lunedì 18 agosto 2025

Argomenti vari 6. Considerazioni malevole sulle donne. Diversi autori.

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Riporto alcune posizioni maschiliste espresse anche da personaggi femminili presenti nella letteratura greca. Sono quasi tutte note ai miei lettori abituali che possono dare una scorsa e saltare il già conosciuto. Le ripubblico per i nuovi arrivati

Nelle Fenicie  di Euripide, il pedagogo avverte Antigone, il giovane, glorioso virgulto (kleinovnqavlo" , v. 88) che per le donne è un piacere non dire niente di buono nel parlare le une delle altre:"hJdonh; de; ti"-gunaixi; mhde;n uJgie;" ajllhvla" levgein" (vv. 200-201).

Parecchi secoli più tardi il seduttore intellettuale di Kierkegaard auspica che la ragazza cresca nella solitudine e nel silenzio:"Se dovessi figurarmi l'ideale di una fanciulla, questa dovrebbe sempre essere sola al mondo e quindi dedita a se stessa, ma anzitutto non dovrebbe avere amiche. E' ben vero che le Grazie furono tre, ma certamente neppure venne mai in mente ad alcuno di figurarsele a parlar tra loro; esse compongono nella loro tacita triade una leggiadra unità femminile. A tal proposito sarei quasi tentato di suggerire delle gabbie per le vergini, se tale costringimento non agisse invece in senso negativo. E' sempre augurabile per una giovinetta che le venga lasciata la sua libertà, ma che non le venga offerta occasione di servirsene"[1].

La moglie perfetta dunque non deve frequentare, non diciamo dei maschi che sarebbe una nefandezza meritevole di ripudio, ma nemmeno altre femmine con le quali potrebbe ordire congiure e progettare sconcezze.

 Nel Duvskolo" di Menandro, Sostrato, l'innamorato e pretendente della figlia del misantropo Cnemone, in un breve monologo  elogia l'educazione presumibilmente ricevuta dalla ragazza:"Se questa fanciulla non è stata educata tra le donne e non conosce nessuno di questi mali nella vita, e non è stata terrorizzata da qualche zia e balia, ma è venuta su liberamente con questo padre selvaggio che odia il male, come potrebbe non essere la mia felicità unire la mia sorte alla sua?" (vv. 384-389).

 E' proprio vero quanto affermava B. Shaw: essere innamorati significa esagerare smisuratamente la differenza tra una donna e un'altra.

Il silenzio e la tranquillità come virtù femminili vengono indicate anche da un'altra eroina e martire euripidea: Macaria che negli Eraclidi[2] dà la propria vita per salvare quella dei fratelli:"gunaiki; ga;r sighv te kai; to; swfronei'n-kavlliston, ei[sw q j h{sucon mevnein dovmwn"(vv. 476-477), per la donna infatti il silenzio e l'equilibrio sono la dote più bella, poi rimanere in tranquillità dentro la casa.

 "La donna, piaccia, taccia e stia in casa", pontificava il Duce che non aveva toccato il fondo.

Infatti uno potrebbe aggiungere: " ma non nella mia".

L'indicazione del silenzio come pregio delle donne, non manca nel padre della tragedia: Eschilo nella tragedia I sette a Tebe (del 467) rappresenta Eteocle, l'eroico difensore della città assediata, mentre prescrive al coro di ragazze tebane :" so;n d j au\ to; siga'n kai; mevnein ei[sw dovmwn" (v. 232), il tuo compito invece è tacere e rimanere dentro casa. Questa espressione fa parte della misoginia di Eteocle sulla quale possiamo fermarci un poco

Il Coro della tragedia è formato da ragazze tebane le quali nella Parodo lanciano grida di spavento per l’assalto degli Argivi, non urla da comari del resto, ma espressioni tutt’altro che pedestri e piuttosto ricche di metafore:"attraverso le mascelle equine/le briglie arpeggiano strage"(vv.122-123).

