mercoledì 20 agosto 2025

Nietzsche Argomenti vari 9.


I tiranni

Nietzsche: “quando decadono i costumi emergono innanzitutto quelle persone che sono dette tiranni… Quando la decadenza è pervenuta al suo apogeo e così pure la battaglia di tiranni d’ogni genere, allora viene sempre il Cesare, il tiranno risolutivo, che mette fine alla stanchezza della lotta per l’egemonia, sfruttando ai suoi fini quell’esaurimento di forze”[1]. 

Direi l’Ottaviano poi Augusto con i suoi successori più o meno squilibrati. Oggi ci prova Trump imitato dai suoi lacché.

Sofocle nell’Edipo re scrive che l’u{bri~ è la madre del tiranno. Tutta l'opera di Sofocle indica l' u{bri", la prepotenza, come madre e nutrice della tirannide[2] cui si associa  ogni dismisura.

C’è ancora chi sostiene che tiranno tra i Greci non è predicato di prepotenza. Costoro fanno l’esempio di Pisistrato che relativamente mite. Nella tragedia i tiranni sono pessimi e pure in Platone.

Non tutti si lasciano spaventare dalla prepotenza: c’è chi non abbassa la testa e reagisce.

 

Un poco di Seneca “morale”

 Nel De ira (I, 19, 7) Seneca traduce rielaborandola una sentenza delle Leggi di Platone: “nemo prudens punit quia peccatum est, sed ne peccetur”, nessuna persona avveduta punisce perché si è sbagliato, ma affinché non si sbagli.

Un'anima grande è in grado di disprezzare le offese e le minacce: “Magni animi est iniurias despicere; ultionis contumeliosissimum genus est non esse visum dignum ex quo peteretur ultio…ille magnus et nobilis qui more magnae ferae latratus minutorum canum securus exaudit” ( De ira, II, 32), è proprio di un animo grande disprezzare le offese; il tipo di vendetta più oltraggioso è non essere apparso degno nemmeno di ritorsione… grande e nobile è quello che, come fa una grande fiera, presta ascolto tranquillo ai latrati dei cagnolini.

 

 

La morte da commedia di Augusto e di Nerone, e quella tragica  di Tiberio. Zelenkj: dalla commedia alla tragedia.

Nietzsche: “Si rammenterà che l’imperatore Augusto, quell’uomo tremendo che sapeva ugualmente esercitare il dominio di sé come serbare il silenzio al pari di un qualunque saggio Socrate, commise un’indiscrezione verso se stesso con le sue ultime parole: per la prima volta si lasciò cadere la maschera, quando fece intendere che aveva l’aveva portata e  aveva recitato sul trono la parte di padre della patria e quella della saggezza, così bene da darne l’illusione! Plaudite amici, comoedia finita est! 

Il pensiero di Nerone morente: qualis artifex pereo! Era anche il pensiero del morente Augusto. Vanità d’istrioni! Loquacità d’istrioni! E proprio l’antitesi di Socrate morente!  Ma Tiberio, questo tormentatissimo fra tutti i tormentatori di se stessi, morì senza una parola-egli era autentico e non un commediante!...Quando, dopo una lunga agonia, parve che li ritornassero le forze, si ritenne opportuno soffocarlo coi cuscini-ebbe doppia morte”[3].

Anche Concetto Marchesi rivaluta Tiberio rispetto alle maldicene di Tacito. Del resto dice che Tiberio fu più fortunato di Stalin: l’imperatore romano ebbe come detrattore il più grande storiografo latino; Stalin subì la damnatio memoriae di un uomo rozzo e ordinario.

 

Zelenskj è passato dal ruolo dell’istrione che strimpellava il piano oscenamente  a quello del presidente che vuole apparire eroico. Dalla commedia alla tragedia.

 

Nella Vita di Svetonio troviamo l'ultima scena di Augusto il quale supremo die , fattisi mettere in ordine i capelli e le guance cascanti, domandò agli amici "ecquid iis videretur mimum vitae commode transegisse" (99), se a loro sembrasse che  avesse recitato bene la farsa della vita, quindi chiese loro, in greco, degli applausi con la solita clausula delle commedie:" eij de; ti-e[coi kalw'" to; paivgnion, krovton dovte", se è andato un po’ bene questo scherzo, applaudite. La “corta buffa”[4] era giunta al termine.

