Tali pensieri lieti mi aiutavano a passare il tempo mentre aspettavo il contatto vocale che mi avrebbe consentito una prima verifica.
All’ora della chiusura però la comunicazione non era giunta, sicché dovetti annullare la chiamata. Ne avrei fatta un’altra la mattina seguente. Uscìi dall’ufficio postale che era notte: il volgere delle settimane aveva già sottratto quaranta minuti di luce alle belle giornate giugno. Aspettavo il tram numero uno sotto l’insegna luminosa e circolare Hotel Aranybika.
Mi tornò in mente la sera antica quando lessi quelle lettere per la prima volta, nel luglio del 1966. Allora mi sentivo completamente solo nel mondo. Mi accompagnava la pena non senza la morte e il diavolo, temevo. Due anni prima avevo smarrito la mia identità di studioso e sportivo bravo e non riuscivo a ritrovarla né a trovarne un’altra. Per giunta mi sentivo sperduto in quel paese dall’idioma incomprensibile, in quella landa all’estremo confine del mondo civile quale credevo che fosse.
Eppure speravo che qualche cosa di buono potesse accadermi ancora siccome ero molto infelice e mi sentivo brutto assai, ma avevo coscienza di non essere cattivo né scemo del tutto.
In qualche maniera pre-sentivo che in quella terra avrei fatto gli incontri della salvezza. L’ amicizia di Fulvio e la trilogia amorosa con le finlandesi.
Tre storie iniziate con una ricerca, proseguite con un approccio, incoronate dalla felicità che me le fa ricordare come le più belle della mia vita e me le fa raccontare, pure con una fine non lieta: ciascuna dunque comprensiva di peripezia, riconoscimento, catastrofe al pari di un dramma dalla trama complessa.
Nel tempo della terza, quello di Päivi, non avevo ancora compiuto i trenta anni e non ero abbastanza maturo per comprendere i movimenti profondi del divenire dell’anima umana. Nel ’79 avevo capito qualche cosa di più e avevo rinunciato a mettere schemi sulle persone, sulla realtà multiforme e cangiante, a segnare la via della vita con lapidi prefissate. L’unica pietra sicura era quella del funus. A dire il vero nemmeno quel sasso che possa distinguere le mie dalle infinite ossa che la morte semina ovunque è assicurato per me. Senza figli come sono, le mie ossa possono rimanere confuse con tante altre. Oramai non me ne importa più nulla.
Lascio le mie parole a quanti mi leggono. Sono il mio bene più prezioso cercato per tutta la vita.
Ero contento di tornare in Italia. Quell’anno non dovevo dire addio per sempre all’amore che saliva su un treno per sparire nel gelo e nel buio dell’inverno iperboreo.
Salutata la bella, cantavo
malinconicamente
”Sento già che il treno va,
sento giá che il treno va,
sento già che, insieme a te,
lontano va”.
Nell’agosto del 1979 invece stavo per tornare in una città che mi piaceva, dove avevo un ruolo di educatore che poteva crescere ancora, dove avrei trovato una donna giovane e bella assai, pronta a fare l’amore con me diverse volte al dì, e c’era pure qualche amico già messo alla prova, temprato e garantito come autentico dal volgersi di tante stagioni.
Pesaro 26 settembre 2024 ore 18, 03 giovanni ghiselli
p. s.
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