Antigone - sulla scala - si ribella a Creonte (rappresentazione dell'11/06/2013 al Teatro greco di Siracusa, cui ho assistito) |
Oggi, 31 agosto 2018, dopo l’uscita del film sul martirio di
Stefano Cucchi e la strenua, nobile indagine di sua sorella Ilaria, ripropongo questo pezzo del mio blog che
risale a diversi anni fa, quando il caso era meno conosciuto. Allora non ho esitato
e oggi non ho aggiunto una virgola alle parole di allora. Nel frattempo i
lettori sono diventati 663516. Credo che molti di questi abbiano letto di
Stefano e Ilaria. Il caso di questi fratelli, anche nostri, deve essere
conosciuto, come quello di Ilaria Alpi, la ragazza eroica sulla quale ho
scritto pochi giorno fa. Il meglio dell’umanità. I crimini nei quali è
coinvolto lo Stato, o pezzi dello Stato con la copertura di altri pezzi, devono
essere denunciati a tutti i costi.
In ricordo di Antigone, di Ilaria Cucchi e
di Ilaria Alpi.
Ilaria Cucchi ha scritto una bellissima risposta, pubblicata su il Fatto Quotidiano del 17 giugno 2013. E’ una replica a una lettera di Armando Spataro uscita il 13 giugno.
Non riferirò tutte le argomentazioni di questo scontro epistolare; voglio invece riflettere su una frase della sorella di Stefano che ha colpito la mia sfera emotiva sprigionando un sentimento di simpatia per questa ragazza: “Vede dottore, io non sono in malafede ma semplicemente ignorante”.
Ebbene, io plaudo all’ignoranza di chi ignora le procedure legali, o le contesta, in nome della giustizia.
Summum ius, summa iniuria[1], scrisse Cicerone che di leggi si intendeva. Il colmo del diritto è il colmo dell’ingiustizia
Ilaria forse non se ne intende, ma, nella sua santa semplicità, sa bene che le leggi e le sentenze dei giudici sono buone e giuste quando difendono la vita, a partire da quelle più deboli, mentre sono cattive e ingiuste quando sanciscono, o non puniscono, prepotenze e violenze. La sua sana “ignoranza”, la sua onestà, la sua pietas di donna e di sorella non le consentono di avallare un giudizio che, con interpretazioni della legge certamente troppo sottili e arzigogolate, forse addirittura maliziose, assolve chi ha maltrattato suo fratello Stefano fino a farlo morire.
Nella dichiarare la propria ignoranza, Ilaria ha rievocato, probabilmente senza saperlo, un verso (395) del primo stasimo delle Baccanti di Euripide: “il sapere non è sapienza”.
La sorella di Stefano sa bene che esistono tre gradi di giudizio, ma questo sapere non le toglie la coscienza che un magistrato non deve offendere “con insinuazioni pesanti l’onorabilità della vittima e la sua dignità”.
Queste e le successive parole tra virgolette sono sue.
La giovane donna sa pure che la conoscenza dei codici, il sapere del giurista non ha valore se è dissociato dalla comprensione del dolore, dalla simpatia con le vittime della violenza chiunque esse siano, pesino quaranta chili o siano obese.
Ilaria si adopera con tutte le forze per rivendicare l’innocenza e la dignità del fratello, per ottenere una condanna esemplare di chi gli ha inflitto la morte con la violenza, e una sanzione disciplinare, o almeno un biasimo nei confronti di un p.m. che ha manifestato “la sua personale ostilità nei confronti della sorella della vittima insinuando, durante il processo, che questa sarebbe responsabile di una ‘manipolazione’ del corpo di suo fratello appena morto”.
Ilaria Cucchi mi ricorda Antigone, la più sororale di tutte le femmine umane.
Questa si oppone a Creonte, suo zio e capo autocratico di Tebe che ha decretato di lasciare insepolto Polinice, il giovane nato dallo stesso padre e dalla stessa madre, dalle stesse viscere[2], dice realisticamente la ragazza, da cui è stata messa al mondo lei stessa.
A Creonte che sbandiera la necessità della disciplina la quale impone, innanzitutto alle donne[3], l’obbedienza alle leggi e garantisce la salvezza della città, Antigone oppone il sentimento dell’amore, e rinfaccia allo zio che se la paura non serrasse le lingue dei Tebani, i loro concittadini esprimerebbero solidarietà a lei e opposizione agli empi decreti di un tiranno che nega la sepoltura ai morti e offende la pietà.
Ebbene, io manifesto ancora una volta la mia solidarietà e la mia simpatia a Ilaria e a tutte le persone come lei senza alcuna esitazione. Sento che donne come la sorella di Stefano sono anche sorelle mie, sebbene non siamo nati dalle stesse viscere.
Ma c’è una fratellanza che accomuna tutti quanti hanno sete e fame di giustizia, di una giustizia che non sia solo conoscenza delle leggi scritte, ma anche rispetto di quelle della coscienza, e di quelle universalmente umane che“non sono di oggi né di ieri, ma di sempre, e nessuno sa da quando apparvero”[4].
Da ignorante delle norme sofisticate che hanno fatto assolvere gli assassini di Stefano Cucchi dunque, io esprimo il mio sostegno alla “normale e ignorante cittadina” quale si definisce Ilaria: ignorante, priva di ogni potere e indifesa, come me, come tante persone per bene.
Il meglio dell’umanità.
[1] De officiis I, 10, 33.
[2] "Non è per niente vergognoso onorare quelli nati dalle stesse viscere" ( Sofocle, Antigone, v. 51).
[3] Cito alcune parole dell’autocrate tebano: "Così bisogna difendere l'ordine, / e in nessun modo lasciarsi superare da una donna. / Infatti è meglio, se proprio bisogna, cadere per mano d'uomo / e non dovremmo mai lasciar dire che siamo inferiori alle donne" (Sofocle, Antigone, vv. vv. 677-68.
[4] Cfr. Sofocle, Antigone, vv. 456-457.
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