolini, è un “mito antihegeliano e antidialettico , perché la natura non conosce i “superamenti”. Ogni cosa in essa si giustappone e coesiste…la “mitizzazione” della natura implica la “mitizzazione” della vita quale era concepita dall’uomo prima dell’era industriale e tecnologica, all’epoca in cui la nostra civiltà si organizzava intorno ai modi di produzione agraria  [4].

 

Nel X idillio, i Mietitori,  c’è Milone, l’ agricola bonus  come Aristeo che obbedisce alla madre,  poi c’è  Buceo che è preso da dementia  come Orfeo che nella IV Georgica, disobbedisce agli ordini di Plutone e Proserpina.

Milone è infaticabile, mentre Buceo, innamorato da dieci giorni, è svogliato.

Milone avverte Buceo che la ragazza da lui amata è brutta, una locusta, ed è dai facili costumi.

Ma dice Buceo: non solo Pluto è cieco (tuflov~, cfr. Pluto di Aristofane, 90-92) bensì anche Eros, oltre essere dissennato.

Milone consiglia a Buceo di alzare un canto : lavorerai meglio.

Buceo canta: “ Bombica è incantevole- Bombuvka carivessa 26,  la chiamano secca e bruciata dal sole (ijscna;n aJliovkauston), ma per me ha l’incarnato di miele. Cfr. Lucrezio IV 1160 nigra melǐchrus est.

Anche la viola e il giacinto sono scuri. I tuoi piedi sono astragali (ossicini). 

 

Poi canta Milone una canzone in lode dell’agricoltura e del lavoro che evita il sonno. Esorta i mietitori a cominciare quando si sveglia l’allodola e a continuare fino a quando va a dormire, senza smettere durante l’ora canicolare (to; kau'ma).

 

Hegel nell’Estetica scrive che l’idillio “nel senso moderno del termine” raffigura l’uomo nella sua innocenza.  Ma “fa astrazione da ogni più profondo interesse universale della vita spirituale ed etica”

 Vivere innocentemente significa pensare solo a mangiare e bere “e anche ciò solo con cibi e bevande molto semplici, ad esempio latte di capra o di pecora, solo eccezionalmente di mucca; inoltre erbe, radici, g6hiande, frutti, formaggi, mentre il pane, credo, non è già più da considerare molto idillico; la carne invece dovrebbe essere già permessa, perché i pastori e le pastorelle idillici non vorranno sacrificare certo tutto il gregge agli dèi”.

 La loro occupazione consiste nel sorvegliare, insieme al fedele cane, per tutto il santo giorno l’amato gregge, essere pii e mansueti, suonare il flauto e la zampogna oppure canticchiare qualcosa ma soprattutto amarsi reciprocamente con la massima tenerezza e innocenza. “Con tutto il sentimentalismo possibile coltivare amorevolmente sentimenti tali che non disturbino questa condizione di quiete soddisfatta”.

Questo sarebbe l’idillio da Virgilio in avanti

 

 “I Greci invece, nelle loro raffigurazioni plastiche, ebbero un mondo più gaio: il corteggio di Bacco, satiri, fauni, che, raggruppati anodinamente intorno a un dio, si sforzano di elevare la natura animale ad una letizia umana entro una vitalità e verità interamente diverse da quella pretenziosa innocenza pia e vuota. Lo stesso nucleo di una concezione viva…è ancora riconoscibile nei bucolici greci, per es., in Teocrito…Virgilio è già più freddo nelle sue Egloghe, ma il più noioso è Gessner[5], al punto che oggi non lo legge più nessuno” Ma ha avuto un certo successo, soprattutto tra i Francesi, per “il sentimentalismo che sfuggiva il tumulto e le complicazioni della vita…e l’assenza completa di ogni vero interesse, per cui furono evitati tutti gli altri rapporti con la nostra cultura che potevano arrecare turbamento”[6].

Né Teocrito né  Virgilio scrivono per il popolo, con la prospettiva di un popolo libero e colto che le legge o li ascolta come facevano Eschilo, Sofocle, Euripide, Erodoto e Tucidide.

I poeti ellenistici dovevano e volevano piacere ai tiranni.  

Il decadere della libertà di espressione comporta la decadenza della cultura, a partire dalla cultura umana, l’ajnqrwpivnh sofiva che stava a cuore agli Ateniesi fino a Socrate. Nell’età ellenistica abbiamo una poesia che Snell chiama  post filosofica.