Sono invocati gli dèi olimpii:"ascoltate, ascoltate come è giusto/le preghiere dalle mani tese delle ragazze"(171-172).

Le suppliche delle giovani donne però non incontrano l'approvazione del re difensore della città, il quale anzi prorompe in una delle più aspre tirate antifemministe della letteratura greca:

"Domando a voi, animali insopportabili  (qrevmmat' oujk ajnascetav),/sono forse questi gli incoraggiamenti migliori/ per questo popolo assediato ed è la salvezza della città/il vostro urlare e gridare, cadute davanti alle statue/degli dèi protettori, odio dei saggi che siete?/Che io non conviva, né in brutte situazioni/e nemmeno nel caro benessere con la razza delle donne./Infatti quando prende il sopravvento è di un'audacia intrattabile,/quando ha paura è un male ancora più grande nella casa e nella città".(vv.181-189).

Le ragazze terrorizzate diffondono viltà tra i difensori: dunque si chiudano nelle case:"infatti stanno a cuore agli uomini le faccende di fuori,/non le decida la donna: e tu, rimanendo dentro, non fare danno"(vv. 200-201).

Eteocle esige di essere obbedito subito, senza repliche:"la disciplina infatti è madre del successo (peiqarciva gvr ejsti th'" eujpraxiva"-mhvthr) /che salva, o donna; il discorso sta in questi termini" (vv. 224-225). Quindi:"il tuo compito è tacere e rimanere dentro casa"( so;n d’ au\ to; siga'n kai; mevnein eisw dovmwn, 232).

La stessa disciplina che Creonte pretende da Antigone e dal proprio figlio Emone nell’Antigone di Sofocle.

Ma non è finita: Eteocle  inveisce ancora contro il Coro di ragazze:"vai in malora, non sopporterai queste difficoltà tacendo?"(v.252), e, poco più avanti,(v.256):"o Zeus, quale dono ci hai concesso, con la razza delle donne!".

Torniamo a Euripide. Ancora più feroce  verso la cosiddetta "razza delle donne" è il "puro folle" Ippolito che abbiamo già incontrato e del quale riferisco qualche altro verso :"La situazione più facile è per quello cui tocca una nullità, ma la donna/ inutile per la sua stupidità viene collocata in casa./La saccente la odio (sofh;n de; misw' , v. 640): non stia nella mia casa /quella che pensa più di  quanto debba pensare una donna./Infatti Cipride genera maggior malizia/nelle saccenti (ejn tai'" sofai'sin, 643); mentre la donna semplice/ è privata della pazzia amorosa dalla sua corta mente./Inoltre bisognerebbe che nessuna serva si recasse da una donna/ma che si mettessero ad abitare con loro muti morsi/di fiere, affinché non potessero rivolgere la parola ad alcuno/né ricevere parole di rimando da chicchessia./Ma ora le scellerate dentro le case macchinano/scellerati disegni, e le serve li portano fuori[3]" (Ippolito , 638-650).

Vediamo alcune espressioni della fantasia contraria alla natura di generare figli senza l'unione tra l'uomo e la donna.

 

 

Nell'Ippolito il protagonista, sdegnato con la matrigna, è talmente disgustato e terrorizzato dalle donne,  ingannevole male per gli uomini (" kivbdhlon ajnqrwvpoi"  kakovn ", v. 616), male grande ("kako;n mevga", v. 627), creatura perniciosa, o, più letteralmente, frutto dell'ate[4] ("ajthrovn[5]...futovn", v. 630), che, come abbiamo visto, auspica la loro collocazione presso muti morsi di fiere (vv. 646-647) e la propagazione della razza umana senza la partecipazione delle femmine umane.

