domenica 31 agosto 2025

Autori greci e latini in Shakespeare 6.


 

 

Antifemminismo in diversi autori.

Nel Cimbelino[1] ,  Postumo Leonato, che si crede tradito da sua moglie Imogene, impreca contro le donne e la necessità di mettere al mondo i figli con loro: “Is there no way for men to be, but women-Must be half-workers?We are all bastards,-And that most venerable man, which I-Did call father, was I know not where-When I was stamp’d ” (II, 5), non c’è modo per gli uomini di esserci, senza che le donne facciano metà del lavoro? Noi siamo tutti bastardi, e quell’uomo rispettabilissimo che io chiamavo padre, era chissà dove, quando io fui coniato.

Leonato continua maledicendo le donne e attribuendo loro tutti i vizi: “ That tends to vice in man, but I affirm- It is the woman’s part: be it lying, note it,-The woman’s: flattering, hers; deceiving, hers:-Lust, and rank thoughts, hers, hers; revenges, hers;-Ambition, covetings, change of prides, disdain,-Nice longing, slanders, mutability[2];-All faults that name, nay, that hell knows, why, hers-In part, or all: but rather all.” Quello che spinge l’uomo al vizio, io affermo, deriva solo dalla donna: sia esso il mentire, notate, è della donna: la lusinga è sua, l’inganno è suo: la lussuria, i pensieri immondi, suoi, suoi; le vendette, sue; ambizione, bramosie, superbie variabili, disprezzo, bizzarri desideri, calunnie, volubilità; tutte colpe che hanno un nome, anzi che l’inferno conosce, ebbene sono sue, in parte o in tutto: ma piuttosto in tutto.    

 

Nell'ultimo atto della commedia The Taming of the Shrew (1594) ambientata tra Padova e Verona, , la bisbetica, infine domata, proclama: l'obbedienza che un suddito deve al suo re, la donna deve a suo marito. Quindi, del tutto pentita, aggiunge:"I am ashamed that women are so simple/To offer war where they should kneel for peace,/Or seek for rule, supremacy, and sway,/When they are bound to serve, love, and obey", mi vergogno che le donne siano così sciocche da offrir guerra mentre dovrebbero chiedere la pace in ginocchio; o cerchino il governo, la supremazia, il predominio, quando sono destinate a servire, ad amare e a ubbidire"[3].  Shakespeare forse risente  di una   prescrizione dell'apostolo Paolo:"wJ" ejkklhsiva uJpotavssetai tw'/ Cristw'/, ou{tw" kai; aiJ gunai'ke" toi'" ajndravsin ejn pantiv" (Epistola agli abitanti di Efeso , 5, 22), come la Chiesa è soggetta a Cristo, così anche le mogli ai mariti in ogni cosa.

 

Cfr. Andromaca nelle Troiane e nell’Andromaca di Euripide sulla propria sottomissione a Ettore

 

Vediamo alcune espressioni della fantasia, contraria alla natura, di generare figli senza l'unione tra l'uomo e la donna. L’amore etero e omosessuale

 Euripide, Milton, Curzio Rufo, Platone, Ariosto, Fromm, Ibsen, Joyce.

 

Sentiamo innanzitutto Giasone nella Medea di Euripide :"Crh'n ga;r a[lloqevn poqen brotou;"-pai'da" teknou'sqai, qh'lu d j oujk ei\nai gevno": -cou{tw" a]n oujk h\n oujde;n ajnqrwvpoi" kakovn" (vv. 573-575), bisognerebbe in effetti che gli uomini da qualche altro luogo/generassero i figli e che la razza delle femmine non esistesse:/e così non esisterebbe nessun male per gli uomini.

Insomma il male è la femmina.  

Un motivo  presente anche nel Paradise Lost (1658-1665) del "puritano d'incrollabile fede"[4] John Milton (1608-1674). In questo poema  Adamo si chiede perché il Creatore, che ha popolato il cielo di alti spiriti maschili, ha creato alla fine sulla terra questa novità, questo grazioso difetto di natura ( this fair defect [5] of Nature ) e non ha riempito subito il mondo con uomini simili ad angeli senza il femminino, o non ha trovato un altro modo per generare l'umanità ("or find some other way to generate Mankind? ", X,  888 e sgg.).

 

Nell'Ippolito il protagonista, sdegnato con la matrigna, è talmente disgustato e terrorizzato dalle donne,  ingannevole male per gli uomini (" kivbdhlon ajnqrwvpoi"  kakovn ", v. 616), male grande ("kako;n mevga", v. 627), creatura perniciosa, o, più letteralmente, frutto dell'ate[6] ("ajthrovn[7]...futovn", v. 630), che auspica la loro collocazione presso muti morsi di fiere (vv. 646-647) e la propagazione della razza umana senza la partecipazione delle femmine umane.