"Questi poeti ellenistici erano, per dirla in una parola, post-filosofici, mentre i poeti arcaici erano pre-filosofici" (…)

Teocrito e il più notevole di tutti, Callimaco, portarono la poesia a una nuova fioritura. Post-filosofici sono questi poeti, nel senso che non credono più nella possibilità di dominare teoreticamente il mondo e nell’esercizio della poesia, a cui Aristotele aveva ancora riconosciuto un carattere filosofico, si allontanano dall’universale e si rivolgono con amore al particolare”( La cultura greca e le origini del pensiero europeo  p.371 e  p. 372).

Aggiungo che questa  poesia non è soltanto post- filosofica è  pure post-politica  se confrontata con le tragedie greche. E pure post umanistica perché il poeta dipende dal volere del committente: Teocrito scrive un encomio di Tolomeo e uno di Ierone e pure il mimo cittadino Le Siracusane contiene elogi di Tolomeo Filadelfo e della regina Arsinoe .

 

Callimaco rende omaggio alla regina Berenice

La vicenda del ricciolo sparito era la conclusione degli Aitia : Callimaco, con grazioso omaggio cortigianesco e raffinata perizia letteraria, canta l'assunzione in cielo della ciocca di capelli offerta da Berenice  perché suo marito, Tolomeo III Evergete, tornasse salvo e vittorioso da una spedizione militare contro Seleuco II di Siria (anno 246). Già l'astronomo di corte Conone aveva riconosciuto il ricciolo sparito dal tempio di Arsinoe Zefirite in una nuova costellazione da lui scoperta tra l'Orsa maggiore e la Vergine; ebbene il poeta diede il proprio contributo all'apoteosi della chioma regale con i distici che fanno parlare gli stessi capelli "incielati". Il testo è troppo mutilo per consentirci una traduzione letterale; i versi più chiari e interessanti sono quelli con i quali  il ricciolo ricorda la potenza ineluttabile del ferro che scavò il monte Athos per consentire il passaggio delle navi di Serse, quindi lamenta la crudeltà di questo metallo trovato dalla stirpe maledetta dei Calibi[7], in quanto l'ha  staccato dal capo augusto della regina la cui lontananza è dolorosa più di quanto sia motivo di piacere e di orgoglio trovarsi tra gli astri.

 

Virgilio non si vergogna mai di incensare i suoi protettori: la I Bucolica racconta la raccomandazione grazie alla quale il poeta ha potuto salvare i suoi poderi.

O Meliboee, deus nobis haec otia fecit.

Namque erit ille mihi semper Deus; illius aram

Saepe tener nostris ab ovilibus imbuet agnus 

Questo “dio”è Ottaviano.

E meno male che i sacrifici sull’altare del nume non offrono vittime umane. Lo sviluppo senza progresso già denunciato da Pasolini si sta coprendo di sangue:  sacrifica ogni giorno dei lavoratori al Moloch del lucro.

 

  Bologna 11 aprile 2024 ore 18, 12 giovanni ghiselli

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La nobile competizione benefica per la città.

 

“La nobile gara benefica per la città,/chiedo al dio di non/interromperla mai” prega il coro di vecchi tebani nel secondo stasimo dell’Edipo re  di Sofocle (vv. 879-881)

Questa nobile gara benefica per la polis- to;  d’ e[con- povlei pavlaisma- è la competizione politica fatta di parole. Quando non c’è la gara di parole politiche restano le parole retoriche e, soppresse anche queste, la parola che rimane è quella delle armi.

 

Bologna 12 aprile 2024 ore 9, 58 giovanni ghiselli

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Vicende esemplari

Si dice che l’eroe tragico combatte con il destino. Non si dice tutto però. Infatti la soluzione avviene quando il protagonista della tragedia capisce che il destino contro il quale lotta è il suo stesso fato, il proprio incoercibile fato. E lo accetta smettendo di lottare contro se stesso.

Tale è la conclusione dell’Edipo a Colono di Sofocle.

Lo stesso  esito troviamo nel romanzo di Buzzati Il deserto dei Tartari.

Esemplari anche per noi sono queste vicende.

 

Bologna 12 aprile 2024 ore 10, 27 giovanni ghiselli

 

 

 

La fine di Nerone

 

Vivo turpiter, deformiter quasi come Nerone e anche io, come l’imperatore prossimo a uccidersi, dico ouj prevpei moi, ouj prevpei, non si addice a me, non si addice. Che cosa? Il fatto che il mio computer non fa passare i post nel blog e devo bussare alla porta dei vicini- ora questo ora quello- per pubblicare.

