Mentre tornavamo in collegio nel tram numero uno, noi due, lasciati soli per nostra richiesta, litigammo: Ifigenia disse che non reggeva i miei amici, io ribattei che non sopportavo lei. Sciaguratissimo connubio il nostro.
Una volta arrivati, colei non volle rientrare con me. Del resto non avevo chiesto a Fulvio la cortesia di lasciarmi la camera per un’ora di tripudi nel letto come facevo ogni giorno negli anni felici delle finlandesi. Mi diedi a girovagare e la vidi seduta su una panchina accanto alla fontana, attorniata da uomini strano: Mongoli o Uzbeki o, forse, Kirghisi.
Mi sovvenni di quando sedussi una Ciuvassa: Faina una ragazza molto migliore di Ifigenia. Sbagliai a darle scarsa importanza.
E’ proprio vero che uno degli errori più grandi e frequenti sta nella valutazione o svalutazione sbagliata del prossimo.
La mattina seguente credevo che fosse partita, invece la incontrai nella mensa. Facemmo colazione insieme, quasi ignorando quanto era accaduto e parlando, anzi chiacchierando di niente. Ifigenia sapeva che non sopporto la ciancia e credeva di punirmi con l’inondarmi sotto una cascata di luoghi comuni rancidi e nauseanti; io la punivo a mia volta mostrando di non curami di quanto diceva. Mi consolavo sapendo che con Fulvio avrei potuto parlare scambiandici idèe.
Passammo quindici giorni tra liti, paci malsicure e orgasmi frenetici. In quelle due settimane non trovai alcun vestigio di quella atmosfera incantata che mi aveva reso felice nelle estati dei primi anni Settanta.
La gioventù europea era mutata e certamente non in meglio. Una metabolhv negativa dovuta al decadere della politica, della cultura e della scuola.
Dovevo occuparmi di Ifigenia dopo averla portata lì, in un ambiente che, pur così ridimensionato, era inadatto alla sua natura. Si trovava male in mezzo a persone comunque educate ben più di lei. Si sentiva soprattutto a disagio quando mi vedeva contento con i miei amici e più che mai quando Fulvio , quasi ogni sera, usciva con noi. Una volta, dopo la cena all’Aranybika con l’amico soltanto mio, fece un’altra scenata. Arrivati sotto il collegio, disse che Fulvio non era il grand’uomo che io credevo e che tutto quell’ambiente a me caro a lei dava fastidio: era meschino, piatto, volgare, povero di vera cultura e privo di arte.
A me poteva essere congeniale, a lei proprio no.
Pensai: “infatti qui non ci sono vecchi attori famosi e libidinosi né ragazzi belli che ti corteggino”
Poi ribattei: “Non siamo venuti qui per fare dell’arte. Io ci sono venuto per stare in compagnia dei miei amici, per conoscere nuove persone e imparare da loro, per praticare il mio inglese con gli stranieri, per correre nella pista dello stadio, magari per gareggiarvi. A me frequentare Fulvio piace, poi mi va di riposare, di giocare a tennis, di nuotare in piscina, di prendere il sole. Non preoccuparti: sul conto di noi due non faccio progetti. Probabilmente una volta tornati in Italia, non ci vedremo più, ma se vuoi frequentarmi qui, devi lasciarmi in pace e rispettare i miei amici. Se no torna in Italia con un altro. I mezzi per trovare un passaggio , li hai ”.
“I tuoi amici non li sopporto, a tennis non so giocare, correre mi ripugna, e non posso nemmeno parlare con altri perché non conosco nessuna lingua tanto da poter dialogare”, bofonchiò, accusandomi velatamente di trascurarla.
“E’ un’ottima occasione per imparare”, la incoraggiai conciliante. “Nemmeno io quando arrivai qui per la prima volta con il mio inglese scolastico, studiato soltanto fino alla quinta ginnasio, sapevo parlare con scioltezza. Leggevo benino Shakespeare ma non ero in grado di dialogare. Ebbene, mi sono arrangiato, aiutato con il latino che viene studiato in molte università europèe e qui lo conoscono tutti più o meno. Una volta un’amica che parlava con me in inglese disse una parola che non capìi e le chiese di ripeterla. Continuavo a non capire. Allora lei disse: in latin is materia. Era una finlandese, come forse già sai”.
Ifigenia conosceva la storia e gliel’avevo ricordata più di una volta perché capisse quale tipo di donna poteva accordarsi con me e sentisse che potevo fare a meno di lei se continuava a disturbarmi offendendo i miei amici, i miei gusti e la mia stessa persona.
“Era Helena”- aggiunsi-già il suo nome è circondato da un alone sacro per me”
Poi pensai: “E detto l’ho, perchè doler ti debba”.
Eravamo davvero una coppia infernale
Pesaro 5 ottobre 2024 ore 17, 18
giovanni ghiselli
Nessun commento:
Posta un commento