sabato 15 settembre 2012

Festival Filosofia sulle cose - di Giovanni Ghiselli



Festival Filosofia sulle cose di Modena Carpi Sassuolo, Settembre 2012


Ho seguito il primo pomeriggio
del festival della filosofia sulle cose:
 una festa di popolo e di studiosi che
parlano, nelle piazze, a tante persone che vengono a Modena, Carpi e Sassuolo
per imparare. Ascoltano con attenzione, poi, dopo gli applausi, fanno domande
generalmente pertinenti. Ero nella piazza grande del capoluogo e ho pensato
all’agorà di Atene con i discorsi di Pericle e al suo “amiamo il bello con
semplicità e amiamo la cultura senza
mollezza (filokalou'mevn
te ga;r met  j eujteleiva" kai; filosofou'men
a[neu malakiva", Tucidide, II, 40,
1).




Gli studiosi che conoscono
bene e possiedono l’argomento con la mente, sanno parlarne con semplicità,
quella prudens simplicitas che è complessità risolta in frasi piene di significato
e chiare.





Ho ascoltato per primo, alle
15, Vanni Codeluppi sulla
“Vetrinizzazione”. Il professore di sociologia presso l’Università di Modena e
Reggio Emilia ha parlato della nascita delle vetrine nel ‘700, quindi ha
spiegato come l’esposizione della merce per promuoverne la vendita, un poco
alla volta è diventata  messa in mostra
di individui che intendono autopromuoversi per ottenere vantaggi. Tale
esibizione di sé, naturalmente avviene a vari livelli, dal divo, all’uomo
politico, alla prostituta che devono vendersi al prezzo più alto possibile,
come le merci.





Ho pensato alle famigerate
ragazze in vetrina di Amburgo. Ne sentivo parlare quando ero ragazzo.





La messa in scena fatta per
colpire l’occhio può riguardare  anche
l’architettura, perfino un’intera città, come quelle barocche, e non solo
quelle, disegnate e costruite proprio come una scenografia di teatro.


Le vetrine sono diventate i
templi della religione in vigore adesso: quella del consumo. Gli adoratori e i
seguaci di tale culto, che sono tanti, trovano l’identità attraverso le merci
che possono o che vorrebbero comprare, una identità fasulla e gregaria
naturalmente, suggerita dalle marche possedute o agognate. Costoro dipendono
dagli oggetti.





 Mi viene ancora in mente, e contrario, il Pericle di Tucidide che diceva al suo popolo : “non
sono gli oggetti che acquistano gli uomini ma gli uomini gli oggetti  (ouj ga;r tavde tou;"
a[ndra", ajll j oiJ a[ndre" tau'ta ktw'ntai,  143, 5)”





 Ora l’uomo è immerso negli oggetti e rende
oggetto perfino il suo corpo, riempiendolo di orpelli e anche modificandolo in
vari modi, pure cruenti.





Orpelli che spesso non sono
opportuni e non convengono,  come scrive
Sofocle nell’Edipo re   a
proposito di quelli del tiranno, il figlio dell’ u{bri~, il
quale sale su fastigi altissimi ma finisce con il cadere nella necessità
scoscesa dove non si avvale di valido piede 
(vv. 873-877).





Torno alla relazione di
Codeluppi che ha collegato le manipolazioni del corpo operate da tanti con il
desiderio ansioso di corrispondere ai modelli vetrinizzati e pubblicizzati. Ma
tale brama non è mai del tutto realizzabile, allora l’insoddisfazione spinge agli
psicofarmaci e a droghe varie.


Per quanto riguarda
l’alienazione ed espropriazione finale, la morte, si cerca di esorcizzarla,
tenendola nascosta o, viceversa, di spettacolarizzarla, come quando si applaude
ai funerali.

















Dopo un breve intervallo, ha
parlato Zygmunt Bauman, professore
emerito di sociologia nelle Università di Leeds e Varsavia, un uomo di 87 anni,
pieno di vita. Ha detto che le cose significano ciò che pensiamo e diciamo d
loro: siamo noi che le giudichiamo, e non può né deve avvenire il contrario.


La pubblicità però cerca di
inculcarci giudizi positivi su quanto vuole farci comprare, anche se è dannoso.
Nello stesso tempo del resto, la propaganda consumistica ci induce a usare e
gettare via presto le cose acquistate, per  acquistarne altre, poi altre ancora. Tale abitudine
invalsa dell’usa e getta purtroppo si applica anche alle persone da parte di
molti. C’è dunque un consumismo generalizzato, impiegato con gli oggetti e con
tutto il resto.


