Racconterò anche questo percorso venerdì 4 ottobre dalle 19 nell’Hotel Alexander di Pesaro.
Olimpica II -476. dedicata a Terone di Agrigento vincitore con il carro- a[rma tevqrippon—
a[rmato~ tov- quadriga a due ruote tirata da quattro cavalli per 12 giri di pista. Terone fu tiranno dio Agrigento dal 478 al 472
Strofe 1
Il lirico tebano si rivolge agli “inni signori della cetra- la musica deve adeguarsi alle parole per l’attitudine logocentrica dei Greci- e domanda quale eroe, dio, uomo debba cantare. Le parole prima della musica.
Pisa (il territorio di Olimpia) è di Zeus , Eracle fondò gli agoni olimpici che il poeta definisce “primizie di guerra”- ajkrovqina polevmou (v.7)
Questa è la traduzione corrente che trovo nelle Olimpiche della Lorenzo Valla tradotte da Bruno Gentili. Non mi piace perché non capisco che cosa significhi. Provo a esaminare la prima delle due parole componendone le parti
-a[kro~ significa alto, il più elevato, qiv~- qinov~ vuol dire mucchio, dunque gli agoni di Olimpia stanno sopra il mucchio delle altre competizioni compresa la guerra che provoca cumuli di cadaveri e rovine.
Le competizioni sportive sono la parte alta sul mucchio delle guerre che costituiscono il decadimento degli agoni a mattatoio
Una cattiva e[ri~ che ora piace tanto ad alcuni. Le grandi gare panelleniche cantate da Pindaro dunque sono superiori a tutte le altre competizioni.
Io tradurrei vetta sul mucchio informe della guerra
Dall’espressione invero oscura “primizie di guerra” ricavo un mio controcanto rispetto all’orrido fragore delle armi: la guerra armata deve essere sostituita da competizioni sportive, agoni che non siano mattanze di uomini, distruzioni di alloggi, offese all’umanità e alla natura.
Cicerone nelle Tusculanae disputationes ricorda che Platone considera il capo come l'acropoli della persona: :"Plato...rationem in capite sicut in arce posuit " (I, 10), Platone collocò la ragione nel capo come su una rocca (Cfr. Timeo 70 b, Repubblica 560b).
Ebbene l’acropoli delle competizioni devono essere le nobili gare olimpiche e le parole intelligenti delle competizioni politiche.
Le gare sportive corrispondono alla testa dell’uomo, le guerre al suo deretano-
Se queste avranno l’onore e la supremazia nelle menti e nei cuori delle donne e degli uomini non seguiranno i mattatoi delle guerre.
Questo spero e auspico
Torniamo al testo di Pindaro
Per la quadriga vittoriosa dobbiamo cantare Terone, giusto nel rispetto degli ospiti- divkaion xevnwn- sostegno di Agrigento, fiore di padri illustri, retto reggitore della città- jorqovpolin- . Il rex deve essere retto e tenere dritta la città
Se si pone mente al latino rex si deve pensare alla parentela di questa parola con il verbo greco ojrevgw, "tendo, stendo". "La radice deriva dall'indoeuropeo *reg- che ha dato come esito in greco ojreg- (con protesi di oj- ) in latino reg-"[1] da cui rego, dirigo, regio, regione e rectus, diritto. Quindi "in rex bisogna vedere non tanto il sovrano quanto colui che traccia la linea, la via da seguire, che incarna nello stesso tempo ciò che è retto"[2]. Anche i ragazzi sanno che il rex deve agire recte: infatti, quando giocano, dicono: sarai re se farai bene: "at pueri ludentes 'Rex eris ' aiunt/ 'si recte facies" [3].
Terone dunque è fior fiore – a[wto~-di padri illustri.
I progenitori di Terone avevano partecipato intono al 582 alla fondazione di Agrigento che nasce come sub-colonia di Gela fondata nel 688 da una spedizione mista di Rodii e Cretesi.
Antistrofe 1
Questi antenati di Terone erano molto provati nell’animo- kamovnte~ polla; qumw`/ ed erano l’occhio della Sicilia.
L’occhio non solo percepisce la luce ma anche la emana.
Le grandi imprese richiedono grandi prove.
“Davanti al valore –ajrethv-gli dei hanno posto il sudore- ijdrwv~- (Esiodo, Opere e giorni, 289).
