NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

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martedì 1 ottobre 2024

Pindaro Olimpica I tradotta e commentata.

Le gare Olimpiche

Le liste dei vincitori dei giochi  panellenici furono redatte alla fine del 5° sec. a.C. dal sofista Ippia di Elide e documentavano le vittorie dal 776 a.C. anno iniziale delle Olimpiadi.

 Al vescovo Eusebio di Cesarea ( 260- 339, III- IV secolo)  si deve un catalogo dei vincitori fino al 217 d.C. presente nell’opera cronologica Cronaca

 

I giochi furono aboliti nel 393 d.C. dall’imperatore Teodosio I.

Vennero ripresi nel 1896 e tenuti la prima volta ad Atene. L’ultima sino ad oggi nel 2024 a Parigi

 

Olimpica I  di Pindaro

 

Pindaro Olimpica I -476. Traduzione  e commento miei.

A Ierone di Siracusa vincitore con il cavallo montato kevlh~ kevlhto~ oJ è il cavallo da corsa.

Il cavallo Ferenico era montato senza sella né staffe

Ierone I di Siracusa dominò la città dorica dal 478 al 466

 

 

Ora vediamo per intero l'Olimpica I  tradotta parola per parola, fin dove è possibile con gli epinici dell'immaginifico poeta tebano.

Fu scritta nel 476 per  la vittoria di Ierone I signore di Siracusa con il cavallo Ferenico, mentre Terone tiranno di Agrigento vinse la gara più prestigiosa delle quadrighe e venne celebrato con la II e la III Olimpica .

 

 Strofe 1

"Ottima è l'acqua (a[riston me;n u{dwr) e l'oro ardendo come

fuoco splende nella notte al di sopra di ogni superba ricchezza;

il valore estetico prevale su quello economico.

Orazio, seguendo Alceo, antepone all’acqua il vino: nullum, Vare, sacra vite prius severis arborem” (Odi, I, 18, 1)

e se tu vuoi dare voce

alle gare, cuore mio,

smetti di cercare  un altro 5

astro più caldo del sole, che brilla

di giorno nell'etere deserto,

di giorno il sole con la sua luce nasconde tutte le altre presenti nel cielo le quali del resto non bastano a illuminare la notte: “eij mh; h{lio~ h\n, e[neka tw`n a[llwn a[strwn eujfrovnh a]n h\n-(Eraclito, fr. 44, Diano)   se non ci fosse il sole, a stare alle altre stelle sarebbe notte    

e non cantiamo un agone più prestante-ajgw`na fevrteron- di Olimpia:

le Olimpiadi sono il Sole delle gare

da dove l'inno pieno di gloria si lancia intorno

alle menti dei poeti- ajmfibavlletai sofw`n mhtivessi- , così che celebrano

il figlio di Crono, giunti al ricco 10

e felice focolare di Ierone, ospite e committente dei poeti che vengono ispirati dalle gare e accolti da Ierone. Le odi dei poeti celebrano gli atleti e il committente. La mh`ti~ dei poeti misura-metior- la grandezza e la celebra.  Zeus fecondò l’oceanina Metis  poi la inghiottì perché temeva che aspettasse un maschio capace di detronizzarlo come aveva fatto lui con Crono. Invece nacque Atena dalla testa di Zeus spaccata da Efesto poi ricostituita

 

Antistrofe 1

che tiene il giusto scettro nella Sicilia- ejn polumavlw Sikelia/

ferace di frutti mietendo le cime da tutte le virtù- drevpwn me;n-korufa;~ ajreta`n a[po pasa`n- Ierone dunque non miete le teste degli uomini come fanno i tiranni-cfr. Trasibulo di Mileto e Periandro di Corinto in Erodoto (Erodoto, V , 92)   

e risplende anche

nel fiore dei canti 15

quali sono i carmi che componiamo per diletto-paivzomen-, noi uomini

spesso intorno alla mensa ospitale-amfi; fivlan travpezan.

Paivzw gioco, paivgnion giocattolo: paideiva educazione.

 L’artista deve unire l’utile al piacevole: “omne tulit punctum qui miscuit utile dulci” (Orazio, Ars poetica, 343)  prese il punteggio massimo chi ha associato l’utile al piacevole. L’artista è come un fanciullo che gioca, al pari del tempo in Eraclito.

