Ifigenia CXX Il mostro della gelosia.
Arrivai alla spiaggia di Misano verso le quattro del pomeriggio. Mi diressi al suo ombrellone dove mi aveva detto che mi avrebbe aspettato, ma non la vidi. Una sua conoscente, mentre mi avvicinavo con aria interrogativa, si alzò di scatto dalla sdraia e corse verso la riva. Poco dopo apparve Ifigenia. Correva anche lei e mi si accostò trafelata.
Mi baciò poi disse: “scusami: stavo parlando con un ragazzo. Veramente è un uomo più o meno della tua età, un medico simpatico, biondo. Con lui questa mattina ho fatto un giro in moscone e un po’ di amicizia. Mi ha parlato delle sue amanti e dei loro mariti gabbati. Forse durante la tua assenza uscirò qualche volta con lui tanto per non rimanere sempre rintanata in quella triste casetta”.
Mi venne in mente una frase cruda ma lucida di Cesare Pavese: "Una donna, con gli altri, o fa sul serio o scherza. Se fa sul serio, allora appartiene a quell'altro e basta; se scherza, allora è una vacca e basta"[1].
La scrutavo pensando: “questa che cosa vuole da me? Ingelosirmi, sottomettermi facendomi soffrire?”
Intanto dall’entroterra avanzava un’afa pesante, caliginosa, che cominciava a coprire la spiaggia con un abbraccio schifoso. Anche gli aspetti più belli dell’estate matura ne venivano contaminati e deturpati, perfino le cosce delle fanciulle fiorenti, la cosa mortale più degna del cielo, ne venivano deformate e insozzate: grondavano di goccioline opache e fetide. Sembravano gli schizzi schifosi dell’ empia libidine di un uomo lascivo e sifilitico.
Dovevo parlare a quella donna ancipite e volevo farlo lontano da orecchie curiose e pettegole, sicché prendemmo un moscone. Mi diedi a remare con lena muta e rabbiosa finché ci trovammo lontani dalla folla chiassosa dei turisti e fuori dalla nebbia che ormai nascondeva la spiaggia con il suo popolino di villeggianti.
La fatica impiegata con le braccia, che sono la parte meno allenata del mio corpo, mi aveva aiutato a stenebrare l’offuscamento della mente. Capivo che la giovane donna, collega e amante dal fisico appetitoso in sé, e ghiotto assai per molti uomini, aveva fatto calcoli impuri dettati dalla voglia disonesta di rendere malati i miei sentimenti. Colei voleva schiacciarmi sotto l’angoscia plumbea della gelosia parlando in modo talmente ambiguo da lasciarmi dei dubbi sul proprio comportamento sessuale, da mettermi nel cervello l’agente patogeno che mi tenesse legato alla sua persona equivoca con il vincolo delle emozioni cattive. Il mostro dagli occhi verdi che si fa beffe del cibo che mangia[2].
Ifigenia CXXI. Parole scritte nel vento e nell’acqua
Dicit: sed mulier cupido quod dicit amanti,
in vento et rapida scribere oportet aqua.
(Catullo, 70, 3-4)
Probabilmente le storie del ferroviere e del medico erano due calcolate commedie recitate per darsi importanza e occupare i miei pensieri. Infatti se avesse progettato di fare sesso con questo o con quello, non mi avrebbe messo in allarme; del resto se avesse rispettato i miei sentimenti trattandoli con la dovuta delicatezza non mi avrebbe raccontato di avere dato la sua disponibilità a farsi corteggiare in modo così sfacciato.
Ero sicuro che non poteva funzionare tra noi.
Sicché volli parlarle in modo diretto, fino a provocarla perché si scoprisse.
Dissi: “Ifigenia, se costui o qualsiasi altro uomo è importante per te, dimmelo con tutta chiarezza: io posso continuare a percorre la mia strada, secondo il metodo mio, da solo. Se hai delle curiosità erotiche, cavatele: io non voglio incepparti o impicciarti. Se vuoi fare altre esperienze, falle pure con chi ti pare bello e giusto, però non pretendere che io viceversa rimanga devoto alla tua persona. Voglio un rapporto di reciprocità con te. Se vuoi essere la mia compagna impegnativa, impegnati a tua volta a non farmi quanto io non faccio a te. Se invece preferisci riprenderti la libertà, o licenza che sia, fallo senza tante circonlocuzioni, astuzie e mezze misure, poi dimmelo con tutta chiarezza e lasciami andare a Debrecen senza il dilemma angosciante se devo mantenere la fede promessa, forse in maniera malcauta, o se invece faccio bene a romperla e togliermi il pensiero. Poi, una volta tornato in Italia, troverò un’altra compagna magari meno giovane e bella di te, ma tale che non mi crei certi problemi di cui sicuramente non ho bisogno. Non posso più tollerare un rapporto tra noi che non sia di rispetto reciproco.