Quindi venne il tempo fatale- aijw;n movrsimo~ - movro~ è la parte assegnata dal destino moi`ra- portando ricchezza e bellezza alle virtù innate. Queste colgono sempre il premio promesso e fatto sperare da loro stesse.
Quindi Pindaro prega Zeus chiamandolo Cronio e figlio di Rea, Zeus che regge non solo la sede dell’Olimpo ma anche il vertice degli agoni- ajevqlwn te korufavn- e invoca il corso dell’Alfeo, fiume che nasce in Arcadia e scende nell’Elide.
Il colle di Crono-verde di pini dall’alta chioma- si trova nel recinto di Olimpia.
Il poeta chiede a Zeus di essere eu[frwn-benevolo- con la stirpe e la terra di Terone
Epodo 1
Delle imprese compiute nella giustizia e contro la giustizia- tw`n de; pepragmevnwn- ejn divka/ te kai; para; divkan-
nemmeno il Tempo padre di ogni cosa potrebbe rendere incompiuto-ajpoivhton l’esito. Cfr. Factum fieri infectum non potest- cfr. Plauto Aulularia IV, 10.
Il risultato dell’ingiustizia para; divkan non è mai buono ma l’oblio lavqa del male e il suo superamento può nascere in concomitanza con una sorte felice .
Domata damasqevn da nobili gioie muore-qnavskei- la pena recrudescente ph`ma paligkovton- kovto~ oJ è il risentimento la pena risentita non si risente più quando il ricordo dell’insuccesso è superato dal successo- E’ il dolore che rende saggi, la deformità buoni, l’amarezza miti, la malattia forti”.
Il dolore può renderci saggi.
Dedico questo post a Glauco Mauri che ha fatto onore alla nostra Pesaro fino agli ultimi giorni della sua vita e ci ha dato una lezione tanto con la sua bravura quanto con il suo dolore.
Nel romanzo Giobbe di Joseph Roth sta scritto:
“Il dolore lo farà saggio
La deformità buono
L’amarezza mite
La deformità forte”
Deborah l’ha detto” (capitolo XVI, p. 186)
Gli Israeliani e pure gli Ebrei italiani, magari scampati per miracolo al genocidio nazista, se non condannano l’attuale orribile genocidio dei Palestinesi dopo quello ancora più orrendo subito dal loro popolo, non entrano nella categoria delle persone rese sagge, buone, miti e forti dal dolore.
Cfr. il tw`/ pavqei mavqo~ di Eschilo (Agamennone, 177)
Pesaro 2 ottobre 2024 ore 9, 34 giovanni ghiselli
Le pene sofferte anche a lungo ma poi domate, le ingiustizie subite e inflitte, se vengono superate, si ricordano con fierezza per averle domate e costrette a condurci verso il successo e la gioia.
Strofe 2
Pindaro propone l’esempio delle Cadmeidi, le quattro figlie di Cadmo e Armonia: Agave, Autonoe, Semele e Ino.
Agàve la madre di Penteo, Autonoe di Atteone che vide Artemide nuda e la dea trasformò in un cervo che poi venne sbranato dai suoi stessi cani, Semele è la madre di Dioniso, Ino quella di Melicerte poi divinizzato con il nome di Palemone.
Era, La gelosissima consorte del re degli dèi spinse Atamante[4] a uccidere il figlio Learco, e Ino a gettarsi nel mare, con l’altro figlio Melicerte in braccio. Quindi ella venne trasformata in una Nereide dal nome di Leucotea (cfr. Odissea, V, 333-335) mentre il bambino divenne il piccolo dio Palemone.
Dante ricorda questa versione del mito deducendola dalle Metamorfosi di Ovidio ( IV, 512-542): “Nel tempo che Iunone era crucciata/per Semelè contra ‘l sangue tebano,/come mostrò una e altra[5]
fiata,/Atamante divenne tanto insano,/che veggendo la moglie con due figli/andar carcata da ciascuna mano,/gridò: “Tendiam le reti, sì ch’io pigli/la leonessa e’ leoncini al varco”; /e poi distese i dispietati artigli,/prendendo l’un ch’avea nome Learco,/e rotollo e percosselo ad un sasso;/e quella s’annegò con l’altro carco”. (Inferno, 30, 1-12).
Ino venne divinizzata quale Nereide con il nome di Leucotea.