La relazione consumistica è
diventata paradigmatica, esemplare di ogni rapporto. Come non c’è reciprocità
con le cose, rischiamo di perderla con gli esseri umani che vengono reificati e
quindi diventano usabili e sostituibili al pari degli oggetti. Si resta sulla
superficie di cose e di persone sulle quali facciamo come del surf.


Questo però può darci sensi
di colpa e frustrazioni varie per cui tanti ricorrono agli psicofarmaci che
Bauman ha definito “tranquillanti morali”.


E in definitiva ogni negozio
è una farmacia dalla quale cerchiamo un conforto all’ansia, comprando regali
per gli altri cui non sappiamo volere bene, e per noi stessi che non amiamo.


Per quanto riguarda la
tecnologia, il fine di chi la manovra è sostituire il mondo naturale. Una
espressione che mi è piaciuta molto e mi ha fatto pensare a Prometeo.


Veramente il professore
emerito parlava in inglese e io ne ho ascoltato la traduzione simultanea che
copriva la sua voce, quindi non riferisco proprio le parole di lui ma quelle
del suo traduttore simultaneo.





Il titano di Eschilo dunque,
il vero inventore della tecnologia si vanta dicendo pa'sai tevcnai
brotoi'sin ejk Promhqevw"
( Prometeo
incatenato, v. 507), tutte le
tecniche ai mortali derivano da Prometeo. Ma riconosce di avere infuso negli
uomini cieche speranze. ("
tufla;" ejn aujtoi'"  ejlpivda" katw/vkisa", v.250).


 Egli è divinità solo apparentemente benefica,  in quanto portatore di conoscenze pratiche
fuorvianti:"
qnhtou;" g j e[pausa mh; prodevrkesqai movron", ho fatto
smettere ai mortali di prevedere il destino"(v.248). la tecnica infatti
“funziona” ma non svela la verità, come ha notato Galimberti in altra occasione.





Ma
torno a Bauman. Il contrario dell’usa e getta del consumismo è l’amore che è un
impegno a lungo termine: è un prendersi cura l’uno dell’altro. Ora si parla a
vanvera di amicizia e di amici, come quelli degli elenchi, spesso lunghissimi, di
facebook.


“Ho
87 anni- ha detto il relatore- e non ho altrettanti amici”. L’amicizia insomma
è un valore raro e grande che, proprio per questo, quando è autentico, dà gioia
vera.


Felicità,
o almeno soddisfazione, può derivare anche da un lavoro fatto bene. Per fare un
esempio, la sto provando per come riassumo e commento quanto ho ascoltato ieri
a Modena.


Invece
i politici cercano di persuaderci che la soddisfazione maggiore deriva dalla
crescita del cosiddetto PIL, e dal comprare ad esso collegato. Bush figlio
consigliava alla gente di tornare al supermercato per uscire dalla crisi. Più o
meno altrettanto faceva Berlusconi.


Invece
bisognerebbe tornare a sentire la responsabilità morale che dovrebbe rifiutare
questa distribuzione della ricchezza del tutto iniqua e talmente squilibrata
che non potrà non sfociare in guerre e in massacri. Ma la tirannide del mercato
si adopera per allontanare gli esseri umani 
dalla responsabilità morale.


Bauman
poi ha menzionato gli
ajdiavfora della filosofia stoica, le cose indifferenti: nel senso che la
tecnologia presenta come indifferenti certi eventi che invece sono eticamente
rilevanti, spesso in senso negativo, come guerre e ingiustizie.





E’
un poco l’operazione, aggiungo, che fa Polibio quando biasima il collega
Filarco il quale mostra le pene dei vinti nelle sue Storie. Lo storico di Megalopoli,
che invece celebra i vincitori, sostiene che la storiografia, a differenza
della tragedia,  deve essere pragmatica,
cioè presentare i fatti senza commenti pieni di pathos, e di pietà.





L’ultima
riflessione ha riguardato il potere globalizzato, vagante nello spazio dei
flussi, del tutto emancipato dalla politica, incontrollato e incontrollabile.
Ma Il potere che non subisce controllo è quello del tiranno. Bisognerebbe
dunque rimodellare potere e politica.















Quindi
ha parlato Remo Bodei, che è professore
di filosofia presso la UCLA e Presidente del Comitato Scientifico del festival.


Espone
con chiarezza le sue vaste conoscenze, le riflessioni che ne ricava,  e parla con entusiasmo suscitando entusiasmo.


Bodei
ha distinto la cosa dall’oggetto attraverso dotte e interessanti etimologie.


Ha
collegato “cosa” con il latino causa,
come una questione che ci dà un motivo e ci sta a cuore, mentre “oggetto”   viene da obiectum
che è participio passato di obicio,
“getto davanti”, “contrappongo”. Quindi l’obiectus,
nel latino medievale obiectum,  è un impedimento, una barriera.


