Nietzsche è arrivato al punto in cui è prossimo a impiccarsi con il nodo paradossale della sua esistenza, l’inattualità, Disprezza quasi tutti i valori celebrati dal presente: morale, democrazia, cristianesimo, metafisica, progresso. Negli scritti del 1888 il demone dell’inattualità diventa intollerante.
Nietzsche sta perdendo contatto con la realtà.
Nietzsche e Alessandro Magno
Ecce homo Perché sono così saggio 3.
“L’affinità con i propi genitori è minima: sarebbe il segno estremo della volgarità essere affini ai propri genitori. Le nature superiori hanno la loro origine infinitamente più indietro, per arrivare a esse si è dovuto raccogliere, risparmiare, accumulare come per nessun altro. I grandi individui sono i più vecchi: Giulio Cesare potrebbe essere mio padre-o anche Alessandro, questo Dioniso in carne e ossa”.
Alessandro a sua volta faceva credere di non essere figlio di Filippo II.
I sacerdoti di Ammone (331 a. C.) lo assecondarono e adularono. I responsi erano falsi, ma la buona fortuna spinge gli uomini a credere solo in se stessi e ad essere più avidi che capaci di gloria. Alessandro non solo permise che venisse chiamato figlio di Giove, a anzi lo comandò- Iovis igitur filium se non solum appellari passus est, sed etiam iussit (Curzio, 4, 7, 29).
Così, commenta lo storiografo latino, invece di accrescere la gloria delle sue imprese, la guastò, e disgustò i Macedoni per giunta.
Plutarco sostiene che il profeta di Ammone, volendo rivolgersi a lui con affetto e non conoscendo bene il greco, gli disse w\ paidiov~ - o figlio di Zeus-credendo di dire w\ paidivon, ajnti; tou' nu' tw'/ sivgma crhsavmenon (Vita, 27, 9) o figlio usando sigma invece di ny, e Alessandro ne fu ben lieto. Quindi si diffuse la voce che il dio stesso lo aveva chiamato figlio di Zeus.10, 21
Nietzsche 103. Perché sono così saggio 4. Nietzsche professore
Nietzsche insegnò per dieci anni dal 1869 venticinquenne- al 1979 trentacinquenne – nel liceo e nell’ Università di Basilea.
“Io addomestico gli orsi, insegno la buona educazione ai buffoni. Durante tutti i sette anni in cui ho insegnato greco nella classe superiore del liceo di Basilea, mai una volta ho avuto l’occasione di dover punire qualcuno; anche i pigroni diventavano diligenti con me (…) la compassione è chiamata virtù solo tra i décadents. Rimprovero i compassionevoli perché perdono facilmente il pudore, il rispetto, perché basta un niente e la compassione puzza di plebe e somiglia alle cattive maniere fino a confondersi con esse- perché in certe circostanze le mani compassionevoli possono intervenire distruttivamente in un grande destino. Io annovero il superamento della compassione fra le virtù nobili”.
Si può citare a questo punto la Poetica di Aristotele:
:"La tragedia è dunque imitazione di azione seria e compiuta (mivmhsi~ pravxew~ spoudaiva~ kai; teleiva~) che, con una certa estensione e con parola ornata (hJdusmevnw/ lovgw/) presentata da attori che agiscono e non attraverso un racconto, per mezzo di pietà e terrore, compie la purificazione da tali affezioni"(di j ejlevou kai; fovbou peraivnousa th;n tw'n toiouvtwn paqhmavtwn kavqarsin, 1449b, 28). La pietà dunque è un’affezione, un pavqhma che si sovrappone agli altri e li aggrava.
L’ho verificato vivendo, dunque sono lettere vive queste di Nietzsche e di Aristotele.
Quando dopo il liceo per due anni interi attraversai una crisi di identità che mi portò ad augurarmi la morte, quanti mi dicevano “poverino, poverino, tanta pena mi fai!” giravano coltelli nelle mie piaghe e mi spingevano verso l’abisso. Mi aiutarono invece due amici: Fulvio dicendomi che, se non smettevo di lamentarmi, dato che non ne avevo motivo siccome non mi mancava niente, mi avrebbe picchiato pesantemente dandomi dei motivi seri per piagnucolare, e un altro, Claudio, quando la notte nella stanza del collegio di Debrecen, spengendo la luce dicevo: “domani mi uccido”, una battuta del resto ripresa dal film Fuoco fatuo di Louis Malle a sua volta tratto dal romanzo Le feu follet di Drieu La Rochelle, gridava: “perché non ti uccidi subito, borsa, e ci lasci dormire? Se non lo fai da solo anzi, e continui a disturbare, vengo io ad ammazzarti”. Allora finalmente, spaventato e persuaso, tacevo.
Questi due amici di Parma mi hanno aiutato. E pure educato.