Un destino mandato dal dio qeou` moi`ra volge in alto la fiorente fortuna ma il movimento circolare è rivolto anche in basso. Queste quattro donne patirono grandi mali, ma Semele e Ino ottennero vita immortale.
La pena pesante cade di fronte a beni più forti. Semele dalla lunga chioma morta per il fragore del fulmine vive tra gli Olimpi e il figlio Dioniso, il giovane coronato di edera pai`~ oJ kissofovro~ la ama molto mavla filei`. l’edera sempre verde simboleggia la vitalità della natura.
Antistrofe 2
Ino ha avuto una vita immortale tra le Nereidi marine.
Pindaro era tebano e Terone vantava origini cadmèe, quindi il paradigma mitico tebano doveva piacere a entrambi.
Non conosciamo quando cadrà il termine ultimo della nostra vita ma correnti alterne rJoai; dj a[llot j a[llai- di gioia e di dolore vanno e vengono verso gli uomini.
Già Archiloco aveva suggerito a se stesso:
“Animo, animo sconvolto da affanni senza rimedio
sorgi e difenditi dai malevoli, contrapponendo
il petto di fronte, piantandoti vicino agli agguati dei nemici
con sicurezza: e quando vinci, non gloriartene davanti a tutti,
e, vinto, non gemere buttandoti a terra in casa.
Ma nelle gioie gioisci e nei dolori affliggiti
non troppo: riconosci quale ritmo governa gli uomini.
(mh; livhn: givgnwske d j oi|o~ rJusmo;~ ajnqrwvpou~ e[cei, fr.67 a D).
Terone discende da Tersandro figlio della figlia di Adrasto, l’argiva Argia e del tebano Polinice figlio di Edipo, quindi Pindaro ricorda anche i Labdacidi: l’incontro del figlio fatale movrimo~ uJov~ con Laio nel trivio
dove convergono le strade di Tebe, di Delfi e di Daulia (cfr. Edipo re, v.734).
Tersandro divenne re di Tebe e morì nella guerra contro Troia,
Epodo 2
Oggi la Moi`ra è benigna ma talora reca pena come avvenne in quel tempo quando Edipo ammazzò Laio compiendo l’oracolo pitico. Il male però poi si volge altrove
Strofe 3
L’Erinni dunque vide Edipo con occhi acuti e gli uccise con mutua strage ajllalofoniva/ la stirpe guerriera. I due figli di Edipo Eteocle e Polinice si uccisero a vicenda (cfr. i Sette a Tebe di Eschilo, le Fenicie di Euripide e la Tebaide di Stazio) ma restò Tersandro il figlio di Polinice e Argia
Egli si coprì di gloria nelle gare atletiche e nelle battaglie e fu il salvatore della casa. Dunque è giusto che ottenga canti di encomio e gloria il suo discendente Terone, figlio di Enesidàmo.
Antistrofe 3
Pindaro elenca le vittorie di Terone e di suo fratello Senocrate negli agoni Olimpici, Pitici e Istmici.
Ottenere il successo to; de; tucei`n libera dalle ossessioni chi tenta le gare –paraluvei ajfrosuna`n peirwvmenon ajgwniva~-
mettendosi alla prova.
Vincendo si impara a vincere: i successi producono altri successi. Come gli insuccessi.
Giuliano quando viene proclamato Augusto dai suoi soldati -361 d. C.- e si prepara ad attaccare Costanzo parla alla truppa: quid agi oporteat bonis successibus instruendi (Ammiano Marcellino, 21, 5, 6), dobbiamo imparare dai buoni successi quanto è opportuno fare, e dagli insuccessi quello che non si deve fare.
La terza antistrofe termina con queste parole: “la ricchezza adorna di virtù - plou`to~ ajretai`~ dedailmevno~- daidavllw= lavoro con arte- apporta molte occasioni diverse suscitando una profonda inquietudine di ricerca. Non avere difficoltà economiche è un vantaggio per l’artista che crea to; daivdalon, l’opera d’arte.
Cfr. Isocrate Areopagitico del 356: “La paideiva va conformata ai mezzi di cui ciascuno dispone. I più poveri venivano indirizzati all'agricoltura e al commercio:" ejpi; ta;" gewrgiva" kai; ta;" ejmporiva"" (44). Gli abbienti invece si dedicavano alla ginnastica, ippica, caccia, e alla filosofia.