 

L’inganno dell’amore e i rimedi

 Nietzsche: “Se amiamo una donna, finiamo facilmente per odiare la natura al pensiero di tutte le ripugnanti circostanze naturali cui ogni donna è sottoposta: in generale preferiamo sorvolare su questo pensiero (…)  “L’uomo sottocutaneo” è per tutti gli amanti una cosa esecrabile e inconcepibile, una bestemmia contro Dio e l’amore”[5].

 

Si tende dunque a idealizzare la figura dell’amata, ad apprezzarne anche i difetti: "Nigra melǐchrus est, immunda et foetida acosmos " (, De rerum natura, IV, v. 1160), la nera ha l'incarnato di miele, la lercia e puzzolente è trasandata.

Questo travisamento ricorda l'idealizzazione dell'innamorato Buceo nel X idillio[6] di Teocrito:"Suvran kalevontiv tu pavnte", /ijscna;n aJliovkauston, ejgw; de; movno" melivclwron" (vv. 26-27), tutti ti chiamano Sira, secca, bruciata dal sole, io solo colore del miele

Compie la stessa operazione di Lucrezio, Eliante nel Misantropo  di Moliere che aveva  tradotto il De rerum natura  prima del 1660 :"La nera come un corvo è una splendida bruna: la magra ha vita stretta e libere movenze; la grassa ha portamento nobile e maestoso; la sciatta, che è fornita di non molte attrattive, diventa una bellezza che vuole trascurarsi; la gigantessa sembra, a vederla, una dea; la nana è un riassunto di celesti splendori; l'orgogliosa ha un aspetto degno d'una corona; la scaltra è spiritosa; la sciocca è molto buona; la chiacchierona è donna sempre di buonumore; la taciturna gode di un onesto pudore. Perciò lo spasimante, se è molto innamorato, ama pure i difetti della persona amata"[7].

 

Viceversa uno dei Rimedi dell’amore, un modo per liberarsi di  un amore che ci fa soffrire è pensare ai difetti della donna e accentuarli, come suggerisce Ovidio.

Nei Remedia Amoris  il poeta Peligno consiglia di accentuare mentalmente i difetti dell'amante per tenerla lontana. Non è difficile compiere l'una o l'altra operazione siccome è sottile il confine tra vizio e virtù.

"Profuit adsidue vitiis insistere amicae/idque mihi factum saepe salubre fuit./"Quam mala" dicebam "nostrae sunt crura puellae" (nec tamen, ut vere confiteamur, erant); "bracchia quam non sunt nostrae formosa puellae" (et tamen, ut vere confiteamur erant)/"quam brevis est" (nec erat), "quam multum poscit amantem";/haec odio venit maxima causa meo./ Et mala sunt vicina bonis: errore sub illo/pro vitio virtus crimina saepe tulit./ Qua potes, in peius dotes deflecte puellae/iudiciumque brevi limite falle tuum./"Turgida", si plena est, si fusca est, "nigra" vocetur;/in gracili "macies" crimen habere potest./Et poterit dici "petulans" quae rustica non est;/et poterit dici "rustica", si qua proba est "  (vv. 315-330), mi ha fatto bene pensare senza tregua ai difetti dell'amante e questa pratica ripetuta mi è stata salutare. "Quanto sono fatte male-dicevo-le gambe della mia donna" (né tuttavia, a dire il vero, lo erano); "quanto non sono belle le braccia della mia donna" (e tuttavia, a dire il vero, lo erano) " quanto è corta" (e non lo era), quanto esige dall'amante", questo divenne il motivo più grande per la mia avversione. Poi i mali stanno vicino ai beni: sottomessa a quell'errore spesso la virtù si è presa le colpe del vizio. Per quanto puoi, volgi in peggio le doti della tua donna e, dato il breve confine, inganna il tuo giudizio. "Gonfia" devi chiamarla se è piena, se è scura "negra"; in quella magra la secchezza può essere incriminata. E potrà chiamarsi "sfrontata" quella che non è campagnola e si potrà chiamare "campagnola" se una è virtuosa

Villa Fastiggi,  20 agosto 2025 ore 10, 28  giovanni ghiselli

p. s.

Statistiche del blog

All time1799329

Today361

Yesterday1110

This month18484

Last month18318

 



[1] La gaia scienza (del 1882), Libro primo, 23

[2] u{bri" futeuvei tuvrannon, (Edipo re , v. 873), la prepotenza fa crescere il tiranno.

[3] La Gaia scienza,  I, 36

[4] Dante, Inferno, VII, 61.

[5] La gaia scienza, II, 59

[6] Quello dei mietitori-Qeristaiv-

[7] Molière, Il misantropo , II, 4.


Nessun commento:

Posta un commento