Un terzo amico benevolo e beneficente è stato il veneto Danilo che diceva: “non lamentarti, caro da Dio, la vita è tutta una festa rallegrata dal vino e dalle femine!” parole dette bene e benedette. Aveva ragione quel bevitore santo. Eravamo nel luglio de 1966. L’anno della mia salvazione.
Nietzsche 104. Ecce homo. Perché sono così saggio 6. Contro il ressentiment.
Per il malato il ressentiment è la cosa proibita, il suo male: per disgrazia è anche la sua tendenza più naturale.-Proprio questo aveva capito quel profondo fisiologo che fu Buddha. La sua “religione”, che si farebbe meglio a chiamare igiene, per non mescolarla con cose tanto miserevoli come il cristianesimo, misurava la sua efficacia in rapporto alla vittoria sul ressentiment : liberarne l’anima-primo passo verso la guarigione. “Non si pone fine all’inimicizia con l’inimicizia, ma con l’amicizia”: questo è l’inizio dell’insegnamento di Buddha.-e non è la morale a parlare così, ma la fisiologia. Il ressentiment che nasce dalla debolezza, non è dannoso a nessuno quanto al debole stesso. In altri casi, quando si tratta di nature forti, è un sentimento superfluo, un sentimento da dominare, e saperlo dominare è quasi la prova della propria ricchezza”.
Chi è forte non prova risentimento perché ha tutta la propria ricchezza dentro di sé e non può essere espropriato da nessuno
Porto la testimonianza di Seneca il quale racconta che Stilpone di Megara uscì sorridente dal fuoco che divampava ovunque nella sua città conquistata da Demetrio.
Il Poliorcete lo vide e gli domandò num quid perdidisset. E il filosofo che pure aveva perduto persino la moglie e i figli: “Nihil-inquit- perdidi. Omnia mea mecum sunt: iustitia, virtus, prudentia, hoc ipsum, nihil bonum putare quod eripi posset” (Seneca, Ep. 9, 18-19).
Personalmente, dato il mio essere a[topo~, ho avuto diversi nemici che non sopportavano la mia stravaganza. Ma non conservo rancore nei loro confronti: prima di tutto perché non hanno potuto rendermi usuale, quindi non hanno potuto farmi del male, anzi mi hanno fatto del bene perché nel resistere alle loro pressioni mi sono rafforzato, poi mi hanno insegnato come non si deve essere, cioè a non diventare come loro.
Ora spiego a[topo~.
Nel prologo del Fedro di Platone, Socrate dice a Fedro che se non credesse al mito di Borea che rapì Orizia figlia del re Eretteo, come non ci credono oiJ sofoiv, non sarebbe l’uomo strano (a[topo~) che è (229c). Potrei dire, facendo il sapiente sofizovmeno~, che un colpo di vento di Borea gettò Orizia giù dalle rupi o dall’Areopago. È un’interpretazione ingegnosa, ma chi la fa, poi deve raddrizzare gli Ippocentauri, la Chimera, e Gorgoni e Pegasi e tutte le stranezze della natura. E per questo ci vuole molto tempo libero: ejmoi; de; pro;~ aujta; oujdamw`~ scolhv (229e).
Io non sono ancora in grado di conoscere me stesso kata; to; Delfiko;n gravmma, perciò mi sembra ridicolo geloi`on dhv moi faivnetai indagare cose che mi sono estranee - ta; ajllovtria skopei`n. Dunque dico addio a tali questioni, esamino me stesso skopw` ejmautovn, per vedere se per caso io non sia una bestia più intricata e più invasa da brame di Tifone o se sono un essere vivente (zw`/on) più mite e semplice, partecipe per natura di una sorte divina e priva di superbia fumosa (Fedro, 230a).
Dunque non possiamo sprecare energie in sentimenti e pensieri privi di effetto quando la vita umana, anche se centenaria, non è abbastanza lunga per conoscere se stesso e diventare quello che si è. Non è abbastanza lunga nemmeno per studiare, scrivere, tenere conferenze e fare il giro del mondo in bicicletta. La prossima estate, però, voglio tornare per lo meno a girare la Grecia in bicicletta. Lo devo a me stesso.
Nietzsche 104. Ecce homo. Perché sono così saggio. 8
La solitudine, la follia e l’antipatia universale di certi periodi storici (Musil)
“Una estrema integrità con me stesso è il presupposto della mia esistenza. Io muoio se mi trovo in situazioni contaminate (…) Perciò il commercio con gli uomini è per me una non piccola prova di pazienza; la mia umanità non consiste nel partecipare ai sentimenti degli uomini, ma nella capacità di sopportare questa partecipazione…La miaumanità è una continua vittoria su me stesso. Ma ho bisogno di solitudine, voglio dire di guarigione, di tornare a me stesso (…) Tutto il mio Zarathustra è un ditirambo alla solitudine o alla purezza. E non alla pura follia, per fortuna. La nausea per l’uomo, per la “canaglia” è stato sempre il mio più grande pericolo”.
Un certo grado di solitudine in effetti è contiguo alla follia.
