mercoledì 20 agosto 2025

Nietzsche, La nascita della tragedia, capitolo XX.


 

Goethe Schiller e Winckelmann hanno condotto una nobilissima lotta per la cultura. Eppure gli sforzi di molti per giungere al nocciolo della cultura greca non sono efficaci. Si sente una retorica priva di effetto sull’armonia greca, la bellezza greca, la serenità greca.

Winckelmann nella Storia dell’arte dell’antichità (1764) ha dato all’arte greca i predicati di edle Einfalt und stille Grösse, nobile semplicità e quieta grandezza.

 

La cultura degli istituti superiori va scemando ed è il giornalista il cartaceo schiavo del giorno che riporta la vittoria sull’insegnante superiore il quale oramai si muove anch’egli nell’eloquio giornalistico.

 

Leopardi nella Palinodia al marchese Gino Capponi, scrive: “viva rifulse/agli occhi miei la giornaliera luce/delle gazzette” (vv. 18-20).

Nella lettera a Pietro Giordani del 16 gennaio 1818, il Recanatese scrive: “né io sarò meno virtuoso né meno magnanimo (dove ora sia tale) perché un asino di libraio non mi voglia stampare un libro, o una schiuma di giornalista parlarne”.

 

Una cultura così debole odia la vera arte poiché da essa vede la sua fine. Eppure la debole e gracile cultura attuale è l’esaurimento di quella socratico-alessandrina.  Nemmeno Goethe e Schiller riuscirono a forzare la porta stregata che conduce alla montagna incantata ellenica, non sono andati oltre il nostalgico sguardo che l’Ifigenia goethiana manda dalla barbarica Tauride alla patria oltre il mare. Ma la musica tragica è risorta. Solo nella rinascita dell’antichità ellenica troviamo la speranza per un rinnovamento e una purificazione dello spirito tedesco attraverso la magia di fuoco della musica.  

 

Sentiamo Friedriche  Hölderlin (1770-1843)  in Iperione (1797 -1799).

 Il dionisiaco

 "Essere uno con il Tutto, questa è la vita degli dei, è il cielo dell'uomo! Essere uno con tutto ciò che vive; tornare, in un beato divino oblìo di sé, nel tutto della Natura, questo è il vertice dei pensieri e delle gioie, questa è la sacra vetta del monte, la sede dell'eterna quiete, dove il meriggio perde la sua afa e il tuono la sua voce, e il mare ribollente assomiglia all'ondeggiare di un campo di spighe" (Iperione a Bellarmino).

 

La Grecia come paradiso perduto, da riconquistare.

 

 Dal romanzo epistolare  Iperione di  Friedrich Hölderlin

“Amo questa Grecia sopra ogni altra cosa. Essa porta i colori del mio cuore. Ovunque si guardi giace sepolta una gioia (…) Le messi dorate si stendono all’infinito , frammiste al fiordaliso gioioso, e le cime degli alberi, serene e luminose, si levano piene di speranza (…) Le montagne si innalzano una dietro l’altra all’infinito, simili a gradini, fino al sole. La bianca luce è soltanto un respiro dell’etere e la timida luna passa nel giorno chiaro come una piccola nuvola d’argento (…) l’eroica luce del sole dona gioia con i suoi raggi alla terra (…) Certo, anche il cielo e la terra hanno favorito gli Ateniesi, come tutti i Greci, risparmiando loro sia la povertà, sia la sovrabbondanza (…) A questo si aggiunse il gesto grande e ammirevole di Teseo: la spontanea limitazione del potere regale (…) presso i Greci e in particolare presso gli Ateniesi arte e religione sono autentiche figlie della bellezza eterna (…)  è certo che nelle opere della loro arte si trova quasi sempre l’uomo nella sua maturità. Non si manifestano qui la infantilità e la mostruosità degli Egizi e dei Goti, ma lo spirito e la forma dell’uomo (…) Dalla bellezza spirituale degli Ateniesi derivò necessariamente il loro senso della libertà (…) L’egizio sopporta senza dolore il dispotismo dell’arbitrio, il figlio del Nord sopporta senza avversione il dispotismo della legge, l’ingiustizia sotto forma di diritto (…) l’ateniese non può tollerare l’arbitrio perché la sua natura divina non vuole essere turbata. Dracone[1] non si addice a lui. Egli vuole essere trattato con dolcezza”.

Citazioni dal primo libro edito nel 1797.

Sono tratte da Lettere di Iperione a Bellarmino

L’epigrafe è Non coerceri a maximo contineri tamen a minimo, divinum est  non essere rinchiuso dal carcere massimo, però essere contenuto da un ambiente molto piccolo è cosa divina. Una massima gesuitica.   

 

Passiamo al secondo volume (edito nel 1799)  la cui epigrafe è presa dal III stasimo dell’Edipo a Colono:

“Non essere nati (mh; fu'nai) supera

 tutte le condizioni, poi, una volta apparsi,

tornare al più presto là

donde si venne (vv. 1224-1227)

Un’espressione della sapienza silenica

Hölderlin-Iperione continua a scrivere a Bellarmino ripetendo gli insegnamenti ricevuti dai Greci  “Vivevamo gli ultimi momenti belli dell’anno dopo il nostro ritorno dalla regione dell’Attica (….) Il sacro sole sorrideva tra i rami, il buon sole che non posso nominare senza gioia e gratitudine (…) la santità del bello deve stabilirsi uin umo stato libero (…)

 

 Iperione a Diotima “Ti scrivo da una vetta delle montagne di Epidauro (…) Mi trovo ora nel cuore del Peloponneso (…)

Vago per questo paese come per il sacro bosco di Dodona, dove le querce risuonano di profezie di gloria (…) Sull’Eurota il destino mi ha falciato (…) ed è magnifico che solo nella sofferenza sentiamo veramente la libertà dell’anima. Libertà è una parola profonda”.

