Ifigenia CLVII. La tappa del Giro d’Italia sullo Stelvio e Lucia.
Dopo l’utima ora dell’ultimo giorno di scuola, dovevo andare in una pizzeria per incontrare i miei allievi e quelli di Lucia con la sua classe. Ifigenia era altrove. Non insegnava più.
Passeggiavo nel centro di Bologna, la città che mi aveva dato dolori grandi e pure gioie non piccole da quando ci ero arrivato da matricola, desolato, nell’ottobre del 1963.
Le strade erano rallegrate da adolescenti che festeggiavano la liberazione. Mi comunicavano la loro contentezza. La prospettiva dell’estate con il tempo libero per lo studio, l’abbronzatura e lo sport rendeva allegro anche me. Erano finiti i consigli di classe, i collegi dei docenti e altre seccature del genere.
Quel pomeriggio il Giro d’italia avrebbe affrontato lo Stelvio: su per l’attorcigliata salita dovevano contendersi il primato Hinault e Battaglin di Marostica al quale i miei alunni della limitrofa Carmignano avevano detto che il loro professore di lettere era capace di batterlo in salita. L’atleta rispose che dovevo “almanco” provarci. Allora mi diedi ad allenarmi su per i tornanti del monte Grappa partendo da Romano di Ezzelino dove il caro Danilo mi incoraggiava con ebbro ottimismo.
La sfida non si realizzò perché Battaglin doveva fronteggiare avversari ben più degni di lui, davvero competitivi.
Mangiata la pizza dunque, mi stavo muovendo per andare a vedere l’agone ciclistico trasmesso dalla televisione. Mi interessava molto perché avevo i miei tempi da confrontare con quelli dei campioni: 1 ora e 45 da Bormio al passo dello Stelvio; 1 ora e 58 da Prato. Tempi non lontani da quelli dei professionisti non i più egregi nelle salite invero. Ma loro erano più giovani di me e non facevano altro nella vita. Coppi, il mio idolo ciclistico, quando aveva la mia età di allora, sui trentacinque anni, diceva: “Sento che perdo potenza”. Avevo oramai anche io un’età decadente per un ciclista.
Salutai gli allievi e chiesi loro se volevano venire a correre verso sera. Risposero che faceva troppo caldo per loro.
Mi venne in mente che i ragazzini di Carmignano mi apostrofavano con “marochin!” quando li facevo arrabbiare. Ero molto più scuro di loro in effetti.
Mentre andavo a recuperare la bici, mi raggiunse Lucia dicendo che lei sarebbe venuta al campo sportivo Baumann per vedermi correre.
Trattenni l’emozione e dissi: “Bene, ti aspetto verso le otto”
“Ti prego- fece lei allora- facciamo le sette: alle 8 e mezzo mi aspettano a casa”.
“Chissà chi è che le fa fretta” mi domandai mentre la vana emozione si raffreddava.
“Alle sei e cinquanta sarò al Baumann” risposi contrariato.
Temevo di non poter seguire il “Processo alla tappa” fino alla conclusione. In fondo quell’agone mi stava a cuore non meno di Lucia
Comunque volevo sfruttare l’occasione di rinnovamento che la bella collega, spesso desiderata, mi offriva. Nelle ultime ore Ifigenia mi aveva annoiato.
Ifigenia CLVIII. “Dunque in giardin verrai? Se piace a voi, verrò”.
Tornai a casa contento. Potevo dare un nuovo stimolo alla mia vita con un’altra collega e amante. La mia lista deve aumentare presto , pensavo pedalando scaldato dall’aria di giugno e dal fervore interno. “Bon sarò mica minacciato di nozze?” mi domandai.
Invece di rispondere mi diedi a cantare un duetto che ricordavo da Le nozze di Figaro:
“Crudel! Perché finora
farmi languir così?”
“Signor, la donna ognora
tempo ha di dir di sì”
“Dunque al Baumann verrai?”
“Se piace a voi, verrò”
“E non mi mancherai?”
“No, non vi mancherò”
“Verrai?”
“Sì”
“Non mancherai?”