Avanti, stacca

 

dal piolo la dorica cetra (dwrivan fovrmigga), 18

se in qualche modo anche a te la gloria di Pisa e di Ferenìco

ha posto la mente sotto pensieri dolcissimi,

quando lungo l'Alfeo si lanciò con20

 il corpo senza sproni nella corsa, l’istinto del nobile destriero non ha bisogno di sproni

e unì il suo padrone alla vittoria,

kravtei de; prosevmeixe despovtan- il potere  vero di Ierone II che regnò su Siracusa dal 478 al 466  è quello della vittoria olimpica

 

Epodo 1

il re siracusano

che si allieta dei cavalli; e brilla la sua gloria

nella colonia ricca di prodi del lidio Pelope

del quale si innamorò lo scuotiterra di grande forza 25

Poseidone, quando Cloto lo tirò fuori

Klwqwv è la Parca che fila la vita degli uomini-klwvqw filo-

dal puro lebète- levbhto~ kaqarou` e[xele-

ornato di avorio il fulgido omero.

Certo sono molti i portenti, e in qualche modo, credo, anche le favole (mu'qoi),

diceria dei mortali oltre la verità- brotw`n favti~ -uJpe;r to;n ajlaqh` lovgon- cfr  latino fama, for faris.

intarsiate di iridescenti bugie (dedaidalmevnoi yeuvdesi poikivloi~)- daidavllw, adorno, lavoro con arte

traggono in inganno ejxapatw`nti-

 

I miti veraci o ingannevoli.

Tuttavia:Gorgia di Leontini (490 ca-385ca a. C.) aveva detto che la tragedia crea un inganno nel quale chi inganna è più giusto di chi non inganna, e chi è ingannato è più saggio di chi non è ingannato: “ o{  te ajpathvsa" dikaiovtero" tou' mh; ajpathvsanto" kai; oJ ajpathqei;" sofwvtero" tou' mh; ajpathqevnto"" ( in Plutarco, de glor. Ath. 5)

 

Strofe 2

Il fascino (Cavri~) che foggia tutte le dolcezze per i mortali, 30

portando onore, procura pure che l'incredibile divenga

credibile-a[piston ejmhvsato pistovn-, spesso;

 Cfr.  Pseudolus di Plauto

Il servo Pseudolo indica un lato positivo comune tra poeti e schiavi: la capacità inventiva: il poeta trova e raffigura l’utopia, lo schiavo ricco di espediento scopre il denaro che altri  non  trovano da nessuna parte

: “Sed quasi poeta, tabulas cum cepit sibi,/quaerit quod nusquam gentium, reperit tamen,/facit illud veri simile quod mendacium est,/nunc ego poeta fiam: viginti minas, /quae nusquam nunc sunt gentium, inveniam tamen” (Pseudolus, I, 4, vv. 401-405). Commedia del 191.

Cfr.  anche Shakespeare: : l’occhio del poeta roteando in sublime frenesia si sposta rapido dal cielo alla terra e dalla terra al cielo, e mentre la mente immagina figure di cose sconosciute, la penna de poeta le traduce in forma (turns them to shape)   e all’aereo nulla dona suo luogo e nome ( and gives to airy nothing a local habitation and name, A Midsummer Night's Dream, V )

Sono parole di Teseo, duca di Atene.

 

ma i giorni a venire (aJmevrai d jejpivlopoi)

sono i testimoni più sapienti (mavrture~ sofwvtatoi).

Cfr. Sofocle Edipo re:” crovno~ divkaion a[ndra deivknusin movno~- v. 614 Creonte risponde alle accuse di Edipo.

è naturale per l'uomo dire cose belle 35

dei numi: minore infatti  è la colpa (meivwn ga;r aijtiva).

 

Cfr. Pindaro Olimpica IX: loidorh`sai- qeouv~ ejcqra; sofiva   (v. 37-38)  insultare gli dèi è odiosa sapienza.  

Cfr. latino ludibrium scherno. E un vanto importuno-para; kairovn-

 

O figlio di Tantalo, io canterò di te al contrario di quelli di prima  (ajntiva protevrwn).

Pindaro è fiero della propria diversità in meglio.

