venerdì 8 marzo 2013

Critiche al potere. Pericle e i politici maiali

Nelle Storie  di Erodoto la teoria antitirannica è attribuita al nobile persiano Otane il quale, durante il dibattito costituzionale, contrappone la monarchia al potere del popolo che prima di tutto ha il nome più bello: " ijsonomivhn", poi non fa nulla di quanto perpetra l'autocrate: infatti nella democrazia le magistrature sono esercitate a sorte e il dh`mo~ ha un potere soggetto a controllo:" uJpeuvqunon de; ajrch;n e[cei" (III, 80, 6).
 Erodoto, attraverso Otane, formula già la teoria, poi riproposta da Polibio, secondo la quale la monarchia degenera inevitabilmente in tirannide.  
Tra i sette nobili Persiani, quando ebbero parlato anche Megabizo, che propugnava l'oligarchia, quindi Dario, il quale  sosteneva la monarchia e l'inevitabilità della degenerazione sia della democrazia sia dell'aristocrazia (III, 82) verso le rispettive forme deteriori,  prevalse quest'ultimo, il futuro re, con l'argomento che a loro la libertà era venuta da un monarca, ossia da Ciro, il fondatore dell’impero.
Allora Otane non entrò in lizza per diventare re, dicendo parole belle assai, una specie di manifesto dell'antisadismo:"ou[te ga;r a[rcein ou[te a[rcesqai ejqevlw" (III, 83, 2), infatti non voglio comandare né essere comandato. Il potere, tanto quello inflitto, quanto quello subito, per Otane non è auspicabile
Le tragedie di Seneca svilupperanno la teoria che il potere è un nucleo irriducibile di male.
Ma prima del maestro di Nerone, sentiamo Sofocle,  l’amico di Pericle.
Nell’ Edipo re si legge: “O ricchezza e potere e arte che prevale/ sull'arte nella vita piena di competizione/quanta invidia si serba accanto a voi (vv. 380-382).
w\ plou'te kai; turanniv (v. 380);: ecco le divinità che il tiranno ha messo al posto di Apollo, i nomi malaugurosi del suo successo apparente. La riduzione di Edipo a nulla (cfr.vv.1186-1188 [1] ), simbolo della condizione umana svincolata dall'eterno, svela del tutto la fallacia di tali beni presunti, ma già questa esclamazione significa l'angoscia del despota davanti alla constatazione che i suoi sforzi lo hanno portato ad una posizione di privilegio falso, siccome è diventato soggetto e oggetto di odio.
Il coro di questa tragedia nella prima antistrofe canta:
"La prepotenza fa crescere il tiranno, la prepotenza, se
 si è riempita invano di molti orpelli
che non sono opportuni e non convengono
salita su fastigi altissimi
precipita nella necessità scoscesa
dove non si avvale di valido piede.
La gara benefica per la città,
 prego dio di non
interromperla mai;
dio non cesserò mai di averlo patrono" (vv. 873-882).-

Nella letteratura greca abbondano, se non gli elogi della povertà, le espressioni di indifferenza nei confronti del denaro e del potere. Già Archiloco (fr. 22D) afferma di non curarsi di Gige ricco d'oro e di non amare il potere ("oujk ejrevw turannivdo""[2]), dandoci la prima attestazione di questo termine di origine lidia. In seguito sono tante le testimonianze di scrittori che non pongono ricchezza e potere tra i valori massimi. Possiamo fare solo qualche esempio.
 
Euripide in un elogio dell'amicizia dell'Oreste[3] dichiara:"oujk e[stin oujde;n krei'sson h] fivlo" safhv",/ouj plou'to", ouj turanniv"" (vv. 1155-1156), non c'è niente di meglio che un amico vero, non la ricchezza, non il potere.
Una maledizione del potere si trova già nel precedente  dramma Ione[4] in bocca al protagonista  che non esulta all'idea di divenire principe di Atene e, parlando con il padre presunto Xuto,  sostiene la superiorità della vita ritirata su quella impegnata o tesa al pptere che viene smontato del tutto :"del potere lodato a torto/la facciata è piacevole ( to; me;n provswpon[5] hJduv), ma dentro il palazzo/c'è il dolore  (tajn dovmoisi de;- luphrav): chi infatti è felice, chi fortunato/se, temendo e guardando di traverso (dedoikw;" kai; parablevpwn), trascina/il corso della vita? Preferirei vivere/da popolano felice piuttosto che essendo tiranno ("dhmovth" a]n eujtuch;"-zh'n a]n qevloimi ma'llon h] tuvranno" w[n"),/il quale si compiace di avere amici malvagi,/mentre odia i generosi per paura di attentati " (vv. 621-628).
Anche una grande quanità di denaro non interessa a Ione  che non vuole  sentire rumori ( yovfou~ kluvein, 630) né avere pene cercando di salvare la ricchezza: preferisce un benessere moderato senza dolore (ei[h g j ejmoiv (me;n ) mevtria   mh; lupoumevnw/ , 632).