Traduco alcune parole del "puro" folle che dà in escandescenze:

 "O Zeus perché ponesti nella luce del sole le donne, ingannevole male per gli uomini ?  Se infatti volevi seminare la stirpe umana, non era necessario ottenere questo dalle donne , ma bastava che i mortali mettendo in cambio nei tuoi templi oro e ferro o un peso di bronzo, comprassero discendenza di figli, ciascuno del valore del dono offerto, e vivessero in case libere, senza le femmine. Ora invece quando dapprima stiamo per portare in casa quel malanno, sperperiamo la prosperità della casa" (vv. 616-626).

 

 Nelle Baccanti di Euripide il coro delle menadi durante il secondo stasimo ricorda la nascita di Dioniso dalla coscia di Zeus:“ Figlia di Acheloo,/maestosa e bella vergine Dirce,/tu infatti una volta nelle tue acque/accogliesti il figlio di Zeus,/quando Zeus il genitore lo sottrasse/con la coscia al fuoco immortale/gridando così :/Vieni, Ditirambo, entra/in questo mio maschio grembo” (vv. 519-527).

Un mito del quale Curzio Rufo denuncia la falsità quando racconta che Alessandro Magno giunse a Nisa, tra i fiumi Cofen  e Indo. Dopo un breve assedio, i Nisei, che asserivano di discendere dal padre Libero, capitolarono. "Sita est <urbs>sub radicibus montis quem Meron incolae appellant; inde Graeci mentiendi traxēre licentiam Iovis femine Liberum Patrem esse celatum (Historiae Alexandri Magni, 8, 10, 12), la città è situata sotto il monte che gli abitanti chiamano Meros; di lì i Greci  si presero la libertà di inventarsi che il Padre Libero era stato nascosto nella coscia di Giove

Nelle Questioni d'amore dello Pseudo- Luciano il personaggio di Caricle corinzio che propugna l'amore eterosessuale afferma che nessun uomo può vantarsi di essere nato da un uomo: "oujdei;~ d  j ajnh;r ajp j ajndro;~ aujcei' genevsqai" (19).

 

Nel Simposio di Platone, Pausania intende correggere il precedente discorso encomiastico di Fedro nei confronti di Eros, facendo una distinzione tra due forme di Amore e due varietà di Afrodite. La più antica (presbutevra) e nobile, Urania, è figlia del Cielo (Oujranou' qugavthr) ed è nata senza madre (ajmhvtwr, 180 d);

 la più recente è figlia di Zeus e Dione e noi la chiamiamo Volgare, Usuale (Pavndhmon kalou'men, 180 e). Così gli Amori, figli di Afrodite, sono due: uno celeste, come la madre, e uno volgare al pari della madre sua. Dunque bisogna elogiare (dei' ejpainei'n) solo Eros figliolo di Afrodite Urania. Infatti l'altro Eros, quello nato da Afrodite Volgare, è veramente volgare e agisce a casaccio, e questo è l'amore che prediligono oiJ fau'loi (181 b), gli uomini dappoco. Costoro infatti amano le donne non meno dei ragazzi, amano i corpi più delle anime e amano le persone che siano il più possibile prive di intelligenza, mirando ad avere relazioni sessuali (pro;~ to; diapravxasqai movnon blevponte~).

Afrodite Celeste dunque non partecipa della natura femminile, e gli uomini ispirati da Eros Celeste, figlio di tale madre, si rivolgono ai maschi che sono più forti e intelligenti delle donne.

 

 

 

 

Nell'Orlando furioso (1532) troviamo echi di questo risentimento contro le donne, messi in bocca al personaggio di Rodomonte, scartato da Doralice.

Prima il"Saracin" biasima l'instabilità e la perfidia delle donne:" Oh feminile ingegno,-egli dicea-/come ti volgi e muti facilmente[8],/contrario oggetto a quello della fede!/Oh infelice, oh miser [9] chi ti crede!" (27, 117). 

 Quindi Rodomonte  aggiunge il motivo esiodeo della femmina umana[10] imposta come punizione all'umanità maschile:"Credo che t'abbia la Natura e Dio/produtto, o scelerato sesso, al mondo/per una soma, per un grave fio/de l'uom[11], che senza te saria giocondo:/come ha prodotto anco il serpente rio/e il lupo e l'orso, e fa l'aer fecondo/e di mosche e di vespe e di tafani,/e loglio e avena fa nascer tra i grani" (27, 119). Infine l'amante infelice rimprovera la Natura, come Ippolito e Giasone, poiché costringe gli uomini a mescolarsi con le donne per la riproduzione:"Perché fatto non ha l'alma Natura,/che senza te potesse nascer l'uomo,/ come s'inesta per umana cura/l'un sopra l'altro il pero, il sorbo e 'l pomo?/Ma quella non può far sempre a misura:/anzi, s'io vo' guardar come io la nomo,/veggo che non può far cosa perfetta,/poi che Natura femina vien detta"(27, 120).