Ora tende a purificare il mito dalle maldicenze nei confronti degli dèi.

Quando tuo padre fece inviti al banchetto

ottimamente governato nella cara Sipilo,

offrendo cene di contraccambio agli dèi, ajmoibai`a dei`pna

allora ti rapì il Signore dal fulgido tridente (v. 40)

 

Sipilo è un massiccio della Lidia.

 

 Cene di contraccambio non devono avere niente in comune con

 i panegirici amebei di cricca e di scambio che intercorrono tra giornalisti e scrittorucoli- cfr. Carducci. La cricca degli scrittori di consorteria dà e riceve panegirici amebèi-

 

Antistrofe II

Poseidone dunque

domato dal desiderio nel cuore,  su cavalli d'oro

ti trasportò all'eccelsa dimora di Zeus largamente onorato;

dove in un secondo tempo

giunse anche Ganimede principe troiano figlio di Troo

per lo stesso servigio a Zeus. 40

Come tu eri sparito, né alla madre ti

 portarono gli uomini sebbene ti cercassero molto,

 subito uno dei vicini invidiosi ti~ fqonerw`n geitovnwn spargeva di nascosto la diceria

che ti avevano tagliato membro a membro con il coltello

nel culmine bollente dell'acqua sul fuoco,

e al momento dell'ultima portata sulle mense si  50

spartirono le tue carni e le divorarono kai; favgon. Da ejsqivw cfr. latino edo- est=edit- to eat-essen –edibile.

Se fosse vero sarebbe stato un dei banchetto privi di gioia con tanto di cannibalismo come quello del Ciclope (Odissea IX ) e dei Lestrigoni (Odissea X)  o quello dei vermi nel sepolcro.

 

Epodo 2

 

Per me è inconcepibile chiamare

Vorace- gastrivmargon- dal ventre furente- margavw sono furente- Margivth~ è l’insensato.  uno dei beati: me ne tengo lontano; ajfivstamai-

una perdita- ajkevrdeia-  tocca spesso ai malèdici.

Ma se mai i protettori dell'Olimpo onorarono- ejtivmasan- un uomo

mortale, era Tantalo questo; però 55

di fatto non seppe

digerire la grande prosperità (ajlla; ga;r katapevyai-katapessw- mevgan o[lbon oujk ejdunavsqh), e con la sazietà kovrw/- kovrevnnumi sazio- attirò

un acciecamento (a[tan) smisurato, e su di lui

il padre sospese un macigno possente-  kartero;n livqon-

che egli desidera sempre stornare dal capo

ed erra lontano dalla gioia.

Secondo Lucrezio questa pena infernale simboleggia la paura degli dèi:- “Hic Acherusia fit stultorum denique vita- De rerum natura III, 1023

 

Strofe 3

Egli ha questa miserabile vita inchiodata  ai travagli

con le tre, una quarta pena, -

Nell’XI canto dell’Odissea Tantalo non può bere l’acqua che si ritira dal dannato diyavwn v. 584 quando da ritto si piega. Né può mangiare perché gli alberi dall’eccelsa chioma lasciano pendere pere, mele e fichi dolci-sukevai glukeraiv- e olive ma quando il vecchio oj gevrwn si protende per ghermirli il vento li scaglia in alto. 582ss.

Polignoto dipinse il supplizio di Tantalo (metà del V secolo) nella Nevkuia perduta che si trovava a Delfi ed è descritta da Pausania II secolo Periegesi della Grecia. Descrizione

 

poiché dopo avere derubato gli immortali,

diede ai coetanei convitati

nettare e ambrosia,

 con i quali avevano reso immortale

anche lui.

Questi peccatori sono antiapollinei: negano il principium individuationis che distingue gli uomini dagli dei innanzitutto con la nostra mortalità

 

Se un uomo spera di fare qualcosa

sfuggendo a dio, si sbaglia-ajmartavnei.

Per questo gli immortali gli inviarono il figlio di nuovo, 65

 un'altra volta alla stirpe degli uomini dal destino che cade veloce (to; tacuvpotmon ajnevrwn e[qno~).