 

Iperone a Bellarmino. “Tu, natura vivente, divenisti per i Greci un magico modello e ogni agire umano , acceso dalla felicità degli dèi eternamente giovani, tornò a essere, come un tempo, una festa (…) Io non voglio avere figli: non voglio darli a questo mondo di schiavi (…) Alla scuola del destino hai imparato a sopportare; ora potrai agire quanto vorrai (…) Mi sembra una gioia l’invecchiare tra i giovani, ma invecchiare dove tutto è vecchio, mi sembra peggio d’ogni altra cosa (…)

 

I Tedeschi

Così giunsi tra i Tedeschi: erano vuoti e disarmonici come i cocci di un vaso gettato (…) non posso immaginarmi un popolo più dilacerato. Puoi incontrare operai , ma non uomini; pensatori, ma non uomini; padroni e schiavi, giovani e adulti ma non uomini (…) quando perfino il bruco mette le ali e l’ape comincia a sciamare, il tedesco rimane ancorato al suo ruolo e non si preoccupa molto del tempo! (…) I buoni! Essi vivono nel mondo come stranieri nella propria casa, simili al paziente Ulisse che sedeva, mendicante, davanti alla sua porta, mentre nella loro insolenza i Proci facevano gran chiasso nella sala chiedendo: “Chi ci ha portato questo vagabondo? (…) le dissonanze del mondo sono come i litigi degli amanti : ogni discordia è abitata dal suo riconciliarsi, e tutto ciò che è stato separato si unisce nuovamente”.

 

Ho aggiunto a Nietzsche queste citazioni tratte dal romanzo epistolare di Friedrich Hölderlin per alcune similitudini tra i due autori e per la matrice culturale che mi lega a entrambi. E anche perché, se Dio vorrà, il prossimo luglio tornerò a pedalare in Grecia  traendo ogni energia buona da questa mia patria culturale. Saranno con me due ex allievi amantissimi anche loro della Grecia. Un maschio che ora insegna greco e latino e una femmina che lavora all’università. Due ragazzi cinquantenni più o meno.

 

Una volta irritai un collega e amico di Ragusa dicendo che la Sicilia è un paradiso. Lui mi corresse dicendo: “la Sicilia, sappilo Gianni, è il paradiso”. “

“No, carissimo Tano- replicai- il paradiso per me è la Grecia e in particolare il Peloponneso mai invaso da folle di turisti”.

 

 

Torniamo a Nietzsche

 

Nella cultura attuale c’è solo polvere, sabbia, irrigidimento. Schopenhauer, cui mancò ogni speranza,  che volle la verità, è paragonabile al Cavaliere con la morte e il diavolo di Dürer (incisione a bulino del 1513) imperturbato dai suoi orrendi compagni, solo col destriero e il cane.

La magia dionisiaca però afferra come un turbine tutto ciò che è spento, marcio, rotto, appassito, e come un avvoltoio lo porta in alto. In mezzo a questa sovrabbondanza di vita, di dolore, di piacere, c’è la tragedia che narra delle Madri dell’essere.

Il tempo dell’uomo socratico è finito: inghirlandatevi di edera, prendete in mano il tirso e non meravigliatevi se la tigre e la pantera si accovacciano carezzevolmente ai vostri piedi.

 

Su Schopenhauer, come su  Kant, Nietzsche cambierà idea: I vari Kant e Hegel hanno presentato il modello degli  operai della filosofia” i quali “ hanno il compito di accertare e ridurre in formule una vasta gamma di valutazioni-cioè di antiche determinazioni di valori, creazioni di valori , che sono diventate dominanti e che per un cero periodo hanno avuto il nome di “verità (---) Ma i veri filosofi sono dominatori e legislatori: essi dicono “così deve essere!” , essi stabiliscono il fine e lo scopo dell’uomo e nel fare ciò si servono del lavoro preparatorio di tutti gli operai della filosofia (…) Il loro “conoscere” equivale a creare, il loro atto creativo è una legislazione”[2]. Penso a Solone

In Crepuscolo degli idoli o come si filosofa col martello (del 1888), Nietzsche scrive: “La mancanza di realismo, la fuga dalla realtà è decadenza:"Separare in un mondo "vero" e in un mondo "apparente", sia alla maniera del cristianesimo, sia alla maniera di Kant (in ultima analisi, uno scaltro cristiano), è soltanto una suggestione della décadence - un sintomo di vita declinante…L'artista tragico non è pessimista-egli dice precisamente anche a tutto quanto è problematico e orrido, egli è dionisiaco"[3].  

Quindi: “In quanto mostrano il divenire, il passare, il mutamento, i sensi non mentono. Eraclito avrà eternamente ragione in questo, che l’essere è una vuota finzione. Il mondo “apparente” è l’unico: il “mondo vero” è soltanto un’aggiunta menzognera”[4] .

Villa Fastiggi 20 agosto 2025 ore 18, 12 giovanni ghiselli

p. s.

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[1]  Dracone nel 621 promulgò leggi di straordinario rigore

 

[2] Di là dal bene e dal male, Noi dotti, 211

[3] Crepuscolo degli idoli,  La “ragione nella filosofia”, 6.

[4] Crepuscolo degli idoli,  La “ragione nella filosofia”, 2.


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