Per non disperare mi dico in dialetto “chiedi a quel malèè, prova da cl’aaltré!”

Pregate per me prima che chieda l’aiuto di Epafrodito.

Disperato il figlio di Agrippina, il nipote dell’eroe Germanico, citò un verso dell’Iliade

{Ippwn m j wjkupovdwn ajmfi; ktuvpo~ ou[ata bavllei (X, 535), il fragore di cavalli dai piedi veloci, mi percuote le orecchie.

 

Cfr.  ktuvphse me;n Zeuv~ dell’Edipo a Colono  di Sofocle (1606)   e il tuono nell’ultomo capitolo del romanzo La montagna incantata di T. Mann.

 

Quindi Nerone ferrum iugulo adegit iuvante Epafphrodito a libellis (Svetonio, Vita, 49) si cacciò il ferro in gola aiutato da Epafrodito  segretario addetto alle suppliche.

Prometto a chi mi vuole bene che non lo farò. Questo infatti è un esempio negativo

 

Bologna 12 aprile 2024 ore 11, 06 giovanni ghiselli

 

 

 

Ifigenia CXXVII

La bionda mi salutò alzando la mano sinistra. Allora mi alzai e contraccambiai il saluto ma non la seguìi. La ragazza si mosse dalla parte del suo gruppo  e si unì a loro: si dirigevano verso la fermata del tram per andare a bere e ascoltare musica in un locale del centro,

Non risposi dunque al richiamo della tedesca se non con un cenno di cortesia tra compagni di scuola, quindi  non la raggiunsi e non la invitai a passare a fare lìamore con me nell’automobile come avevo fatto sbrigativamente con Nefertiti tre anni prima.

Così  realizzavo la fantasticheria della notte remota successiva al dì nel quale avevo scritto diverse pagine della tesi di laurea.

 A una possibile avventura con una straniera, a un altro peregrinus amor   e concubitus vagus da aggiungere alla collezione, avevo preferito una ancora possibile relazione di maggiore durata e impegno con una donna italiana bruna bruna.

Poco più tardi salìi in camera: sempre la stessa degli anni passati quando  scherzavo giovanilmente con gli amici e con le amanti: la numero 4 del III piano del II collegio. Sedetti nello studio che divideva le due parti.

Scrissi a Ifigenia facendole sapere che soffrivo la mancanza di lei e che lì a Debrecen dove pur non c’era carenza di persone simpatiche e mi accompagnavano ricordi anche belli, costitutivi di parte non piccola della mia identità,  mi sentivo dimezzato senza di lei, però grazie a tale dolore ero del tutto sicuro di amarla. Aggiunsi che quella sera non mi sarei unito ad alcuna brigata più o meno lieta, ma sarei rimasto solo per pensare a lei, la mia compagna ricca di mito e di poesia.

.

 

Il giorno seguente, 25 luglio 1978, lo passai in solitudine fino alle 10 di sera. Lessi e studiai la Storia dei Romani di Gaetano De Sanctis, poi All’ombra delle fanciulle in fiore di Proust, corsi i 5000 metri nello stadio due volte, pensai a Ifigenia, quindi le scrissi questi pensieri squilibrati:

“Ifigenia, tesoro, tu non sei qui, ma il ricordo del tuo sorriso abbronzato e festivo decora tutte le ore della mia giornata solitaria, studiosa e riflessiva. Ricordo il tuo splendido corpo che, svestito a festa, illuminava le stanze di casa mia, cupe altrimenti nella tetra atmosfera della nostra città dove lunghi sono gli inverni; ricordo le tue gonne che,  quando mi correvi incontro, si sollevavano al vento di primavera profumandolo con l’odore santo della tua pelle; ricordo come il tuo corpo brunito, all’inizio di questa stagione, faceva gioire l’aria marina quando andavamo sul moscone, al largo della spiaggia di Pesaro per fare l’amore, e le farfalle ci danzavano intorno i loro  valzer pieni di armonia. Io ti amo, Ifigenia, ti amo. Questi ricordi mi mantengono vivo, emozionato, attivo anche nella tua assenza pur dolorosa, e il tuo sorriso illumina, riempie di vita il mio cervello che altrimenti si stancherebbe nello studio della storia dell’imperialismo romano e di Proust, sensibilissimo e raffinato ma spesso privo di potenza verbale e di capacità sintetica. Ho con me la copia del volume L’ombra delle fanciulle in fiore che mi regalasti, e non manco mai di accarezzare, odorare, baciare la pagina sacra con le parole della tua dedica ricca di amore. Così il profumo di te, portato dal vento dell’ovest, mi ispira, mi spinge a correre lo stadio più di una volta al giorno con tutte le forze, a cronometro, e mentre spremo con gioia i liquidi del mio corpo agonista, mi sembra di avere un orgasmo con te.