Verso l'età fiorente quando

la peluria lo copriva nel mento che diveniva nero,

pensò a un matrimonio pronto- gavmon ejtoi`mon-

Ma il matrimonio è mevga~  ajgw;n gavmo~ ajnqrwvpwn- come insegna  Antifonte sofista. Intorno alla Concordia fr. 49 Untersteiner

 

Antistrofe 3

sì da ottenere dal padre signore di Pisa la ben reputata70

Ippodamia- eu[doxon  j Ippodavmeian-.

Importanza della dovxa nella civiltà di vergogna.

Andato vicino al mare canuto, solo nella tenebra

invocava il dio del tridente

dal grave rimbombo; quello gli

apparve vicino al piede- pa;r podiv-

Allora gli disse:" Se i cari doni di Cipride75

rimangono in qualche modo nella tua gratitudine- ej~  cavrin-,

avanti, Poseidone, inceppa -pevdason- la lancia di bronzo di Enomao (pedavw- pevdh ceppo- pouv~ piede- e[gco~ Oijnomavou cavlkeon),

e fammi giungere in Elide sul carro

più veloce, e avvicinami alla vittoria-kravtei de; pevlason- da pelavzw con  paronomasiva-adnominatio-  rispetto a pevdason

poiché dopo avere ucciso tredici

 pretendenti- trei`~ te kai; devka mnasth`ra~- procrastina le nozze

della figliola. C’era una mnesterofonia dunque

 

Epodo 3

Il grande pericolo 81

non prende un uomo imbelle (oJ mevga~ de; kivnduno~ a[nalkin ouj fw'ta lambavnei). Cfr. Socrate: kalo;~ oj kivnduno~- Fedone, 114d),

Per quelli per i quali morire è necessario qanei`n d’ oi|s j ajnavgka- , perché uno dovrebbe smaltire invano una vecchiaia anonima seduto nell'ombra-  tav ke ti~ ajnwvnumon gh`ra~ ejn skovtw- kaqhvmeno~ e[yoi mavtan- magari a giocare a carte.

 

senza parte di tutte le cose belle? (  ajpavntwn kalw'n a[mmoro~) ma questa

gara giacerà sotto di me: tu dammi propizio l'agire"- ajll j emoi; me;n ou|to~ a[eqlo~ ujpokeivsetai: tu; de; pra`xin fivlan divdoi-.85

Così diceva; né lo toccò con parole

senza effetto- ajkravntoi~ e[pesin- (kraivnw compio). E il dio onorandolo

gli diede un cocchio d'oro e cavalli

infaticabili per le ali ajkavmanta~ i[ppou~  pteroi`sin-

Vuole Pegaso come Bellerofonte.

 

Strofe 4

Poi vinse la violenza- bivan- di Enomao e la ragazza in moglie- parqevnon suvneunon- quale compagna di letto –eujnhv:

generò sei figli condottieri di popoli, bramosi di gloria.

Ne conosco tre: Atreo, Tieste e Pitteo padre di Etra madre di Teseo nell’Ippolito di Euripide.

Ora è mescolato90

a splendidi sacrifici di sangue che saziano,

giacendo sulla corrente dell'Alfeo,

con una tomba frequentata- tuvmbon ajmfivpolon ecco il premio finale: si corre comunque verso la tomba cfr. Lucano: “Et ducibus tantum de funere pugna” (Pharsalia, VI, 811- presso

l'altare dai moltissimi stranieri; e la gloria

di Pelope da lontano brilla- thlovqen devdorken- cfr. devrkomai denota un guardare fisso, come quello del serpente-dravkwn-.  negli stadi degli agoni

Olimpici dove gareggia velocità di piedi tacuta;~ podw`n ejrivzetai- 95 una buona e[ri~ cfr. Esiodo.

e vertici ardimentosi di forza;

e il vincitore per il resto della vita loipo;n ajmfi; bivoton-

ha una dolce serenità- eujdivan è la quiete dopo la tempesta delle tante gare vinte magari dopo tanti fallimenti (cfr. il film di Francesca Comencini)  

 

Antistrofe 4

per le gare: il bene che dura continuo ogni giorno

sale più alto per ciascuno dei mortali. Bisogna 100

che io lo inghirlandi

secondo il canto equestre

con armonia eolica:

in origine l’armonia eolica non era distinta da quella dorica. Le due lingue greche escluse dalla koinhv. La dorica invece non c’è in Omero dove prevale lo ionico e non manca l’eolico pur minoritario.