Epodo 3
Una stella splendente è una luce verissima ejtumwvtaton fevggo~ che illumina veracemente gli eventi, e chi la possiede conosce il futuro oi\den to; mevllon, e sa che le sprovvedute le deboli menti dei morti pagano subito qui la pena, mentre sotto terra le colpe qualcuno le giudica pronunciando sentenze con implacabile necessità.
Le menti sprovvedute ajpavlamnoi frevne~ a parer mio risente delle teste svigorite " ajmenhna; kavrhna" di Odissea XI, 29. palavmh-accorgimento, mezzo-
Quanto alla pena da pagare subito qui ejnqavd j aujtivk j è rimanere sulla terra con una nuova reincarnazione in un’altra veste corporea, lasciando spazio a un appello.
Invece kata; ga`~ -sotto terra- i giudici infernali pronunciano sentenze implacabili e inappellabili.
Cfr. Il giudizio delle anime nel Gorgia di Platone.
Nel Gorgia di platone c’è il racconto del giudizio delle anime. In questo dialogo platonico Socrate dice a Callicle, il sofista fautore del diritto del più forte, che al tempo di Crono e all’inizio del regno di Zeus, c’erano giudici viventi che giudicavano uomini ancora vivi, emettendo sentenze nel giorno in cui era destino che i giudicati morissero.
Ma i giudizi erano errati (kakw`~ ou\n aiJ divkai ejkrivnonto, 523b). Così succedeva che nel carcere del Tartaro finissero i giusti e nelle isole dei beati i malvagi. Zeus comprese che gli errori giudiziari dipendevano dal fatto che i giudici vivi emettevano sentenze su dei vivi, e questi potevano trarre in inganno poiché le anime malvagie erano rivestite con corpi attraenti, rese autorevolo da stirpi illustri, coperte da ricchezze, e aiutate da molti testimoni che davano false testimonianze (523c).
I giudici ne restavano impressionati e condizionati.
Allora Zeus disse che gli uomini non dovevano conoscere in anticipo il giorno della loro morte. Inoltre sarebbero stati giudicati del tutto privi di orpelli, cioè da morti. Anche il giudice doveva essere nudo e morto, così da penetrare direttamente con lo sguardo nell’anima di ciascun giudicato. E veniva vietato il seguito di parenti.
Zeus designò quali giudici tre figli suoi: Minosse[6] e Radamanto[7] che giudicavano chi proveniva dall’Asia, Eaco[8] quello dall’Europa. Il giudizio doveva avere luogo nel prato di asfodeli, ejn th`// triovdw/ ejx h|~ fevreton tw; oJdwv (Gorgia, 524a) nel triodo dal quale si dipartono due vie: una porta all’isola dei beati, l’altra al Tartaro[9].
Strofe 4
Le sentenze definitive non sono tutte uguali e vengono differenziate.
Gli ejsloiv, i valenti ricevono una vita priva di pene e godono sempre del sole.
Il sole porta significazione di Dio, come scriverà santo Francesco e vederlo dalla mattina al risveglio fino al tramonto è una gioia per la persona buona che ama la luce perché non ha brutture morali né fisiche da tenere nascoste (cfr. N. T. Giovanni, III, 19).
I buoni inoltre non sconvolgono la terra né l’acqua del mare ouj cqovna taravssonte~ oujde; povntion u{dwr- fidando nel vigore del braccio e agitandosi per ottenere un tenore di vita vuoto – kenea;n para; divaitan-.
Vuoto di che? Di bene , di buon gusto, di bellezza, di ogni cosa buona
I malvagi invece sconvolgono la terra e il mare per i loro profitti dunque.
I buoni in vita gioivano dei giuramenti mantenuti agli dèi onorati, quindi detengono un eterno tempo senza lacrime ajdavkrun nevmontai aijw`na, mentre gli altri patiscono una pena orribile a vedersi
Antistrofe 4
Ma quanti ebbero l’ardire o{soi d j ejtovlmhsan passando tre volte l’una e l’altra vita di tenere del tutto lontana l’anima dalle opere ingiuste arriva fino alla torre di Crono nell’isola dei beati dove spirano le brezze dell’Oceano e ardono fiori d’oro- a[nqenma de; crusou` flevgei-
Cfr. Saffo: “Io ho una bella figlia, Cleide, simile ai fiori d’oro, Cleide (fr. 152 D.)
Per essere giusti nel mondo dove l’ingiustizia prevale è necessario l’ardire.