Per Eteocle delle Fenicie[6]  viceversa la divinità più grande è la tirannide (“th;n qew'n megivsthn w{st j e[cein Turannivda”v. 506), e, pur di averla, egli sarebbe disposto anche a salire sugli astri e a scendere sotto terra.
Sicché egli non cederà mai questo bene supremo: sarebbe un atto di viltà (ajnandriva, v. 509). Non solo: il figlio di Giocasta conclude la sua celebrazione del potere dicendo alla madre che poi lo contraddice :" ei[per ga;r ajdikei'n crhv, turannivdo" pevri-kavlliston ajdikei'n, ta[lla d eujsebei'n crewvn", vv. 524-525, se davvero è necessario commettere ingiustizia, è bellissimo farlo per il potere assoluto, altrimenti bisogna essere pio. 

Confutazioni dell’ Eteocle di Euripide e della smania di potere.
Cicerone considera questo Eteocle o addirittura Euripide meritevole di pena di morte (Capitalis Eteocles vel potius Euripides ) che fece eccezione proprio per quell'unico caso che era il più scellerato di tutti. Questi versi delle Fenicie  li aveva sempre in bocca l'ambizioso Cesare:"Nam si violandum est ius, regnandi gratia/violandum est; aliis rebus pietatem  colas ", (De Officiis , III, 82).

A  Eteocle che incentra tutto il suo elogio della tirannide sul "di più", Giocasta obietta:"tiv  d  j e[sti to; plevon; o[nom  j e[cei monon:/ejpei; tav g  j ajrkounq  j  iJkana; toi'" ge swvfrosin",  Fenicie, vv. 553-554, che cosa è il più? ha soltanto un nome; poiché il necessario basta ai saggi.
Le ricchezze non sono proprietà privata dei mortali, noi amministriamo quelle ricevute dagli dèi: quando vogliono, a  turno, ce le portano via di nuovo.

Luogo simile in Seneca che nella Consolatio ad Marciam  (10, 2) scrive:"mutua accepimus. Usus fructusque noster est ", abbiamo ricevuto delle cose in prestito. L'usufrutto è nostro.

Pure Isocrate maledice ricchezza e potere:" ajlla; suntevtaktai kai; sunakolouqei' toi'" me;n plou'toi" kai; dunasteivai" a[noia kai; meta; tauvth" ajkolasiva" (Areopagitico[7], 4) ma alla ricchezza e al potere è coordinata e segue la pazzia e con questa la licenza.

Ma torniamo a Seneca.
Un altro anatema del "bene fallace" costituito dal potere si trova nell'Oedipus  di:"Quisquamne regno gaudet? O fallax bonum,/quantum malorum fronte quam blandā tegis "(vv. 6-7), qualcuno gioisce del regno? O bene ingannevole, quanti mali copri sotto un'apparenza così lusinghiera!

 Nelle Fenicie, il maestro di Nerone fa dire a Giocasta che Eteocle pagherà a caro prezzo la sua pena con il fatto di essere re:"poenas, et quidem solvet graves: regnabit "(v.645).

Manzoni nell' Adelchi (V, 8) rappresenta il protagonista ferito che dice al padre sconfitto:"Godi che re non sei; godi che chiusa/all'oprar t'è ogni via: loco a gentile,/ad innocente opra non v'è: non resta/che far torto, o patirlo. Una feroce/ forza il mondo possiede, e fa nomarsi/Dritto.."

 Con il potere che si raggiunge attraverso l'ambitio è più indulgente Sallustio:"quod tamen vitium propius virtutem erat ", vizio che tuttavia era più vicino alla virtù (l'ambizione rispetto alla avidità di ricchezza, (De coniuratione Catilinae, 9).

Torniamo a Erodoto. Tiranno  è  anche il mouvnarco" raffigurato da Otane, nel dibattito sulla migliore costituzione (III 79-84), come colui che invidia i migliori, si compiace dei peggiori, ed è pronto ad accogliere le calunnie. Infatti dai beni che possiede gli deriva l' u{bri", mentre fin dall'origine gli è innato lo fqovno". Siccome ha questi due vizi, e[cei pa'san kakovthta, detiene ogni malvagità (III, 80, 4). 
Dunque egli: "novmaiav te kinevei pavtria kai; bia'tai gunai'ka" kteivnei te ajkrivtou"" (III, 80, 5) sovverte le patrie usanze, violenta le donne e manda a morte senza giudizio. "Così il persiano Otane riassume ciò che è in sostanza il motivo comune fra i Greci per l'opposizione alla tirannide"[8]