 

   Questo desiderio del maschio deluso è stato realizzato per sé dal Dio biblico che crea il mondo senza alcuna presenza femminile, come fa notare Fromm:"Il racconto non ha inizio con le parole:" In principio era il caos, in principio era l'oscurità", bensì, "In principio Dio creò...."-dunque lui solo, il dio maschile, senza intervento né partecipazione da parte della donna-cielo e terra. Dopo l'interruzione di una frase in cui risuonano ancora le antiche concezioni, il racconto prosegue:"E dio disse:"sia la luce", e la luce fu (Gn. 1, 3). Qui in tutta chiarezza compare l'estremo della creazione solamente maschile, la creazione per mezzo esclusivo della parola, la creazione attraverso il pensiero, la creazione attraverso lo spirito. Non si ha più bisogno del grembo materno per generare, non più della materia: la bocca dell'uomo che pronuncia una parola ha la capacità di creare la vita direttamente e senza bisogno d'altro (...) Il pensiero che l'uomo sia in grado di creare esseri viventi soltanto con la sua bocca, con la sua parola, dal suo spirito, è la fantasia più contronatura che sia immaginabile; essa nega ogni esperienza, ogni realtà, ogni condizione naturale, spazza via ogni vincolo posto dalla natura per raggiungere quell'unico  scopo: rappresentare l'uomo come assolutamente perfetto, come colui che possiede anche la capacità che la vita sembra avergli negato: la capacità di generare"[12].

 

 E meno male che poi "il Signore Dio disse:"Non è bene che l'uomo sia solo: gli voglio fare un aiuto che gli sia simile" (Genesi, 2, 23).

 

  Alonge denuncia l'invidia del ventre femminile da parte dei maschi nei drammi di Ibsen, in particolare in Il costruttore Sollness del 1892:"L'uomo odia la donna, la odia perché ha invidia del suo ventre…Non ci sono donne nella religione del capitale. Il dio padre corrisponde esattamente al dio creatore. Il Figlio discende direttamente e misteriosamente dal Padre. Nell'olimpo cristiano la Vergine tenta di nascondere a malapena un evidente processo di partenogenesi maschile"[13].

L’antifemminismo auspica la sottomissione della donna per il bene della pace tra l'uomo e la sua compagna che non deve essergli ostile.

 

Villa Fastiggi primo settembre 2025 ore 6, 59 giovanni ghiselli

p. s.

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[1] Del 1610

[2] Cfr.  "varium et mutabile semper/femina " diVirgilio (Eneide , IV, 569-570).

 

[3] W. Shakespeare, La bisbetica domata, V, 2.

[4] C. Izzo, Storia della letteratura inglese, p. 517.

[5] Cfr. questo nesso ossimorico con kalo;n kakovn, bel malanno, sempre riferito alla donna da Esiodo nella Teogonia ( v. 585). Ci torneremo più avanti.

[6] L'accecamento mentale, una smisurata forza irrazionale.

[7] La protagonista dell'Andromaca fa l'ipotesi:" eij  gunaikev~ ejsmen  ajthro;n kakovn "(Andromaca, v. 353), se noi donne siamo un male pernicioso.

[8] Cfr. il già citato "varium et mutabile semper/femina " diVirgilio (Eneide , IV, 569-570).

 

[9] Questo miser risale alla letteratura latina nella quale, a partire da Catullo, dicono alcuni,  assume il significato di persona infelice per l'amore non contraccambiato.  In realtà se ne trovano già diversi esempi in Plauto. Qui ne do un paio:"miseriorem ego ex amore quam te vidi neminem" dice l'anziano Alcesimo al vecchio amico Lisidamo innamorato di Casina (v. 520), non ho mai visto uno più infelice, per amore, di te. Più avanti lo stesso innamorato conferma:"Neque est neque fuit me senex quisquam amator adaeque miser" (685), non c'è e non c'è stato un vecchio innamorato infelice quanto me. 

[10] Pandora

[11] Cfr. il mito di Pandora nei poemi di Esiodo (Teogonia e Opere e giorni)

[12]E. Fromm, Amore sessualità e matriarcato , trad. it. Mondadori, Milano, 1997. p. 104 e 105.

[13] R. Alonge, Epopea borghese nel teatro di Ibsen, Guida Editori, Napoli, 1983, p. 139.


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