Fiori ardenti, seppure non aurei bensì purpurei, mi sembrano i papaveri. Ardono anche sotto la pioggia continua.
L’identificazione tra l’età di Crono e quella dell’oro si trova nelle Opere e Giorni (111 sgg) di Esiodo
Cfr. Virgilio: redeunt Saturnia regna di Bucolica IV, v. 6.
Scritta nel 40 a. C., l’anno del consolato di Asinio Pollione.
Il puer potrebbe essere suo figlio, oppure l’auspicato figlio di Antonio e Ottavia, sorella di Ottaviano, i quali si sposarono per sancire l’accordo di Brindisi in quell’anno. Poi nacque una bambina.
Saturno diede alla terra dove si era rifugiato il nome di Latium , "his quoniam latuisset tutus in oris " (Eneide, 8, v. 323), poiché era rimasto latitante sicuro in queste contrade.
Saturno, per evitare la violenza di Giove, sarebbe fuggito in Italia nella regione che poi denominò Latium "his quoniam latuisset tutus in oris" (Eneide, VIII, 323), poiché era rimasto latitante e sicuro in queste rive. Sotto quel re, raccontano, ci furono i secoli d'oro:"Aurea quae perhibent illo sub rege fuere/saecula: sic placida populos in pace regebat,/deterior donec paulatim ac decolor aetas/et belli rabies et amor successit habendi " (vv. 324-327), così governava i popoli nella dolce pace, finchè a poco a poco subentrò un'età deteriore e scolorita e la furia di guerra e la brama del possesso. L'età dell'oro significava pace e bellezza di colori. Poi intervenne l'età del business.
I beati vengono nutriti dagli alberi e dall’acqua- frutta e pesci, sicché non diventano obesi-. Quindi intrecciano ghirlande e corone, un elemento costante della letizia conviviale delle realtà paradisiache
Epodo 4
Crono regna sulle isole dei beati
Radamanto è il consigliere di Crono che lo tiene sempre pronto al suo fianco aujtw`/ pavredron. Figlio di Europa e Zeus, è uno dei tre giudici infernali con il fratello di Minosse, e il fratellastro Eaco figlio di Zeus e della ninfa Egina .
Si tova anche nell’Elisio omerico- o{qi xanqo;~ JRadavmanqo~ (Odissea, XI, 564) . Nel romanzo La montagna incantata di T. Mann è il soprannome che viene dato all’archiatra del sanatorio di Davos, un medico mattacchione.
Tra i beati vengono menzionati anche Peleo Cadmo e Achille portatovi dalla madre Teti.
Crono regna sulle isole dei beati
Nelle Argonautiche Era, chiedendo l’aiuto di Teti per il passaggio degli Argonauti sulla via del ritorno tra Scilla-Cariddi , afferma che è destino di Achille, una volta arrivato ai campi Elisi, sposare la figlia di Eeta Medea (4, 814): “su; d j a[rhge nuw/', eJkurhv per ejou'sa” (4, 815), tu aiuta tua nuora, poiché sei appunto sua suocera.
Nell’esodo delle Baccanti di Euripide Dioniso svela il futuro a Cadmo dicendogli che Ares salverà lui e sua moglie Armonia facendoli dimorare nella terra dei beati- makavrwn tj ej~ ai\an- 1339
Armonia è figlia di Ares e Afrodite
Strofe 5
Il pronome relativo che apre questa strofe riprende Achille che abbattè Ettore l’invicibile diritta colonna di Troia- {Ektora Troiva~ a[macon ajstrabh` kivona.
Si può notare anche qui l’obiettività epica degli autori Greci che riconoscono il valore dei nemici. Omero nell’Iliade racconta episodi cavallereschi della guerra di Troia (p. e. il duello di Ettore contro Aiace nel VII libro dell’Iliade. Finì alla pari , venne interrotto dalla notte e i due si scambiarono dei doni.
Oh gran bontà dei cavalieri antiqui! scriverà Ariosto che esecra gli abominosi ordigni di una scienza abbrutita, l’archibugio per allora.
Pindaro ricorda che Achille uccise anche Cicno e l’etiope Memnone figlio dell’Aurora e di Titone, fratello di Priamo.