Ti chiedo di rispondermi con tutta chiarezza.
Ifigenia sperava che la gelosia mi avrebbe reso più pazzo di Otello e prono ai suoi piedi per giunta, sicché assunse l’espressione dello stupore davanti a un imprevisto assurdo e disse: “Che cosa hai pensato tesoro? Io con gli uomini parlo e finisce lì. Non avere paura Gianni; come te ce ne sono davvero pochi, anzi tu sei l’unico che possa davvero piacermi e io voglio stare con te. Tu non devi avere dubbi sul mio amore e la mia fedeltà. Fidati”.
Mi aveva quasi convinto. Anche perché volevo farmi convincere. Del resto era destino che la nostra storia continuasse. Infatti se fosse finita quel 21 di luglio, un paio di anni prima del tuono definitivo tipo quello udito da Edipo a Colono o Hans Castorp su La montagna incantata, sarei andato a Debrecen a consolarmi, bevendo birra nel casinetto del tennis, correndo nello stadio prospiciente e facendo del sesso nella camera 4 del secondo collegio come nel decennio passato, e forse non avrei scritto questo romanzo ricco di casi né avrei capito tante cose, né le avrei fatte capire a voi che mi leggete.
Volevo sentirla parlare ancora del nostro futuro. Un errore perché il futuro è sempre conseguente ai fatti e alle azioni che lo precedono e lo hanno determinato, non certo alle parole che sono spesso scritte nell’acqua, soprattutto quelle tra gli amanti, come avverte Catullo cui aggiungo Plauto: “Res potiores verbo” ( Aulularia, 693)
Ifigenia CXXII. Arzigogoli e ghiribizzi da coppia fallita. “Io sono docile, son rispettosa…”
Le risposi senza celare né mascherare i pensieri e i sentimenti che ancora covavo: “Ascoltami ora Ifigenia. Se, come dici, mi ami, perché non eviti di colpirmi quasi ogni giorno con il sospetto e il dispiacere della gelosia? Io non sono mai stato geloso senza motivo. E so che una donna innamorata di un uomo vuole renderlo certo della propria fedeltà, e non sente la voglia malsana di metterlo in ansia ricordandogli di essere desiderata e corteggiata da diversi maschi intraprendenti, sfrontati e invadenti”
“Tu stammi bene a sentire” mi interruppe, e replicò dopo avere cambiato la maschera morbida e dolce con una dura e accigliata.
“Io parlo con chi mi va, senza chiedere il permesso a nessuno. Però il mio amore, se ancora ti sta a cuore, è tutto e solo per te. Se ti fidi, bene, se no lasciami tu”
“Ho capito” risposi cercando il tono giusto. “ Con te voglio un rapporto alla pari anche se siamo diversi per età, esperienze e altro.
Facciamo così: anche io a Debrecen, se ne avrò voglia uscirò per parlare con chi troverò interessamte e interessato alla mia compagnia. E voglio pure rimanerti fedele.
Molti però sono i casi imprevisti e se accadesse che un evento sismico scuotesse questo proposito mio, ti avvertirei subito con un telegramma. Tu per piacere fai lo stesso con me. Va bene ?”
Ifigenia rispose con un risentimento che non mi dispiacque.
“Gianni, tu non mi conosci. Io non permetto a cicchessia, di spingermi a fare quello che non ho deciso io stessa. Te l’ho già detto e non voglio ripeterlo ancora”
Ero stupefatto da tale durezza imperiosa. Ifigenia notò che ero rimasto interdetto ed ebbe timore di avere esagerato, sicché riprese la posa della giovane donna tanto docile e rispettosa, obbediente, dolce amorosa.
Ma aveva sempre pronte le cento trappole. Come la Rosina del Barbiere insomma.
“Dai, tesoro, non diffidare di me. Io ti amo, ti adoro e mi fido ciecamente di te. Facciamo di tutto per rimanere insieme: quest’anno siamo stati molto felici! Il prossimo anno lo saremo ancora di più. Vero Gianni?”
“E’ vero”- risposi commosso, eppure non senza un’intima riserva necessaria alla mia salvezza “siamo stati molto felici e lo saremo ancora di più”.
Così smettemmo di arzigogolare e facemmo l’amore due volte. Poi tornammo alla riva. Erano le sette di sera.
Pesaro 23 settembre 2024 ore 20, 03. giovanni giselli. L’aedo e il poverello di Pesaro.
p. s.
Statistiche del blog
Sempre1622477
Oggi204
Ieri246
Questo mese7175
Il mese scorso10909
Nessun commento:
Posta un commento