Lupus est homo homini, sive potius homo homini deus si suum officium sciat
Ci vestimmo in modo da non prendere freddo e uscimmo.
Sotto le stelle, le rocce e gli alberi della foresta sentimmo i limiti delle nostre anime recintate da fili spinati: pregiudizi, ignoranza, rancori e dolori che ci rendono stupidi, vili e feroci
Il giorno seguente comprai le necessarie scarpe di gomma. Quindi andammo a fare la passeggiata per la quale si era litigato ciecamente le sera prima. Arrivammo alla Malga Peniola situata sopra la strada che da Moena porta a Predazzo.
Il marzo seguente ci sarei tornato da solo in una sorta di pellegrinaggio per sovvenirmi di lei.
Non era ancora arrivata la primavera lassù e c’era la neve dove sdrucciolavo mentre soffrivo l’assenza di Ifigenia in modo implacabile e atroce
Davanti a questa Malga c’è una chiesetta minuscola, un luogo sacro dove mi reco ogni anno a trarre auspici, di solito senza chiedere né augurarmi eventi impossibili e implausibili.
Ma quella mattina di luglio avevo di nuovo la mente offuscata e Ifigenia non era più lucida di me. Eravamo in mezzo alla natura vestita a festa dal dio che la inondava di luce e calore. Noi due eravamo di nuovo pieni di risentimenti reciproci. La ragazza non vedeva niente di bello in quel culmine della vita dell’anno. Si lamentava di essere stanca. Non faceva domande né diceva parole interessanti. Mi sembrava di camminare con un bagaglio gravoso e opprimente. Mi sentivo bestia da soma.
In un luogo a vista d’occhio deserto facemmo l’amore pur di fare qualcosa. A un tratto si mise a piovigginare da una nuvola arrivata inopinatamente sopra il bosco.
Mancavano solo minacce di orsi o di cani randagi affamati e furiosi.
Mi venne in mente una volta quando tre bestiacce furiose mi avevano inseguito arrivando vicini ai polpacci miei con le zanne omicide. Mi ero già dato per morto. Ma poi avevo reagito con l’istinto di sopravvivenza e con pedalate più furiose di quegli animali assassini. Il cane può essere amico o nemico dell’uomo. Come la donna e come l’uomo per l’uomo.
Canis homo homini , ho sempre pensato. Il lupo è meno pericoloso.
Quel giorno mi venne in mente una preghiera funebre molto bella:
“Chiamate il pettirosso e lo scricciolo, che volano sopra i boschetti ombrosi, e con foglie e fiori coprono i corpi soli al mondo degli insepolti. Chiamate al suo lamento funebre la formica, il topo dei campi e la talpa, che levino mucchi di terra per tenerlo caldo e quando le ricche tombe vengono depredate non soffra danno:
But keep the wolf far hence, that's foe to men,/For with his nails he' ll dig them up again"[1], ma tenete lontano il lupo, che è nemico degli uomini, altrimenti con le sue unghie li dissotterrerà.
Ho sempre modificato queste parole di Webster sostituendo dog a wolf.
Nel pomeriggio partimmo. Quando fummo arrivati a casa mia, dopo un viaggio penoso, ci buttammo nel letto senza alcun desiderio. Eppure aleggiava la voglia di un altro litigio che generasse altre emozioni cattive quale afrodisiaco orrendo.
La scintilla la diede il telefono alle dieci di sera. Non l’avevo staccato perché potevano chiamarmi per l’esame di maturità.
Mentre tentavamo da seminudi un già difficile approccio sentimmo suonare. Andai a rispondere ma non c’era nessuno. Era il destino che ci avvisava: è ora di litigare, tempus altercandi
Infatti, come fui rientrato in camera, la contubernale adirata stava rivestendosi in fretta .
“aspettavo una telefonata importante da mia madre ma non c’era nessuno” dissi per giustificami. Invano
“Prima di venire a letto con me, devi staccare o silenziare il telefono” urlò come abbaiando, caninamente appunto.
Il mio antico terrore dei cagnacci furiosi e l’eterna paura dell’autonomia minacciata mi fecero reagire con rabbia
“No, bella, tu devi a me non lo dici, soprattutto in casa mia e nel mio letto”
“Allora portami subito a casa mia”, ribatté la megera.
“immediatamente” risposi e ci rivestimmo in fretta e furia.
Aveva un abito rosso che assecondava e valorizzava le sue forme incensurabili. Bella nel corpo era bella, specialmente bella.
Però quella sera mi apparve soprattutto cattiva. La vera satanessa. La portai a casa in fretta e la feci scendere dall’automobile senza nemmeno salutarla. Eranno le 10 e cinquanta del primo luglio 1980. Credevo che fosse l’ultimo minuto della nostra storia. Invece mancavano undici mesi e dodici giorni di tribolazioni intervallate da alcune gioie.
Mancano ancora il mese di Debrecen dove andammo con Fulvio, un viaggio in Grecia, l’autunno, l’inverno e la primavera a Bologna con le esperienze di Ifigenia nella scuola di recitazione e la sua sparizione con un vecchio attore la notte tra il 12 e il 13 giugno del 1981. La stessa della caduta del bambino Alfredo nel pozzo di Vermicino.
Pesaro 5 ottobre primo 2024 ore 11, 09 giovanni ghiselli
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