Ha
poi ricordato che un significato analogo ha il greco
provblhma, da probavllw, “getto davanti”.


L’oggetto
dunque ci ostacola, la cosa-causa ci
dà motivi, ci spinge. Causa rimanda
anche a responsabilità e a causa legale, a discussione, e richiama il
tribunale, l’assemblea, la dimensione pubblica, la discussione, al pari di res il significato della cosa che,
mentalmente posseduto, suggerisce le parole, secondo
il motto di Catone "Rem tene, verba
sequentur"
[1]: la res
tenuta nella mente con chiarezza fornisce i verba
che sono collegati etimologicamente a rhetorica,
all’arte del parlare in pubblico e a
parrhsiva, la libertà di parola senza la quale non c’è democrazia. Anche dal
nome latino dello Stato, res publica,
si vede come la “cosa” partecipi della collettività della politica e della
storia


Nelle cose infatti
si depositano le idee e le azioni degli uomini. Conservano le nostre res gestae e quelle di chi ci ha
preceduto.


Le rovine sono
ancora cosa viva, certo più viva dei troppi oggetti che vanno a finire nelle
discariche.


 Se riusciamo 
a liberare le cose, a farle emergere dal fango dei luoghi comuni, a
ripulirle  dalla polvere della banalità,
i nostri orizzonti, il mondo stesso si allarga. Le cose conservano e mostrano  gli affetti umani in loro riposte. Allora
possiamo redimere gli oggetti in cose salvandoli dalla loro insignificanza.
Tante cose sono simboli: metà di tessere che rappresentano periodi della nostra
vita, mantengono vivi ricordi di persone, di affetti, di gioie, di dolori anche,
dai quali possono sempre nascere intelligenza e comprensione. Queste metà di
tessere vanno riuniti con l’altra metà che è dentro di noi. Così la nostra
visione si amplia e la memoria, la vita stessa si allunga.





Mi sono venuti in
mente alcune cose della letteratura piene di significati.


Il letto di Odisseo che vale come chiaro segno di riconoscimento
tra due coniugi separati da vent’anni
[2]; il tappeto rosso dell’Agamennone di Eschilo[3] l’ ambiguo segno teatrale che steso
davanti al re vincitore "non è affatto, come egli immagina, la
consacrazione quasi troppo alta della sua gloria, ma un modo di consegnarlo
alle potenze infere, di votarlo senza remissione alla morte, questa morte
"rossa" che viene a lui nella stessa "sontuosa stoffa"
preparata da Clitennestra per prenderlo in trappola come in una rete"[4].


Altro oggetto ambiguo, simbolico di guerra cavalleresca e di morte
disperata è la spada a borchie d’argento che Aiace riceve in dono da Ettore[5].
Con questa stessa arma il Telamonio si ucciderà nella tragedia di Sofocle
dopo averla ricordata
come
e[cqiston
belw'n
(Aiace,
v. 658), la più odiosa tra le armi, e avere sentenziato che sono non doni, i
doni dei nemici e non sono vantaggiosi:"
ejcqrw'n a[dwra dw'ra koujk ojnhvsima" (v. 665).


Virgilio riprende il topos con l'ensis lasciata[6]
da Enea e impiegata da Didone, quale dono richiesto non per essere usato in
quel modo[7],
ossia  per il suicidio. L’ambiguità di
questa spada è totale: infatti essa è “oggetto” in quanto si oppone alla vita
ed è nello stesso tempo “cosa” carica di ricordi anche belli.


Le armi hanno spesso questa funzione simbolica:
si può pensare pure allo scudo di Archiloco che non si pente di averlo
abbandonato se ha salvato la vita, o a quello dei Germani di Tacito che
viceversa si impiccano dalla vergogna se lo hanno abbandonato
[8].


 Acune di queste cose, come abbiamo visto per
la spada, vengono impiegate in vari testi da autori diversi, come topoi o
 "argumenta
quae transferri in multas causas possunt
"[9].


Anche
le vesti possono assumere significati simbolici.


Il Cristo tribolato, l'ecce homo già prossimo alla morte,
quando viene esposto da Pilato è vestito di porpora
[10], e Dario III mentre si trovava capo dell'
esercito persiano schierato contro Alessandro era riconoscibile per il suo
sfarzo cui non mancava la porpora, ancora una volta un segno sinistramente
ominoso: "purpurae tunicae medium
album intextum erat
"[11],
la tunica di porpora era intessuta d'argento nel mezzo. Il grande  re di lì a poco si sarebbe capovolto in
farmakov~. Si potrebbero fare tanti
esempi di cose piene di significato, dalle coppe di Alceo colme di vino e
simboliche di amicizia conviviale, alla veste di lino e di lana, volendo
restare ai tessuti
[12].