Non tutti gli uomini sono canaglia, né tutte le donne ovviamente. Per noi educatori e studiosi, la canaglia è chi non vuole imparare, non sa nemmeno ascoltare ma chiacchiera e abbaia come i cani appunto, come i cani peggiori, maleducati dalla canaglia umana a sua volta maleducata dalla volgarità dei tempi.
La solitudine non deve essere assoluta ma perfino questa diventa una tentazione quando le relazioni tra gli uomini diventano rapporti di ostilità o indifferenza.
Cito alcune parole del romanzo di Musil “L’uomo senza qualità”.
A Ulrich sembrava che ci fosse un ristagno della vita, come se qualche cosa fosse andata perduta: “Qualcosa di imponderabile. Come quando si sganciano i vagoni d’un treno. O un’orchestra si mette a suonare sbagliato (…) Tutti i rapporti si erano un poco spostati. Come se il sangue fosse mutato, o l’aria. (…) Così dunque i tempi erano cambiati, come una giornata che comincia sfolgorante di azzurro e poi va velandosi piano piano (…) Da molto tempo un’ombra di disgusto si posava su tutto ciò che egli faceva, o subiva, si posava, un soffio di impotenza e di solitudine, un’antipatia universale alla quale non sapeva trovare la complementare simpatia” (Parte prima . Una specie d’introduzione, pp 53, 54 e 55).
Lo spostamento dei rapporti umani, la loro degradazione a “un’antipatia universale” l’abbiamo vissuta noi che abbiamo fruito del ’68 e gioito della simpatia universale intercorrente tra gli umani nei primi anni Settanta,,.
Nietzsche dietologo
Ecce homo Perché sono così accorto 1.
“Perché in generale sono così accorto? Non mi sono mai messo a riflettere su problemi inesistenti. Non ho fatto spreco di me stesso (…) Il problema della alimentazione. Grosso modo lo si può formulare così: “Tu, come devi nutrirti, per raggiungere il tuo massimo di forza, di Virtù, in senso rinascimentale, di virtù senza moralina? (…) non saprei consigliare mai abbastanza la completa astinenza dagli alcolici alle nature più spirituali. Basta l’acqua …prediligo i luoghi dove si ha dappertutto occasione di attingere alle fontane (Nizza, Torino, Sils); un bicchierino mi corre dietro come un cane. In vino veritas: si direbbe che anche in questo caso non mi trovi d’accordo col mondo sul concetto di “verità”-per me lo spirito si libra sull’acqua”.
Con tutto il bene che voglio a Nietzsche non posso non rimproverargli un’incoerenza madornale per un cultore di Dioniso.
Mi ha svelato il mondo delle Baccanti che nel primo stasimo della loro tragedia cantano: “
ant. b Il demone figlio di Zeus
gioisce delle feste,
e ama Irene che dona benessere,
dea nutrice di figli. 420
Uguale al ricco e a quello di rango inferiore
concede di avere la
gioia del vino che toglie gli affanni; - oi[nou tevryin a[lupon-
e porta odio a chi queste cose non stanno a cuore:
durante la luce e le amabili notti
passare una vita felice,
e saggia tenere la mente e l'anima lontane
dagli uomini straordinari;
ciò che la massa
più semplice crede e pratica,
questo io vorrei accettare”. 432 (Euripide, Baccanti, 417-432)
Il Nostro dionisiaco eretico seguita a fare il dietologo suscitando la mia curiosità se non l’approvazione: “Niente fra i pasti, niente caffè. Il caffè incupisce. Il tè fa bene solo di mattina”.
Niente fra i pasti va bene. Niente caffè invece non mi piace, come niente vino. Quanto al tè a parer mio è una bevanda antierotica: se una donna mi dice: “vediamoci nel pomeriggio per un tè”, rispondo tosto che i miei pomeriggi sono consacrati allo sport e allo studio. Se invece mi propone un incontro benedetto dal vino, penso subito: “qui si impara e si fa sport”. Quindi rispondo: “come no, signorina? Meravigliosamente ci conosceremo”
Torniamo all’amico amante dell’acqua fresca di Nizza, Torino e Sils.
“Star seduti il meno possibile: non fidarsi dei pensieri che non siano nati all’aria aperta-che non sono una festa per i muscoli. Tutti i pregiudizi vengono dagli intestini”. Questo è vero.
Ecco perché mi astengo dai ragù grassissimi che fanno a Bologna, e le lasagne mi ripugnano addirittura. Noi svezzati e sviziati sul mare siamo ittiofagi. A Bologna devo nutrirmi con il tonno e le acciughe in scatola. Mi rifaccio tra luglio e settembre al Pesce azzurro di Fano, alla Rustida di Pesaro e nelle taverne della Grecia. Quelle infime da pensionato trito e parco quale sono.
Villa fastiggi 30 agosto 2025 ore 15, 50 giovanni ghiselli
p. s.
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