Quindi l’autore fa una dichiarazione di poetica: nella faretra ho molte frecce che parlano a chi è capace di intendere- polla; bevlh fwnaventa sunetoi`sin-, ma per la massa ci vogliono interpreti-eJrmanevwn-. Rivendica alla sua poesia quello xenikovn peregrino, strano, non ordinario, non pedestre che Aristotele suggerirà allo scrittore se vuole essere egregio.
Pindaro è maestro in questa arte e chi vuole apprenderla bene deve studiare questo poeta.
Tuttavia lo studio secondo il Nostro non basta: ci vuole talento.
Sapiente è chi sa molto per natura: sofo;~ oJ polla; eijdw;~ fua` mentre gli addottrinati intemperanti per loquacità maqovnte~ de; lavbroi pagglwssiva/ sono come due corvi che gracchiano invano.
Gli interpreti hanno visto in questi due uccelli ciarlieri un riferimento ai poeti rivali di Pindaro Simonide e Bacchilide.
Platone nel Menone sostiene che conoscere è ricordare: gli addottrinati non possono essere sapienti se sono stati ammaestrati riguardo a temi che non avevano già dentro. Lo dico anche per esperienza personale: quanto ho imparato per un esame di ciò che è diverso da me, che non mi piaceva, l’ho dimenticato poco dopo. Quanto invece ho imparato, magari in seconda elementare, che faceva già parte della mia natura, non l’ho mai dimenticato
Antistrofe 5.
I corvi dunque schiamazzano contro l’uccello divino di Zeus.
Il poeta vuole lanciare frecce gloriose dalla mente ormai mite- ejk malqaka`~ frenov~- Il tiro dunque ridiventa benevolo dopo la polemica contro i colleghi corvi: puntando la mira su jAkravga~ Pindaro encomia il suo ospite protettore Terone e afferma che la città non ha generato in cento anni un Evèrgete più benefico di cuore e più generoso di mano verso gli amici. E’ un ringraziamento anche personale.
Epodo 5
La lode però non deve causare nausea perché questa calpesta la lode- ajll j ai\non ejpevba kovro~.
Penso ai leccapiedi del potere. Cfr. Naphta su Virgilio: “un letterato di corte, leccapiedi della stirpe Giulia” La montagna incantata, VI capitolo . Oggi se ne sentono tanti.
Dunque è ora di concludere il canto per non superare la giusta misura.
La sazietà che non si accompagna a giustizia ouj divka/ può derivare dal servilismo ma anche dalle maldicenze del ciarlare lalagh`sai. lalevw ciarlo. latino lallo canto la ninna nanna.
Cfr. i rumores raccolti e rivelati da Tacito.
I detrattori non devono nascondere il bene mentre gli amici estimatori non possono raccontare tutto quello elargito da Terone siccome la sabbia sfugge al numero-ejpei; yavmmo~ ajriqmo;n peripevfeugen e non è possibile raccontare quante gioie Terone ha donato ad altri
Fine dell’Olimpica II.
Pesaro 2 ottobre 2024 ore 10, 43 giovanni ghiselli.
p. s.
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[1] G. Ugolini, Lexis, p. 346.
[2] E. Benveniste, Il vocabolario delle istituzioni indoeuropee , p. 295.
[3] Orazio, Epistulae I, 1, 59-60.
[4] “Atamante era re di Orcomeno in Beozia. Le sue fosche vicende familiari furono un soggetto prediletto dai tragici. Eschilo compose un Atamante (frr. 1-4 a Radt) di cui non si sa in pratica nulla; Euripide un Frisso (frr. 819-838 Nauck-Snell) e una Ino…Sofocle scrisse due tragedie intitolate Atamante (frr. 1-10 Radt) e un Frisso (frr. 721-723 a Radt)”. G. Guidorizzi (a cura di), Igino, Miti, p. 184.
[5] Aveva provocato l’incenerimento di Semele.
[6] Cfr. Odissea, XI, 568-571, Virgilio, Eneide, VI, 432 e Dante Inferno , V, 34 e sgg.
[7] Cfr. Odissea, IV, 563-565
[8] Cfr. Pindaro, Istmica VIII, 26
[9] Cfr. Virgilio, Eneide VI: hic locus est, partis ubi se via findit in ambas,
Questo è il luogo dove la via si divide in due parti.
E continua:
la destra che tende sotto le mura del grande Dite,
per di qua la nostra via verso l’Elisio; ma la sinistra dei malvagi
mette in atto le pene e all’empio Tartaro invia”.
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