Ma
preferisco tornare a Bodei, il quale del resto quando sono intervenuto, in fase
di dibattito, con una rassegna breve, più breve di questa, di tali “cose” in
letteratura, mi ha signorilmente ringraziato per il contributo. Un piccolissimo
contributo il mio.


La
seconda parte della lectio magistralis è stata più politica.


Dobbiamo
riscoprire il valore degli affetti che il PIL e i suoi fautori fanatici hanno
la pretesa di inumare. Ritrovare i piaceri della convivialità, i conforti della
solidarietà e della carità.


Il PIL
non può crescere all’infinito, e fissare un’attenzione totale, esclusiva, sui
dati economici può farci dimenticare la quintessenza della nostra umanità che è
l’amore per gli altri uomini.


I devoti
guardiani del PIL mortificano le cose, le svuotano di bellezza, storia e poesia
trasformandole in oggetti da discarica. I nostri governi sii comportano come il
Prometeo del Protagora di Platone
(322d), anzi peggio. Il Titano
distribuiva agli uomini oggetti e tecnica, senza fornire arte politica,
rispetto e giustizia. I mortali si uccidevano a vicenda finché Zeus impose la
presenza di questi valori politici.


I
fautori del PIL non danno nemmeno gli oggetti; li promettono a chi farà come
dicono loro..


 Bodei ha denunciato con forza l’espropriazione
operata dall’economia che ha esautorato la politica e tende a divaricare il
mondo naturale da quello umano. La stessa democrazia verrà avvelenata dal
predominio tirannico del mercato e del capitale. L’infezione è già in fase
avanzata.


 Aleggia un mivasma, una contaminazione,
come nella Tebe dell’
Oijdivpou~ Tuvranno~  di Sofocle[13], o peggio dell’Oedipus di Seneca che ammette: Fecimus
coelum nocens
" (v. 36),  io ho reso colpevole il cielo[14].
   


Mi fanno
sperare gli studiosi che hanno parlato e le persone che li hanno ascoltati con
attenzione.





Giovanni
Ghiselli
g.ghiselli@tin.it












[1]
Fr. 15 Jordan.




[2]
nu'n d j, ejpei; h[dh shvmat'
ajrifradeva katevlexa~-eujnh'~ hJmetevrh~…peivqei~ dhv meu
qumovn, Odissea , XXIII, 225-226, “ma ora poiché mi hai detto il
segno chiaro del letto nostro…convinci il mio cuore”, dice Penelope a Odisseo
dopo la diffidenza iniziale.




[3]
porfurostrwvto"
povro"
, v. 910, la via
coperta di porpora
.




[4]
J. P. Vernant, Mito e tragedia nell'antica Grecia, p. 91.




[5]  xivfo~ ajrgurovhlon, Iliade , VII, 303.




[6]
Eneide, IV, 507.




[7]
Eneide IV, 647.




[8]
Scutum reliquisse praecipuum
flagitium…multique superstites bellorum infamiam laqueo finierunt
( Tacito,
Germania VI).


Del resto i doni nuziali, iuncti boves, paratus equus, data armant, significano (denuntiant) che la sposa dovrà
condividere le fatiche e i pericoli del marito.




[9]
Cicerone, De inventione 2, 48,


 argomenti che si possono utilizzare per molte
cause.   




[10]
Exiit ergo Iesus foras, portans spineam coronam et purpureum
vestimentum. Et dicit eis-Ecce homo!
( Giovanni, 19, 5) 







[11]
Curzio Rufo, Historiae Alexandri Magni,
3, 3, 17.




[12]
In De
Iside et Osiride
Plutarco spiega che il
lino
spunta dal seno della terra immortale e produce una veste semplice e
pura parevcei kaqara;n ejsqh`ta che non pesa ma offre riparo dal calore ed è adatta
ad ogni stagione e non genera insetti 352F.


Nel De Magīa Apuleio scrive che la lana è escrescenza di un
pigrissimo corpo segnissimi corporis
excrementum
(56). Già Orfeo e Pitagora la riservavano alle vesti dei
profani. Invece mundissima lini seges,
la purissima pianta del lino, tra i migliori frutti della terra, copre i santi
sacerdoti d’Egitto e gli oggetti sacri.


Erodoto scrive che gli Egiziani considerano empio
entrare nei santuari e farsi seppellire vestiti di lana (II, 81).










[13]Sofocle,  Edipo
re
, 97




[14]
In La tragedia spagnola ( 1592) di Thomas Kyd 
il nobile portoghese Alexandro, con pessimismo meno assoluto,
dice:"Il cielo è la mia speranza: quanto alla terra, essa è troppo infetta
per darmi speranza di cosa alcuna della sua matrice" (III, 1)
.



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