Traduco alcune parole del "puro" folle che dà in escandescenze:

 "O Zeus perché ponesti nella luce del sole le donne, ingannevole male per gli uomini ?  Se infatti volevi seminare la stirpe umana, non era necessario ottenere questo dalle donne, ma bastava che i mortali mettendo in cambio nei tuoi templi oro e ferro o un peso di bronzo, comprassero discendenza di figli, ciascuno del valore del dono offerto, e vivessero in case libere, senza le femmine. Ora invece quando dapprima stiamo per portare in casa quel malanno, sperperiamo la prosperità della casa" (vv. 616-626).

 

Su questo, sentiamo anche Giasone nella Medea di Euripide :"Crh'n ga;r a[lloqevn poqen brotou;"-pai'da" teknou'sqai, qh'lu d  j oujk ei\nai gevno": -cou{tw" a]n oujk h\n oujde;n ajnqrwvpoi" kakovn" (vv. 573-575), bisognerebbe in effetti che gli uomini da qualche altro luogo/generassero i figli e che la razza delle femmine non esistesse:/e così non esisterebbe nessun male per gli uomini.

Insomma il male è la femmina.  

 

Un motivo  presente anche nel Paradise Lost (1658-1665) del "puritano d'incrollabile fede"[6] John Milton (1608-1674). In questo poema  Adamo si chiede perché il Creatore, che ha popolato il cielo di alti spiriti maschili, ha creato alla fine sulla terra questa novità, questo grazioso difetto di natura ( this fair defect [7] of Nature ) e non ha riempito subito il mondo con uomini simili ad angeli senza il femminino, o non ha trovato un altro modo per generare l'umanità ("or find some other way to generate Mankind? ", X,  888 e sgg.).

 

   Questo desiderio del maschio deluso è stato realizzato per sé dal Dio biblico che crea il mondo senza alcuna presenza femminile, come fa notare Fromm:"Il racconto non ha inizio con le parole:" In principio era il caos, in principio era l'oscurità", bensì, "In principio Dio creò...."-dunque lui solo, il dio maschile, senza intervento né partecipazione da parte della donna-cielo e terra. Dopo l'interruzione di una frase in cui risuonano ancora le antiche concezioni, il racconto prosegue:"E dio disse:"sia la luce", e la luce fu (Gn. 1, 3). Qui in tutta chiarezza compare l'estremo della creazione solamente maschile, la creazione per mezzo esclusivo della parola, la creazione attraverso il pensiero, la creazione attraverso lo spirito. Non si ha più bisogno del grembo materno per generare, non più della materia: la bocca dell'uomo che pronuncia una parola ha la capacità di creare la vita direttamente e senza bisogno d'altro (...) Il pensiero che l'uomo sia in grado di creare esseri viventi soltanto con la sua bocca, con la sua parola, dal suo spirito, è la fantasia più contronatura che sia immaginabile; essa nega ogni esperienza, ogni realtà, ogni condizione naturale, spazza via ogni vincolo posto dalla natura per raggiungere quell'unico  scopo: rappresentare l'uomo come assolutamente perfetto, come colui che possiede anche la capacità che la vita sembra avergli negato: la capacità di generare"[8].

 

Come si vede in confronto all’Ippolito di Euripide, l' Eteocle di Eschilo è un moderato. Infatti, quando, dopo l'ennesima richiesta di silenzio:"taci, disgraziata, non spaventare gli amici"( Sette a Tebe, v.262), la corifea glielo promette ("taccio: con gli altri sopporterò il destino", v. 263),  il re e difensore di Tebe risponde placato:"io preferisco da te questa parola piuttosto che quelle di prima./Inoltre, stando lontana dalle statue,/rivolgi agli dèi la preghiera migliore: che ci siano alleati"(264-266).

Anche Sofocle impiega il tovpo"  dell'opportunità del silenzio femminile quando Aiace in procinto di suicidarsi ingiunge di tacere all'amante Tecmessa con il solito ritornello:"guvnai, gunaixi; kovsmon hJ sigh; fevrei"[9], donna, alle donne il silenzio porta ornamento. Uno zittimento perentorio utilizzato qualche regime fa dall' eterno Andreotti alla deputata radicale Adele Faccio nel parlamento della nostra Repubblica. 