sono convinto che nessun

ospite xevnon, almeno tra i contemporanei, il quale

sia nel tempo stesso, da ambedue i lati,

conoscitore del bello (kalw'n te i[drin), e molto autorevole quanto a potenza- ajlla; kai; duvnamin kuriwvteron- esteta e uomo di potere dunque

potrò celebrare con le inclite volute degli inni.105

Un dio che ti protegge si prende cura delle tue ambizioni

avendo questa sollecitudine, Ierone;

se non ti abbandona presto,

spero di poter celebrare

un'ambizione ancora più dolce

 

Epodo 4

legata al cocchio veloce110- su;n armati qow`/  

 

Dopo questa vittoria del 476, Ierone I succeduto nel 478 al fratello Gelone come signore di Siracusa, vincerà di nuovo con il cavallo montato a Olimpia nel 472  poi con la quadriga a Pito nel 470- vedi la Pitica I più avanti- e a Olimpia nel 468 due anni prima di morire.

 

dopo avere trovato una via soccorritrice di parole- ejpivkouron eujrw;n ojdo;n lovgwn-

 un metodo, una mevqodo~ che si avvalga delle parole perché se non siamo animali linguistici, siamo animali tout court, cioè bestie.

Vero è che oggi è di moda l’animalismo e la parola è maltrattata in favore del latrato e del grugnito.

 

giunto presso il colle di Crono che si vede da lungi. Per me comunque

la Musa nutre con forza un potentissimo strale;- karterwvtaton bevlo~- la forza della parola musicata.

chi è grande in un campo chi in un altro: ma

la cima più alta si solleva

per i re. Non lanciare sguardi ancora più in là. Nulla di troppo secondo la scritta deifica.

Sia possibile che tu in questo tempo muova i passi in alto,115

e che io altrettanto a lungo frequenti

chi vince, dappertutto, segnalato

per talento-sofiva/ fra i Greci".

 

Fine dell’Olimpica I

 

Questi versi non sono facili e richiedono un commento. Come gli altri epinici, la prima Olimpica  parte dall'attualità, risale al mito e giunge alla riflessione etica- estetica e pedagogica di valore universale. Il poeta è eternatore della gloria dei vincitori negli agoni panellenici, ma è anche maestro di un popolo, anzi di tutta l'umanità dagli alti sentimenti.

L'attualità è costituita dalla vittoria di Ferenico il cavallo d Ierone, signore di Siracusa e protettore di Pindaro. La  gara vinta fu quella del cavallo montato.  Essa fu cantata anche dal V epinicio di Bacchilide. Il mito centrale è quello di Pelope, il figlio di Tantalo amato da Poseidone e aiutato dal dio, riconoscente, a sconfiggere Enomao, tiranno di Pisa (località prossima ad Olimpia), nella gara affrontata per ottenere la mano di Ippodamia, la  figlia del despota il quale sfidava tutti i pretendenti della ragazza in una corsa di carri e, dopo averli battuti, li uccideva.

L'attesa del cimento è raffigurata in pietra nel frontone orientale del tempio di Zeus ad Olimpia, ora situato nel museo. Vi si vede anche l'auriga di Enomao, Mirtilo, che truccò la competizione mettendo perni di cera nelle ruote del cocchio del tiranno, quindi il sicario fu ucciso dallo stesso Pelope ingrato.

Viene in mente l’aereo di Mattei.

Ma questo Pindaro non lo racconta, siccome vuole purificare i suoi dèi e i suoi eroi.

Anche il mito di Tantalo infatti viene modificato: non è vero che fu condannato a pene eterne poiché aveva imbandito il figlio Pelope, cucinato, ai numi suoi ospiti, infatti gli dei non sono cannibali, ma venne punito perché era un privilegiato che, non sapendo smaltire la sua fortuna, si insuperbì e donò agli uomini l’ambrosia che li rendeva immortali come gli dèi.

Ricorda in parte il mito di Prometeo.