La tua presenza in carne deliziosa e ossa modellate con arte, la tua parola intuitiva, poetica, amore, mi manca a tal punto che, quando l’effluvio odoroso di te, portato dal vento occidentale, si attenuerà, allora io, invece di andare allo stadio, situato dalla parte nord orientale dei selvosi Carpazi, andrò verso la parte occidentale di Budapest e di Hortobágy, dov’è la grande pianura ricca di girasoli: là correrò, anelando, mentre i soffi dell’aria odorosa di te mi benediranno e mi renderanno beato con il tuo aroma tutto intero prima che questo sia stato filtrato dalle avide, invide foglie assorbenti della grande foresta di Debrecen. Io allora continuerò a inebriarmi dell’essenza preziosa  esalata dalla tua carne divina. 

Ciao. Come vedi, ti penso

Tuo

gianni”

Tali iperboli barocche generava la mia smania amorosa.

 

Bologna 12 aprile 2024   ore 19, 22 giovanni ghiselli

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Ifigenia CXXVIII. La rinuncia senza ragione del perfetto imbecille

 

Fino alle 10 di sera  passai le ore del 25 luglio in funzione della scuola e dell’amante italiana, studiando, correndo, nuotando, abbronzandoni e salmodiando tanti Osanna piuttosto che gridare Evoè danzando con Dioniso e le sue menadi dai capelli fluttuanti nel vento.

Suonata la ventiduesima ora del giorno, decisi di uscire con l’intenzione non equivoca di andare all’Aranybika per bere un bicchiere di vino, uno solo. Poi sarei tornato e avrei studiato fino all’una di notte. Dopo avere gioito innocentemente del “Sangue di toro di Eger”, avrei versato altro sangue mio nell’impegno  dello studio e della scrittura, sempre sperando che  mi apparisse l’immagine di Ifigenia la bella, la buona, la santa.

 La mia follia era quasi completa.

Mi incamminai dunque tacito e solo lungo la strada compresa tra il prato delle abbronzature, dell’antica attesa di Helena[8], di Kaisa, di Päivi, a destra, e, sulla sinistra il collegio delle baldorie ancora più antiche[9], tutto terminato con l’ascesi appena compiuta.

 Un’ascesi  da anacoreta invasato dal demone del perbenismo sessuale piuttosto che  un esercizio da studioso amante dei classici greci e latini. E delle donne.

Sul prato c’erano diversi giovani: tra gli altri la bionda ninfa salutata la sera precedente.  Quando mi vide passare, si separò dal gruppo, mi raggiunse e mi chiese se volevo andare a bere del vino con lei.

Rimasi un attimo incerto, ci pensai un momento e decisi che non dovevo superare la giusta misura: quel giorno infatti non avevo sacrificato un ariete e una pecora nera come aveva fatto Odisseo per vitalizzare con il loro sangue le teste svigorite dei morti[10], bensì impiegato diverse ore del tempo oramai quasi estremo della mia gioventù a un idolo che probabilmente non era santo del tutto.

Dopo  le tante  ore di studio, di corse, nuotate,  riflessioni, sempre da solo, mi ero conquistato il diritto di concedermi un poco di compagnia, di svago, di deconcentrazione da me stesso, da Ifigenia e dal nostro rapporto non garantito.

Si apriva uno spiraglio per l’ equivocazione gesuitica.

Ma si richiuse presto per colpa mia. Una colpa dell’intelligenza, un errore erotico, efferato quasi quanto  un crimine. Non c’è cosa più amara della stupidità.

 Pensai, del resto senza sbagliarmi, che la bionda belloccia non doveva essere una persona triviale, se non altro per il fatto che aveva visto qualche cosa di strano-a[topon- di  buono e forse perfino di bello, nella mia persona non ordinaria. Anche Ifigenia del resto aveva detto che, salva la fedeltà dovuta e promessa, la sera sarebbe uscita in compagnia se avesse incontrato persone interessanti. Neppure lei sdegnava il vino, vero “equivocator with lechery[11].