Una volta i parlamentari difficilmente conoscevano l’inglese o il tedesco però molti di loro sapevano di greco e di latino. Dico che dovremmo conoscere alla perfezione la nostra lingua madre, il che non è possibile se non si sa di greco e di latino. Poi bisognerebbe conoscere l’inglese tanto da essere capaci di capire e di farsi capire. Senza del resto arrivare a una mikth; glw`ssa  mescolando cioè un pessimo italiano con un pessimo inglese. E senza mutilare nessuna lingua con acronomi e sigle varie.

Certamente molti uomini oppressi da donne troppo loquaci e petulanti approverebbero Aiace, sebbene sconvolto e prossimo al suicidio.

Su questo argomento sentiamo Steiner:" In tutte le culture conosciute, gli uomini hanno sempre accusato le donne di essere ciarliere, di sprecare le parole con folle prodigalità. La femmina chiacchierona, borbottona e pettegola, la donna che non fa che cianciare, la bisbetica, la vecchia sdentata con la bocca piena del vento delle parole sono immagini più antiche delle fiabe. Giovenale[10] nella satira sesta, presenta come un incubo la verbosità femminile:"cedunt grammatici, vincuntur rhetores, omnis/turba tacet, nec causidicus nec praeco loquetur,/altera nec mulier; verborum tanta cadit vis,/tot pariter pelves ac tintinnabula dicas/pulsari; iam nemo tubas, nemo aera fatiget:/una laboranti poterit succurrere Lunae", (vv. 438-443) si arrendono i grammatici, sono sconfitti i retori, tutta/ la folla tace, né l'avvocato né il banditore parlerà,/ né un'altra donna; cade una colossale quantità di parole,/che si direbbe che altrettanti catini e sonagli/ vengano percossi; nessuno oramai affatichi le trombe e gli ottoni:/una donna soltanto potrà soccorrere la luna in travaglio[11].

La loquacità femminile è messa in rilievo anche da Polibio[12]  il quale del resto nota come questo vizio servì a propagare la fama della generosità di Scipione Emiliano che aveva rinunciato a un'eredità lasciatagli dalla nonna adottiva in favore della madre Papiria: allora la già buona reputazione della sua nobiltà morale andò crescendo  grazie alle donne che chiacchierano fino alla nausea su qualsiasi argomento nel quale si  siano gettate ("a{te tou' tw'n gunaikw'n gevnou" kai; lavlou kai; katakorou'" o[nto" , ef o{ ti a]n oJrmhvsh/", XXXI, 26, 10). In questo caso le chiacchiere delle femmine umane furono uno degli strumenti della buona Fortuna che assecondò l' ottima indole dell'eroe polibiano.

Chi parla troppo, uomo o donna che sia, facilmente è una persona che, vuota di tutto, teme le domande cui non saprebbe rispondere. Oppure è “tutto sesso andato a male” come tanti alti difetti di uomini e donne.

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Donne  molto diverse da Lou Salomé

L’uomo è attirato più dalla bellezza o dalla “virtù” della donna?

Nella seconda parte dell'Economico (capp. VII e sgg.) di Senofonte,  il personaggio Socrate riferisce un dialogo tenuto con Iscomaco che è un gentiluomo (kalo;" kai; ajgaqov" ) di campagna il quale considera l'agricoltura come la più nobile tra le attività economiche perché produce ricchezza e pure uomini nobili, pronti a difendere la patria.

 

Interessante è la considerazione della moglie. La ragazza deve essere sposata quando è ancora molto giovane dall'uomo già adulto perché questo possa educarla, o addirittura addomesticarla.

 

 Una posizione già presa dal protomisogino Esiodo il quale consiglia il matrimonio con una vergine sui diciassette anni all'uomo circa trentenne perché, precisa, tu possa insegnarle onesti costumi:"wJv" k j h[qea kedna; didavxh/""[13].

