Andai a salutare le amiche acquisite in quell’estate lontana. La tedesca Silvia e la napoletana Isabella. Ne conservo un caro, prezioso ricordo pur dopo decine di anni.
La vita si arricchisce di ricchezza vera con questi incontri. Non solo le amanti ma anche le amiche e gli amici. Si impara molto da loro, quanto e più che dai libri buoni, dai film, dagli spettacolo belli della natura e degli uomini. Del resto, si rischia di disimparare e regredire per l’opera nefasta dei tanti diseducatori: la pubblicità, la falsità, la volgarità di troppe parole udite ovunque e di immagini sconce viste dappertutto.
Bisogna filtrare le percezioni dei sensi attraverso la mente che ha coltivato, esercitato, praticato lo spirito critico, cioè capace di giudicare.
Ringraziate le due amiche dunque, mi avviai verso la stanza numero quattro del secondo collegio, sempre la stessa dal 1966 molto lontano già allora.
Appena uscito dal portone però fui attirato ancora una volta dalla fontana vivace situata davanti alla facciata dell’Università di Debrecen.
Era illuminata con luci più variopinte del solito perché quella sera era solenne: la Debreceni Orvostudomány Egyetem dava l’addio o l’arrivederci agli studenti europei ospiti del corso estivo.
Gli zampilli che sprizzavano in alto mi parevano raggi che la terra riconoscente restituiva al cielo da dove li aveva assorbiti durante il dì luminoso. Mentre osservavo la vasca che lanciava le gocce multicolori verso la luna e le stelle che il vento aveva scoperto sopra di me spingendo via la caligine, mi chiesi quale fosse il significato di quell’ultimo corso estivo nel luogo dove diversi anni prima avevo ritrovato la vita. Inoltre mi domandavo quale fosse il rapporto tra gli intensi amori mensili passati nelle estati trascorse in quella università e la relazione che avevo da quasi un anno oramai con la collega del liceo bolognese.
Tutti gli incontri amorosi precedenti l’incontro con Ifigenia, anche quelli italiani poco significativi e quello della primavera di Praga bello ma soltanto settimanale, mi avevano indirizzato sulla strada dove avrei incontrato l’ultima amante, una via che, come tutte, aveva due direzioni: potevo percorrerla procedendo e progredendo ancora oppure camminando retrogrado fino a ricadere nella disperazione abissale dalla quale ero risalito con enorme fatica.
La luce degli zampilli variava dandomi qualche indizio. Le gocce che sprizzavano rosse significavano la passione rovente che c’era stata per nove mesi tra me e la bella, sensuale collega; le stille azzurre, la tensione e l’altezza dei miei progetti indirizzati al cielo; le verdi la mia ostinata speranza che il nostro amore avrebbe rinnovato gli allori del tempo più bello per verdeggiare eterno, come l’alloro che mi avrebbe incoronato.
La splendidissima Ifigenia era ancora l’obiettivo più concreto e reale fra i diversi bersagli che avevo centrato nell’ultimo decennio della mia vita. Eppure nell’ultimo mese mi aveva inflitto una pena quasi continua non mantenendo l’impegno preso di mandarmi una lettera con la chiara espressione dei sentimenti suoi. Questi non mi erano chiari per niente e offuscavano, ingarbugliavano pure i miei. E pena su pena si era posata.
Pesaro 26 settembre 2024 ore 20, 55 giovanni ghiselli
p. s
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