La bionda che mi aveva invitato  si chiamava Silvia,, o chiama se vive ancora non solo nel mio rimpianto, aveva venticinque anni, era tedesca, di Berlino est, ma da tempo viveva e lavorava quale interprete e traduttrice a Budapest dove si era sposata e poi separata da un certo Virág del quale comunque conservava il cognome poiché le piaceva.

Virág è una parola ungherese che significa “fiore”.

“Virág, fiore, Bloom, come l’Ulisse ebreo ungherese irlandesizzato di Joyce”, pensò subito la mia mente avvezza a vedere le persone, le cose e il mondo intero nella lunga prospettiva formata dalle letture dei classici antichi e moderni.

La vita imita l’arte. La vita è allieva dell’arte, avevo imparato da Oscar Wilde.

Forse più avanti quella Silvia tentatrice mi avrebbe suggerito delle corrispondenze tra quanto di bello ricordavo dalle mie letture e quello che potevamo fare di bello e piacevole io e lei nella nostra vita mortale.

 Intanto ci avviammo verso l’Obester, un borozó o vineria, insomma una bettola simpatica, antica d’aspetto: una specie di grotta adibita a cantina dove si potevano bere diversi vini ungheresi, compreso l’egribikavér che al fiuto odorava di buono e mi faceva tornare in mente le finniche mie amanti e amate quanto nessuna dopo di loro.

Mentre ricordavo qugli aromi e guardavo la bionda accingendomi a un brindisi propiziatorio con lei, non sapevo ancora se durante la nostra prima  serata avrei cercato di stuzzicare le nostre libidini per poi sfogare la mia sensualità bestiale e pure divina, o se sarei tornato da solo  nel letto casto dove avrei dedicato la dura rinuncia alla mia Ifigenia che magari mi era altrettanto fedele.

Dopo l’immancabile prosit ci mettemmo a parlare, in inglese.

Si poteva farlo con agio siccome non c’erano violini, né cembali, né, tanto meno, mostruosi apparecchi gracchianti né altri rumori d’inferno che servono a sostituire il silenzio o la chiacchiera vuota delle teste vuote di tutto.

La bionda era meno snella e meno bella di Ifigenia la bella, ma anche molto meno povera di parole e idee interessanti. Aveva infatti una formazione assai più consistente di quella  di colei che, forse, chissà, ancora mi aspettava in Italia. Insomma con la tedesca bionda avevo più argomenti di interesse comune, e Afrodite  poteva farci giocare, o duellare, con le parole, in vista di un letto o di un prato illuminato dai nostri sorrisi, scaldato dai reciproci, frenetici abbracci,  e reso piacevolmente sonoro da  tripudi lieti, pieni di gratitudine al destino santo che ci aveva fatto incontrare quella sera d’estate quando eravamo giovani, lieti e ancora capaci di fare tante cose più o meno belle. Passai un paio di ore che ricordo bene e rimpiango dandomi del perfetto imbecille per non avere acciuffato l’occasione di imparare dell’altro da una femmina umana compiacente e intelligente, invece di macerarmi per un mese intero aspettando una lettera che non sarebbe arrivata  mai.

Qualche cosa comunque ho imparato: a non rifiutare un bene presente per rimanere immacolato nell’intesa di un bene tanto malsicuro che non sarebbe arrivato mai.

 

Bologna 13 aprile 2024 ore 10, 44 giovanni ghiselli

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[1] Le  ricordanze 9-13.

[2] La cicala

[3] La pioggia nel pineto, 89-95.

[4] Saggi sulla politica e sulla società, p. 1461.

[5] Zurigo q730- 1788. Scrisse in tedesco, Idilli, usando Teocroto come modello.

[6] Hegel, Estetica, pp. 1445-1446.

[7] Cfr. la maledizione del ferro fatta da Erodoto (I, 68, 4): il ferro è stato inventato per il male dell'uomo :" ejpi; kakw'/ ajnqrwvpou sivdhro" ajneuvrhtai".

[8] Cfr. La storia di Helena suddivisa  in diversi capitoli , una storia d’amore bella assai.

[9] Le prime risalgono al 1966 cfr.  il capitolo L’arrivo a Debrecen

[10] Cfr, Odissea, XI; 49 ajmenhna; kavrhna.

[11]  Equivocatore della lussuria, ne crea gli equivoci. Cfr. Shakespeare, Macbeth, II, 3

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