NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

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martedì 1 ottobre 2024

Il mito del giudizio delle anime nel Gorgia di Platone.

Parte della Conferenza di venerdì 4 ottobre nell’Hotel Alexander di Pesaro dalle 19.

 


Nel Gorgia di Platone  c’è il racconto del giudizio delle anime. In questo dialogo platonico Socrate dice a Callicle, il sofista fautore del diritto del più forte,  che al tempo di Crono e all’inizio del regno di Zeus, c’erano giudici viventi che giudicavano uomini ancora vivi, emettendo sentenze nel giorno in cui era destino che i giudicati morissero.

Ma i giudizi erano errati (kakw`~ ou\n aiJ divkai ejkrivnonto, 523b). Così succedeva che nel carcere del Tartaro finissero i giusti e nelle isole dei beati i malvagi. Zeus comprese che gli errori giudiziari dipendevano dal fatto che i  giudici vivi emettevano sentenze su dei vivi, e questi potevano trarre in inganno  poiché  le anime malvagie erano rivestite con corpi attraenti, rese autorevoli da stirpi illustri, coperte da ricchezze, e aiutate da molti testimoni che davano false testimonianze (523c).

 I giudici ne restavano impressionati e condizionati.

Allora Zeus disse che gli uomini non dovevano conoscere in anticipo il giorno della loro morte. Inoltre sarebbero stati giudicati del tutto privi di orpelli, cioè da morti. Anche il giudice doveva essere nudo e morto, così da penetrare direttamente con lo sguardo nell’anima di ciascun giudicato. E veniva vietato il seguito di parenti.

Papa Francesco ha detto che il sudario è senza tasche.

Breve Excursus su Giuseppe Parini

 

“Perchè turbarmi l’anima,
O d’oro e d’onor brame,
Se del mio viver Atropo
Presso è a troncar lo stame?
E già per me si piega 5
Sul remo il nocchier brun
Colà donde si niega
Che più ritorni alcun? (…)

 

Me non nato a percotere 25
Le dure illustri porte
Nudo accorrà, ma libero
Il regno de la morte.
No, ricchezza nè onore
Con frode o con viltà 30
Il secol venditore
Mercar non mi vedrà”. (La vita rustica)

Parini è un ottimo autore-educatore sottovalutato, oramai non più letto.

Ha riportato il discorso morale nella letteratura e proprio per questo viene ignorato nella scuola, sebbene molto valutato da Foscolo e Leopardi

Quando facevi gli esami di maturità nei licei di Milano, ottimi il Beccaria e il Parini appunto, la sera prendevo la bicicletta e salivo sul Ghisallo sopra Erba o sul Cornizzolo che sovrasta il lago di Pusiano non senza una visita alla casa natale di questo poeta sul “vago Eupili”suo

 

 Zeus designò quali giudici  tre figli suoi: Minosse[1] e Radamanto[2] provenienti dall’Asia,  Eaco  dall’Europa.

 Il giudizio doveva avere luogo nel prato di asfodeli, ejn th`// triovdw/ ejx h|~ fevreton tw; oJdwv (524a) nel triodo dal quale si dipartono due vie: una porta all’isola dei beati, l’altra al Tartaro[3].

 

Socrate prosegue il racconto ricordando a Callicle che i cadaveri conservano segni della vita vissuta. Se uno da vivo aveva le membra rotte o contorte (kateagovta mevlh h] diestrammevna, 524c), tali deformità sono evidenti anche nel cadavere.  Ebbene, questo avviene anche per l’anima che prende delle segnature secondo il modo di comportarsi degli uomini.

Anche il modo di parlare prende delle segnature evidenti dal modo di vivere, dallo stile di vita. L’espressione “Grazie davvero” a parer mio è l’espressione tipica del servo falso e ignorante

Nell’Ulisse di Joyce C’è un lungo monologo interiore di Stephen, una sua meditazione solitaria.

Nel III capitolo Proteo. La spiaggia  Dedalus pensa“sono qui per leggere le segnature di tutte le cose” signatures of all things I am here to read (p. 34) Stephen è Dedalus, l’artista giovane  che vuole scoprire quanto è significativo liberandolo dalla spazzatura della volgarità e dare un senso alla propria vita.

 

Quando il Gran Re d’Asia, per esempio, o un altro sovrano si presenta davanti a Radamanto, questo vede che l’anima di molti dinasti è piena di piaghe (oujlw`n mesthvn) causate da spergiuri e ingiustizia (uJpo; ejpiorkiw`n kai; ajdikiva~, 525a) che marchiano l’anima.