 

Come deve essere la sposa buona? Secondo Senofonte ella deve occuparsi dei lavori interni alla casa, mentre il marito seguirà quelli esterni. Infatti per la donna è più bello restare dentro casa che vivere fuori ("Th'/ me;n ga;r gunaiki; kavllion e[ndon mevnein  h] quraulei'n", Economico , VII, 30) mentre per l'uomo è più vergognoso rimanere in casa che impegnarsi nelle cose esterne.

Iscomaco racconta che, quando si era sposato, sua moglie non aveva ancora 15 anni : “ h] e[th me;n ou[pw pentekaivdeka gegonui`a h\lqe pro;ς ejmev”, e nel tempo precedente viveva sotto un’assidua sorveglianza “o{pwς w;ς ejlavcista me;n o[yoito, ejlavcista d j ajkouvsoito, ejlavcista d’ ejrhvsoito” (VII, 4),  perché vedesse il meno possibile, ascoltasse il meno possibile, domandasse il meno possibile .

Iscomaco dunque ha insegnato alla moglie-ragazza che le cose davvero belle e buone non si accrescono grazie all’avvenenza della giovane età, agli occhi degli uomini, ajlla; dia; ta;~ ajreta;~ bensì per le virtù funzionali alla vita (Senofonte, Economico , VII, 43). Non è chiaro in cosa consistano queste virtù. Ma in un discorso economico saranno quelle della massaia.

Nell'Andromaca[14] di Euripide , la moglie sottomessa può costituire un  contrasto con la Medea del medesimo autore. La vedova di Ettore, divenuta schiava e amante di Neottolemo, spiega a Ermione la legittima moglie del figlio di Achille, sterile e non amata dal marito, con quali mezzi una sposa può acquistare e mantenere l'affetto dello sposo. 

"Non certo per i miei farmaci[15] ti odia lo sposo/ ma se non sei adatta a vivere con lui./ E' un filtro  amoroso anche questo: non la bellezza, o donna,/ ma le virtù danno piacere ai mariti."- (ouj to; kavllo~ , w\  guvnai,-ajll j ajretai; tevrpousi tou;~ xuneunevta~ vv. 20t-208 ). Nel caso della moglie di Ettore rappresentata da Euripide in questa tragedia e nelle Troiane, la sua virtù è la sottomissione al marito.

La svalutazione della bellezza è un’operazione sospetta, tipica di chi non è bello né intelligente. Chi è davvero bello conta sull’aspetto, chi è davvero intelligente conta su questa forza e nessuno dei due sente il bisogno di svalutare l’altro.

 Ovidio nei Medicamina faciei (1 d. C.) : sostiene che l'aspetto piace se anche il carattere è attraente (ingenio facies conciliante placet, v. 44) il poeta raccomanda la tutela morum (v. 43), la cura del comportamento:"Certus amor morum est, formam populabitur aetas,/ et placitus rugis vultus aratus erit" (45-46), sicuro è l'amore del costume, l’età devasterà la bellezza, e il volto piacente sarà solcato da rughe.

Insomma i buoni costumi gli optimi mores sono la dote ottima per le ragazze da marito.

Nell’Aulularia di Plauto, l’avaro Euclione dice al benestante Megadoro che se loro due diventassero consuoceri quello ricco maltratterebbe quello povero.

Poi ribadisce: “nihil est dotis quod dem” (238). Non ho un soldo da dare di dote (a  mia figlia che tu vuoi sposare)

Megadoro allora ribatte :

"Ne duas. Dum modo morata recte veniat, dotata est satis "(239) purché venga con buoni costumi (mores) ha già una bella dote.

 

Certamente la bellezza è meno stabile e più rapidamente peritura, tuttavia credo che tra le buone doti  possa esserci una sinergia: per lo meno l’intelligenza contribuisce a conservare a bellezza, talora perfino a costruirla.