 In diverse occasioni Pindaro afferma il credo che non bisogna dire male degli dèi. Per esempio nell'Olimpica IX  leggiamo:"diffamare gli dei è odiosa sapienza (ejpei; tov ge loidorh'sai qeouv"-ejcqra; sofiva, vv. 37-38), con un ossimoro che denuncia la critica filosofica dei miti, una lapidaria affermazione  di ultratradizionalismo che sarà ripresa dall'Euripide postfilosofico o antifilosofico delle Baccanti :"Il sapere non è sapienza"(v.395), canta il coro delle menadi, quindi si augura di "tenere il cuore e la mente lontani dagli uomini straordinari, per accettare quello che il popolo più semplice pensa e crede"(vv. 427-432).

Ebbene il tradizionalismo aristocratico di Pindaro è più  vicino alle credenze popolari che alla sapienza intellettualistica degli "uomini straordinari". Oggi si chiamerebbero radical-chic.

Del resto la sapienza non è a portata di tutti ma è "scoscesa"(sofivai me;n aijpeinaiv Olimpica IX, 108).

 La figura umana di Pelope, grazie all'eroismo, si avvicina a quelle divine dunque, anche se soltanto "sogno di ombra è l'uomo"(Pitica VIII, 95-96) “ jepavmeroi: tiv dev ti~; tiv d j ou[ ti~ ; skia`~ o[nar - a[nqrwpo~ creature di un giorno: che cosa è qualcuno? Che cosa nessuno? Sogno di ombra è l’uomo.  Ma quando un bagliore scende da un dio fulgida luce scende sugli uomini.

Eppure il mortale può conseguire anche la felicità eterna con un comportamento morale, mondo da colpe gravi quali spergiuri e inganni:  quanti hanno vissuto tre vite pure, tenendo l’anima lontana dalle opere ingiuste, afferma il poeta nella Olimpica II, scritta probabilmente sotto l'influenza delle teorie orfico-pitagoriche assorbite in Sicilia, dimorano lietamente nelle isole luminose dei beati dove "ardono fiori d'oro"( a[nqhma de; crusou` flevgei, v.73).

La vedremo tra poco.

Una siffatta assimilazione dell'uomo al dio non rimane isolata nella cultura greca, ma si ritrova  nelle sculture di Mirone e di Policleto, quindi prosegue nella suprema dignità conferita da Fidia alla figura umana.

 

Mirone, nato in Beozia anche lui, fiorito intorno alla metà del V secolo, nel Discobolo  raffigura quell'altezza dell'ideale agonale destinata a cadere quando l'agonismo, già al tempo dell'ultimo Euripide, diverrà professionistico e venale, fatto che avrebbe attirato gli strali irati di Pindaro i quali infatti nel'Istmica II invoca la  "Musa non interessata né mercenaria" (v.6).

 

 Policleto con il Doriforo (del 440 circa), mostra, tra l'altro, quella unità dell' anima e del  corpo umani che per noi è andata irrimediabilmente perduta.

La gara o la posa atletica per questi artisti ha un significato anche metafisico  poiché l'agonista sforzandosi di conseguire la perfezione della propria virilità realizza un imperativo religioso

 

Nella Nemea V (vv. 1-3) Pindaro però afferma la propria superiorità sullo scultore che crea figure  immobili sopra i loro piedistalli- Oujk ajndriantopoiov~ eijm j, w{st j ejlinuvsonta ejrgavzesqai ajgavlmat j ejp j aujta`~ baqmivdo~ ejstaovt j” , non sono uno scultore in modo da fare statue inattive e immobili sulle basi.

.

 

Le gare sportive dovrebbero prendere il posto della guerra

Leopardi e Nietzsche scrivono parole piene di ammirazione sugli agoni greci.

Il poeta di Recanati (Zibaldone , 328-329) nota la differenza "tra i giuochi greci e i romani" per mettere in rilievo"la naturalezza dei primi che combattevano nella lotta nel corso ec. appresso a poco coi soli istrumenti datici dalla natura,

laddove i romani colle spade e altri istrumenti artifiziali. E quindi la diversa destinazione di quei giochi, diretti presso gli uni ad ingrandir quasi la natura ed eccitare le grandi immagini, sentimenti ec.; presso gli altri o al semplice sollazzo, o all'addestramento militare".