Tutto è distorto dalla menzogna e dalla impostura  e non c’è nulla di retto poiché l’anima è cresciuta lontana dalla verità (pavnta skolia; uJpo; yeuvdou~ kai; ajlazoneiva~ kai; oujde;n eujqu; dia; to; a[neu ajlhqeiva~ teqravfqai).

Nell’Antigone il messo in procinto di raccontare la catastrofe di Antigone e di Emone, avverte la regina Euridice che non la blandirà con menzogne: “ojrqo;n aJlhvqei j ajeiv” (v. 1195), la verità è sempre una cosa dritta-

Radamanto  vedendo l’anima piena di disordine e bruttura (ajsummetriva~ te kai; aijscrovthto~ gevmousan), la caccia direttamente e con ignominia in carcere, dove subirà i giusti patimenti.

Le anime curabili, qui nella terra e nell’Ade, traggono giovamento dalle sofferenze e dai dolori. E’ il tw`/ pavqei mavqo~ di Eschilo[4].  

Ma ci sono anche quelli che hanno commesso ingiustizie estreme e per queste sono diventati incurabili (ajnivatoi525c), ebbene questi restano sospesi nel carcere dell’Ade a fare da esempi negativi: la visione delle loro pene diventa un monito per quelli che li vedono. La maggior parte di questi esempi negativi sono tiranni, re, dinasti e politici.

Omero ha voluto significare questo collocando  tra i tormenti dell’Ade Tantalo, Sisifo e Tizio[5].

 

Breve excursus

Secondo Lucrezio questi sono  i miti bugiardi della religio

I tormenti cosiddetti infernali sono qui sulla terra

Tantalo, sovrastato e spaventato da un masso minaccioso: “miser impendes magum timet aere saxum –Tantalus” (De rerum natura, III, 980-981), 

   rappresenta la vana paura degli dèi divum metus inanis 982 che incalza i mortali- urget mortalis- 992-993.

 

 Tizio in amore iacentem- quem volucres lacerant- 993-994 simboleggia  la sofferenza amorosa che è qui e riguarda noi nobis hic est 992.

 

Il tormento di Sisifo è allegoria  dell’ambizione del potere petere imperium quod inanest nec datur umquam - 998  che è vuoto e non viene mai dato-

 

 

Torniamo al Gorgia di Platone

 Tersite e altri che furono malvagi da privati cittadini, non subiscono pene eterne. Socrate ne deduce che i più malvagi appartengono al numero dei potenti, anche se non è detto che tutti i potenti siano dei farabutti.

Il potere spesso non è potenza come avverte Euripide: kravto~ non è  duvnami~-  

Nelle Baccanti Tiresia dice al giovane re di Tebe:

 “Via Penteo, da' retta a me:

non presumere che il potere abbia potenza sugli uomini (309-310)

 Le Res gestae di Augusto distinguono auctoritas da potestas : “Post id tempus auctoritate omnibus praestiti, potestatis autem nihilo amplius habui quam ceteri qui mihi quoque in magistratu conlegae fuerunt” 34

 

 

Alcuni sono delle eccezioni alla regola della loro casta e sono da ammirare poiché è meritorio vivere da persone giuste avendo la possibilità di fare del male.

Del re di Persia in precedenza Socrate aveva detto a Polo che ignorava se fosse felice in quanto non sapeva come stesse a educazione e a giustizia (ouj ga;r oi\da paideiva~ o{pw~ e[cei kai; dikaiosuvnh~ , 470e). Sono questi i criteri di giudizio della felicità.


 

Pesaro primo ottobre 2024 ore 10, 21 giovanni ghiselli

p. s.

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[1] Cfr. Odissea, XI, 568-571, Virgilio, Eneide, VI, 432 e Dante Inferno , V, 34 e sgg.

[2] Cfr. Odissea, IV, 563-565

[3] Cfr. Virgilio,  Eneide VI: hic locus est, partis ubi se via findit in ambas,

Questo è il luogo dove la via si divide in due parti.

E continua:

la destra che tende sotto le mura del grande Dite,

per di qua la nostra via verso l’Elisio; ma la sinistra dei malvagi

mette in atto le pene e all’empio Tartaro invia”.

 

[4] Agamennone, v. 177.

[5] Cfr. Odissea, XI, 576-600. Cfr. anche Lucrezio, De rerum natura III, versi citati sopra.

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