Bisogna poi vedere che cosa si intende per virtù. Personalmente trovo più interessante una donna come la Sempronia di Sallustio che nella moglie scelta da Iscomaco, una fanciulla ignara di tutto o nell’Andromaca subordinata di Euipide

 

In una donna l'audacia ben difficilmente viene considerata una virtù: si pensi alla Sempronia sallustiana:"quae multa saepe virilis audaciae facinora commiserat " (Bellum Catilinae, 25) che spesso aveva perpetrato misfatti di audacia virile.

Sentite quali sono questi “misfatti”: “litteris Graecis, Latinis docta, psallere, saltare elegantius quam necesse est probae, multa alia, quae instrumenta luxuriae sunt. Sed ei cariora semper omnia quam decus atque pudicitia fuit; pecuniae an famae minus parceret, haud facile discerneres; lubido sic accensa, ut saepius peteret viros quam peteretur”, sapeva di latino e di greco, e suonare e danzare con eleganza maggiore di quanto si chiede a una onesta, e conosceva molte altri mezzi che sono strumenti di lussuria. Ma tutto le fu sempre più caro che il decoro e la pudicizia, non avresti potuto facilmente decidere se avesse meno riguardo del denaro o della reputazione: la libidine era così ardente che cercava gli uomini più spesso di quanto venisse cercata.

 Faceva insomma parte della risma dei seguaci di Catilina, uomini di ogni tipo e donne che da giovani si erano prostituite, poi riempite di debiti  gente con la quale il loro caporione contava di sollevare gli schiavi, incendiare Roma, arruolare i loro mariti o ucciderli.

Il ritratto paradossale di Sempronia-donna piena di vizi e di capacità, termina con queste parole: “Sed ea saepe antehac fidem prodiderat, creditum abiuraverat, caedis conscia fuerat : luxuria atque inopia praeceps abierat.  Verum ingenium eius haud abssurdum : posse versus facere, iocum movere, sermone uti vel modesto vel molli vel provaci; prorsus multae facetiae multusque lepos inierat (25) ma già prima ella aveva spesso tradito la fede, negato con spergiuro un debito, era stata complice di un delitto: per il lusso e il bisogno era caduta in rovina. Tuttavia il suo ingegno non era rozzo: era capace di versificare, di scherzare, di conversare con parole modeste o tenere o licenziose: insomma in lei c’era molto spirito e molto fascino.

Di sicuro più che in un’oca.

 

Villa Fastiggi  18 agosto 2025 giovanni ghiselli ore 19, 42

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[1] S. Kierkegaard, Diario del seduttore (del 1843), p. 53.

[2] Del 430 ca..

[3] Si può pensare a quella della moglie di Eufileto dell'orazione di Lisia.

[4] L'accecamento mentale, una smisurata forza irrazionale.

[5] La protagonista dell'Andromaca fa l'ipotesi:" eij  gunaikev~ ejsmen  ajthro;n kakovn "(Andromaca, v. 353), se noi donne siamo un male pernicioso.

[6] C. Izzo, Storia della letteratura inglese, p. 517.

[7] Cfr. questo nesso ossimorico con kalo;n kakovn, bel malanno, sempre riferito alla donna da Esiodo nella Teogonia ( v. 585). Ci torneremo più avanti.

[8]E. Fromm, Amore sessualità e matriarcato , trad. it. Mondadori, Milano, 1997. p. 104 e 105.

[9] Aiace (del 456), v. 293.

[10] 50/60-140 d. C.

[11]Il rumore di catini e campanelli doveva cacciare gli spiriti cattivi che provocano l'eclissi.

[12] 200 ca-118 ca a. C.

[13]Le opere e i giori , v. 699.

[14] Composta tra la Medea del 431 e l'Ippolito del 428, ossia nei primi anni della guerra del Peloponneso.

[15]  Con i favrmaka (v.205) e il   fivltron (v. 207) Andromaca allude ai filtri e alle droghe delle maghe del mito e della letteratura: Circe, Calipso, Medea.

 


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