 Cfr. Seneca sul circo: “nugis omissis mera homicidia sunt (Ep 7, 3) exitus pugnantium mors est (7, 4)

 

 

Nietzsche, in Umano troppo umano, (vol.2, 226, Saggezza dei Greci) scrive:"Poiché il volere vincere e primeggiare è un tratto di natura invincibile, più antico e originario di ogni gioia e stima di uguaglianza. Lo stato greco aveva sanzionato fra gli uguali la gara ginnastica e musica, aveva cioé delimitato un'arena dove quell'impulso poteva scaricarsi senza mettere in pericolo l'ordinamento politico. Con il decadere finale della gara ginnastica e musica, lo stato greco cadde nell'inquietudine e dissoluzione interna".

 

Ci metto anche la gara verbale politica

Cfr. l’ Edipo re di Sofocle: nel secondo stasimo il coro chieda al dio di non interrompere mai la nobile gara benefica per la città: “to; kalw`~ dj e[con – povlei pavlaisma mhvpote lu`sai- qeo;n aijtou`mai”. E’ la gara atletica e  pure quella politica. Lottano per la gloria

 

Valenza etica e religiosa degli epinici. L’aedo li deve agli dei, agli atleti e al popolo

 Gli epinici di Pindaro, cantati da un coro quando il vincitore torna dagli agoni, hanno anche una valenza religiosa: sono inni cultuali che trattano di cose venerande. E il poeta, mentre santifica il vincitore, perviene alla sua altezza; il celebrato e il celebratore, secondo la concezione dell'antico aedismo, salgono insieme sopra una vetta splendidamente soleggiata da dove è possibile volgere lo sguardo al significato della vita umana.

La vittoria infatti esige il canto che è un debito del poeta all’atleta, al committente, alla  festa (Olimpica III , 7) e alla stessa dike :"lodare il valente è fiore di giustizia"- divka~ a[wto~ ejslo;n aijnei`n- , leggiamo in Nemea III , 29.

 

C’è un detto:tetelesmevnon eslovn- mh; camai; siga`/ kaluvyai(Nemea IX , 7), una nobile azione compiuta non celarla a terra in silenzio.

 

Il cantore ispirato, ravviva le parole mortificate dall'uso e restituisce loro lo stupefacente, dunque filosofico, significato originario: vive più a lungo delle gesta la parola che, con il favore delle Grazie, lingua attinga dal fondo dell'anima"( rJh`ma d  j ejrgmavtwn croniwvteron bioteuvei- o{ ti ke su;n Carivtwn tuvca/- glw`ssa freno;~ ejxevloi baqeiva~  Nemea IV, 6-8).

 

Fondamentale è il nesso Vittoria-Canto, mentre la gara non viene narrata. Se vogliamo leggere la descrizione di una corsa di cocchi veloci ai giochi pitici dobbiamo cercarla nell'Elettra di Sofocle dove (vv. 680-763) si racconta, falsamente, la morte di Oreste in un incidente. Pindaro volge piuttosto l'attenzione all'uomo che ha manifestato aretà  suprema e perciò viene collocato, non quale individuo ma come incarnazione della virtù, sull'altare costruito dalla poesia che è "tesoro di inni"(Pitica VI , 7-8), un tempio adorno di colonne (Olimpica VI , 1-3) e doni votivi.

L’Olimpica VI  (468) è l’ultima delle sei composte per i vincitori siciliani.

Ierone è  celebrato anche nell’Olimpica I e in tre Pitiche.

Pindaro inzia l’ Olimpica VI annunciando cruseva~ kivona~ pavxomen, costruiremo colonne d’oro innalzandole  a sostegno dell’atrio di una dimora nuziale come per un fulgido palazzo. 

Celebra la vittoria du Agesia siracusano con il carro mulare. Era amico di Ierone, tanto che quando il despota morì e i Dinomenidi persero il potere, Agesia fu ucciso.

Il poeta è il sacerdote, il profeta della bellezza del mondo, il quale è intessuto con fili d'oro poiché vi si annida il divino; Pindaro non racconta, come  altri lirici soltanto i propri sentimenti personali, ma scopre l'immanenza dell'ideale nel reale.

 

Pesaro primo  ottobre 2024 ore 18, 40 giovanni ghiselli

 

p. s.

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