NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

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lunedì 30 settembre 2024

Il film Il tempo che ci vuole di Francesca Comencini.


 

Ieri sera ho visto il film di Francesca Comencini: Il tempo che ci vuole.

Mi ha colpito emotivamente perché è una storia di educazione reciproca tra un padre e sua figlia. Una storia autobiografica, che però tocca la sfera emotiva appunto ogni genitore e di ogni figlio.

Anche un genitore mancato come me si è commosso. Anzi. forse ancora di più.

 Nel film il padre, interpretato dall'ottimo Francesco Gifuni, è il regista Luigi Comencini e la figlia resa dalla bambina Anna Mangiocavallo e dalla ragazza Romana Maggiora Vergano è sua figlia Francesca.

 I due vivono da soli in un appartameno di persone benestanti ma faticano a trovare un equilibrio tra loro. La bambina è contraddittoria: talora docile, talvolta ribelle e il padre si occupa di lei con pazienza curando del resto anche il proprio lavoro di regista. Prepara il suo film su Pinocchio.

La ragazza delle scene successive cerca la propria identità affettiva, il proprio ruolo nella vita con nervosismo, insicurezza, fatica. Arriva a un conflitto duro con il padre quando questo scopre che la propria figliola si droga.

Dopo una scenata di lui e i pianti di lei i due si parlano e la ragazza dice di stare male perché si sente incapace, fallita, desolata.

Il padre, deposta la rabbia dolorosa, le dice parole intelligenti: "anche io mi sono sentito fallito tante volte, ma non ho ceduto e ho provato ancora e sono fallito diverse altre volte, ma ogni volta sempre un poco di meno".

Ottime parole di effetto terapeutico.

Il padre poi si ammala e Francesca gli rimane vicino.

Nelle ultime scene la giovane donna ha trovato la sua strada, il suo metodo per vivere senza troppa pena: è diventata una regista anche lei e ha una figlia ma non se ne vede il marito o compagno che sia.

L' uomo è rimasto sui padre e i due collaborano, si vogliono bene.

Mi è piaciuto questo film perché  ci ho visto la storia vissuta con mia madre: da bambino ribelle, a ragazzo cattivo come mi definiva fraintendendo il mio amore per lei, a ottimo figlio. Abbiamo combattuto a lungo siccome non parlavamo abbastanza, poi l'abbiamo fatto e ci siamo capiti. Anche noi abbiamo avuto bisogno di tempo. Questa storia ha elementi universali.

Non parlare è quasi sempre il motivo dell'incomprensione che può arrivare al conflitto e perfino all'odio.

Sul bisogno di parlare, non cianciare, ma proprio parlare, aggiungo che questa facoltà squisitamente umana sta regredendo verso la chiacchiera o addirittura l'afasia. Non so se sia stata una scelta della regista per evidenziare tale degrado, ma quando parlava la bella attrice Romana nella fase della sua crisi non si capiva una parola.

Ora questa pronuncia criptica è un vezzo di moda ed è un sintomo della decadenza estrema di quanto è umano.

Pesaro 30 settembre 2024 ore 20, 31 giovanni ghiselli

p. s.

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