 Nelle tragedie greche il tiranno è uno degli obiettivi polemici degli autori .
La mancanza di controllo ne fa l'antitesi del capo democratico. Tale   è Edipo finché non comprende, tale il Creonte di Sofocle, tale Serse nei  Persiani  di Eschilo, il grande re il quale, pur se sconfitto, non è "uJpeuvquno" povlei" (v. 213), tenuto a rendere conto alla città,  come  lo è uno stratego eletto dal popolo.
Nell’Antigone, Creonte  pretende di tenere in pugno tutto il potere: “ejgw; kravth dh; pavnta kai; qrovnou~ e[cw” ( v. 173); a questo monocratismo, il religiosissimo Sofocle contrappone il suo politeismo: nell’Edipo re  non solo gli dèi sono molteplici (cfr. la Parodo dove sono invocati Zeus, Apollo, Atena, Artemide, Dioniso, mentre viene deprecato Ares), ma una sola dèa, Atena, ha due denominazioni  (Cadmea e Onca[9]) e viene pregata in due templi diversi: nel prologo del dramma il popolo sta seduto nelle piazze, davanti ai duplici templi di Pallade (vv. 20-21).
  
Eschilo contrappone al potere assoluto il sistema democratico di Atene  quando, nei Persiani, la regina Atossa domanda ai vecchi dignitari   chi sia il pastore e il padrone dell'esercito. Allora il corifeo risponde:"ou[tino" dou'loi kevklhntai fwto;" oujd j uJphvkooi"  (v. 242), di nessun uomo sono chiamati servi né sudditi.
Il re democratico Teseo della tragedia Supplici di Euripide è il paradigma mitico di Pericle che da giovane fu corego dei Persiani del 472, ossia sostenne le spese del coro.
 La sua famiglia infatti era tradizionalmente ostile alla tirannide.
Eppure questo stratego, rimasto al vertice della polis per decenni, non si sottrasse a critiche che biasimavano il suo eccesso di potere.
 Il commediografo Cratino, critica il figlio di Agariste in più di un dramma. “In una commedia… dal titolo Chironi, un personaggio è definito “il grande tiranno”, nato dall’accoppiamento di Crono e di Stasis (fr. 240)…risulta assolutamente evidente che si tratta di Pericle; poiché questi, di cui era nota la singolare forma della testa, viene designato, anziché con l’appellativo omerico di nefelhgerevta~, con ingegnoso mutamento come kefalhgerevta~:  l’”adunatore di nuvole” diventa un “adunatore di teste”. Pericle era lo Zeus con la testa a punta: così viene definito da Cratino nelle Tracie (fr. 71)…”[10].

Nonostante l’eccessiva durata e quantità del suo potere, Pericle del resto  non si appropriò mai di denaro pubblico e se non altro per questo motivo andrebbe indicato come esempio ai nostri ladri di Stato.
 “Pericle rese Atene grandissima da grande che era e superò in potere molti re e tiranni, ma non accrebbe di una sola dracma il  patrimonio (mia`/ dracmh` meivzona th;n oujsivan oujk ejpoivhsen) ricevuto in eredità dal padre (Plutarco, Vita di Pericle,  15, 3).
 Per quanto riguarda il suo stile, il figlio di Santippe e di Agariste alcmenoidea, aveva un’ eloquenza elevata, immune da buffonate plebee e truffaldine, e in lui c’era anche una compostezza del volto che non cedeva al riso, e finezza di portamento e semplice eleganza di abbigliamento (5, 1). In questo e in altro gli era stato maestro Anassagora.
A sua volta Pericle per il suo disinteresse e il suo stile dovrebbe diventare un  esempio per i nostri politici ladri e per quelli che si travestono da maiali.
I maiali anzi, in confronto a tali profittatori ignoranti e plebei fanno la loro porca figura.

Giovanni Ghiselli g.ghiselli@tin.it



[1] “Oh generazioni dei mortali/come vi conto uguali al nulla/finché siete vive
[2] Archiloco, frammento 22 D.
"Non mi importano le ricchezze di Gige pieno d'oro
né mai mi prese l'invidia, né ammiro
 le imprese divine, e non ho brama di grande potere:
infatti questo è lontano dai miei occhi".
[3] Del 408.
[4] Di datazione incerta (411?)
[5] Propriamente “la maschera”, cfr. il latino persona.
[6] 411 o 409.
[7] Del 356.
[8]C. M. Bowra, Mito E Modernità Della Letteratura Greca  , p. 170.
[9] Cfr. I sette a Tebe, v. 164
[10] V. Ehrnberg, Sofocle e Pericle, p.123-124.

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