“No”
“Dunque verrai?”
“No!”
“No?”
“Se piace a voi verrò”
“Mi sento dal contento
pieno di gioia il cor”
Il cuore era contento ma il mio ceffo agitato da un rictus nervoso, inverecondo, accusava dei dubbi.
Alle 18 e 45 ero già al campo sportivo. Il sole era ancora al di sopra degli alberi posti sul lato ovest del Baumann sicché nell’attesa della bella potevo abbronzarmi. Mi tolsi la maglietta e rimasi in calzoncini e scarpe da corsa. Quasi come Lady Chatterly che fugge inseguita da Mellors. I due sono nudi ma lei dopo essersi spogliata la donna si era messa di nuovo le scarpe di gomma. Non era dunque una ninfa ma una donna svestita
Io quella sera non ero non un satiro nudo, eccitato, ma un narcisista poco vestito.
Pensavo: “Le gambe mie sono di ossatura sottile e muscolatura potente: un fisico fatto per correre i 5000 metri, scalare lo Stelvio e amare le donne”, mi compiacqui. Hinault quel giorno aveva stracciato Battaglin. Alle 19 e 15 la graziosa non era arrivata. “Scorretta però la deliziosa, onestissima signorina” pensai.
“Ora corro i 5000 che devo a me stesso, poi vado a cercare Ifigenia”. Lucia era in ritardo con tutto che mi aveva chiesto di anticipare l’ora da me proposta.
Mi venne un dubbio:“Che sia peggiore di quell’altra? Il tempo rivelerà qual è la più fastidiosa. Questa o quella per me pari son se mi danno noia”.
Senza indugiare, iniziai la mia gara a cronometro. Andavo discretamente: potevo metterci meno di venti minuti: per fare metà del percorso avevo impiegato nove minuti e cinquantaquattro secondi. Dunque non dovevo mollare. Nemmeno Lucia, se arrivava. Se no c’era quell’altra oppure potevo rintracciare una delle smarrite o fuorviate. Poco dopo, a meno duemila metri dalla conclusione della mia prova, Lucia arrivò. Ricordai che da militare ero arrivato secondo dietro un calciatore professionista in una gara di duemila metri appunto ed ero entrato nella compagnia atleti del battaglione Trieste.
Lucia si era appostata sulla linea di arrivo e mi incoraggiava. Terminai in 19 minuti e 35 secondi. La ragazza mi guardava amabilmente e mi faceva i complimenti dovuti. Contraccambiavo i suoi sguardi senza parlare. Lucia indossava una tutta nera aderentissima che le stava bene, snella e pure formosa com’era. Volle provare a correre anche lei: si stancò subito ma non la disprezzai siccome la fatica le donava: aveva affinato il suo viso e reso ancora più grandi gli occhi da attrice cinematografica.
Verso le otto il sole era arrivato alle cime dei pioppi che orlano il campo. Una brezza tiepida, gradevole, muoveva adagio le foglie imbevute di luce. Poteva essere l’ora del corteggiamento, preludio dell’idillio sognato, ma lei se ne andò: aveva un impegno.
Feci un altro giro in bicicletta dandomi del perfetto imbecille, poi tornai a casa. A mezzanotte telefonò Ifigenia dicendo che si era annoiata a Modena e che le ero mancato. “Meno male”, pensai.
Pesaro 4 ottobre 2024 ore 16, 56 giovanni ghiselli
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Il tempo oggi è più brutto che mai. Piove e fa freddo. Per giunta i miei lettori sono meno numerosi del solito. Ma non mi avvilisco poiché tra due ore inizierò la mia conferenza. Se la sala non sarà vuota, dato lo squallore atmosferico, reciterò la pièce preparata da attore provetto. Se ci sarà anche un solo uditore lo meraviglierò con l’inventio, la dispositio, l’elocutio, la memoria e l’actio della mia esposizione.
Quando il tempo sarà scaduto lui griderà let him speak again, let him speak again!, fatelo parlare ancora!!!. Se non sarà solo seguirà un’ovazione.
Con tale metodo mi tiro su.
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