mercoledì 4 dicembre 2024

Viaggio in Grecia 1978 IV Il tempio di Brauron. La preghiera alla dea casta.

Procedevo lungo la costa orientale dell’Attica, diretto al promontorio meridionale. La strada era discosta qualche chilometro  dal mare da dove provenivano i soffi di un vento furioso. Pedalavo chino sul manubrio e abbarbicato alla bicicletta per non essere gettato a terra dove avrei battuto la testa, sarei rimasto privo di sensi e mi avrebbero finito dei cagnacci affamati acceffandomi senza pietà, ne ero sicuro. Ho sempre temuto la morte per cani.

A un tratto vidi un cartello che indicava il tempio di Brauron. L’avevo sentito menzionare da Euripide ma non ricordavo in quale tragedia. “sono i prodromi dell’Alzaheimer” pensai e ne fui terrorizzato. Quindi sussurrai: “presto sarà tempo di dire: nunc dimittis servum tuum Domine” . Poi aggiunsi: “forse è già tempo”, ricordando le ultime parole del romanzo Il male oscuro di Berto che mi influenzò e aiutò molto nella fase più tragica della mia vita.

Non potevo rassegnarmi a tanta smemoratezza: non avevo nemmeno bevuto l’acqua del Lete. Ho sempre avuto una memoria più che terrena e il laqevsqai mi pareva  il maximum scelus , un segno di morte. Sicché ce la misi tutta per tirare fuori il ricordo dalle pagine di Euripide . Appena me ne sovvenni, mi sentìi salvo. Si tratta della cara tragedia Ifigenia in Tauride quando Atena ex machina ferma l’inseguimento del barbaro re Toante e salva i fratelli figli di Agamennone e Clitennestra, preannunziandone le sorti. La ragazza dovrà custodire le chiavi del tempio di Brauron dove morirà e avrà sepoltura. In quel  tempio Ifigenia  avrebbe ricevuto l’ornamento  dei pepli e dei tessuti che le donne morte di parto lasciano nelle loro case.

L’onore della mia memoria, il mio stesso onore e la vita, tutto era salvo, tranne la mia bambina, quella che Päivi aspettava. Dovevo sostituirla in qualche maniera. Con rinnovate forze misi la bici  per  un sentiero sassoso pedalando a fatica contro gli sbuffi del vento che veniva dal mare e mi gettava aspri granelli di sabbia negli occhi già oberati da trenta ore di lenti a contatto. Ma lì tutto era santo. Infatti ero diretto al santuario dove le spoglie della la mia creatura prediletta  sarebbero rimaste per sempre  protette dalla dea cacciatrice. Giunsi sulla riva dove sorgono le colonne del tempio. Il vento orientale, lo stesso che più a nord ostacolava la partenza dal golfo di Aulide, sembrava inteso ad abbattere le sgretolate colonne. Non ci riusciva però. Invece scuoteva le chiome dei pini e i capelli della mia Ifigenia che profumavano mandando al cielo dolci odori paradisiaci, ingentilendo l’aria salmastra e rendendola più delicata. Guardavo mia figlia: bella, bruna, vivace: aveva negli occhi un’espressione ispirata, sulle labbra un sorriso di risoluta fierezza. Aveva deciso di dare la vita per l’Ellade intera guidata da me.  

Pregai la dea cacciatrice con gli occhi bagnati di umore congiuntivale e di pianto: “O casta dea che non puoi volere il sangue innocente di questa creatura mia, salvala dal ferro del sacerdote infernale. Ritengo che l’empio Calcante, lo scellerato prete, essendo lui un assassino, attribuisca a te la sua crudeltà. Ifigenia non è renitente al fato: non vuole essere salvata da me e nemmeno da Achille. Salvala tu, potente signora della natura, dopo che la mia figliola prediletta ha dato il suo assenso al sacrificio di sé per amore della Grecia. Artemide salva la vergine Ifigenia. Lei ti somiglia!”

Il luogo era deserto e potei piangere le lacrime dolci che mi diedero, come sempre, una strana consolazione. Sazio di lacrime, ripresi a pedalare. Ero quasi felice.

 

Bologna 17 maggio 2024 ore 13, 50 giovanni ghiselli

giovanni ghiselli

p. s

“Strana consolazione” dunque. Ne ho ancora bisogno. Piove da due giorni e non posso muovermi per non bagnarmi, né devo mangiare per non ingrassare.

Ma se non mangio nemmeno una pera con la buccia divento pazzo. Mia sorella mi suggerisce di non scartare nemmeno il torsolo. Non sarà troppo ingoiare tanta prelibatezza?

 La mia consolazione sta nel leggere e nello scrivere.

“La parola è la chiave fatata che apre ogni porta” ha scritto don Lorenzo Milani. Lo credo anche io. Con le mie donne migliori ha funzionato. Quelle affascinate dalle parole belle oltre che dalla mia lepidezza, erano non solo le più intelligenti ma pure le più belle. Elena Augusta in primis che dopo avermi ascoltato per un paio di giorni disse: “sto imparando ad amarti”.  Anche  con voi lettori le mie parole funzionano. Sarò maestro di un popolo intero

Ecco quanti siete fino a questo momento.

Sempre1648085

Oggi229

Ieri391

Questo mese1335

Il mese scorso11873

 

 

 

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